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Un programma politico per una società nonviolenta (Antonino Drago)

In occasione del 2 ottobre, giornata internazionale della nonviolenza, condividiamo questa riflessione sulla nonviolenza di Antonino Drago, pubblicata su "Voci e volti della nonviolenza", n. 239 del 1 ottobre 2008.

Questa celebrazione della nonviolenza avviene dopo un pò più di cent'anni dalla sua nascita.
La celebrazione la trova che nella politica ha dimostrato tutta la propria forza rivoluzionaria: non solo Gandhi e la liberazione dell'India, ma poi le varie rivoluzioni prima del 1989, le liberazioni dei popoli del 1989 (che ancora passano ebetemente come un inspiegato crollo di un muro a Berlino; detto apposta per non dire nonviolenza!) e le tante rivoluzioni degli ultimi decenni che, per lo più nonviolentemente, hanno cambiato regime in almeno un terzo dei Paesi nel mondo: quest'ultima è un'ondata di rivoluzioni più grande di quella delle rivoluzioni di liberazione coloniale, che pure già la nonviolenza degli indiani aveva iniziato contro il più grande impero coloniale della storia umana.
La trova anche ben sviluppata teoricamente: dopo lo sviluppo formidabile di Lev Tolstoj, Mohandas Gandhi, Martin Luther King ed altri a livello soggettivo, ma allargato universalmente a tutti; lo sviluppo a livello oggettivo delle tecniche nonviolente, compiuto da tanti ma soprattutto da Gene Sharp; infine lo sviluppo a livello strutturale, iniziato da Capitini attraverso la riforma di religione, sviluppata da Lanza del Vasto fino ai concetti politici basilari (I quattro flagelli), e dettagliata da Galtung (distinzione tra nonviolenza diretta, strutturale e culturale; i quattro modelli di sviluppo; il conflitto come A-B-C). Cosicché ora la nonviolenza è una teoria politica completa (mio articolo su "Gandhi Marg", ott.-dic. 2007), l'unica ad essere rimasta nella crisi generale delle teorie politiche del liberismo e del socialismo (e marxismo).
In effetti così doveva essere: contro la superbia della cultura eurocentrica o comunque occidentale, l'alternativa alla civiltà occidentale doveva venire da fuori occidente, giustamente da una civiltà plurimillenaria come l'indiana, che a livello spirituale ha da insegnare a tutti. Con questa novità della nonviolenza si è iniziata una nuova civiltà, non più occidentale, ma a livello mondiale, senza più un centro e la periferia, ma con una struttura policentrica e possibilmente autogestionaria.

L'ingresso di questa nonviolenza nella civiltà occidentale è stato faticosissimo; Gandhi diceva che gli occidentali non sanno maneggiare la nonviolenza. E difatti, salvo pochissimi, gli occidentali l'hanno vista sulla base dei loro pregiudizi, accumulati con secoli della loro storia che secondo loro sarebbe stata decisiva per lo sviluppo futuro di tutta l'umanità:
  1. secondo il vecchio pregiudizio (scientista, razionalista, positivista, liberista, marxista) che la religione sta per terminare storicamente: il distacco della nonviolenza dalla religione, come grande innovazione occidentale rispetto a Gandhi (cioè nonviolenza "pragmatica" contro quella che viene detta malamente "di principio"); e così ci si separa dal grande avvenimento di questo cinquantennio: il riavvicinamento delle religioni nel mondo e la loro collaborazione per risolvere i mali strutturali dell'umanità (dalle dittature, dalla fame nel mondo, ecc.);
  2. secondo il pregiudizio della politica occidentale (Parigi val bene una messa) la nonviolenza deve essere staccata dall'etica, che renderebbe l'azione politica e le decisioni politiche quasi impossibili, finendo per essere inefficaci. Ma dimenticando che Gandhi è giustappunto l'anti-Machiavelli. Di fatto, nessun movimento nonviolento di questo tipo (vedi il Man in Francia) ha avuto rilevanza nella vita politica nazionale; mentre invece nel mondo i popoli hanno una domanda crescente di politica non corrotta e legata ad un'etica, fino alla politica dell'Onu per la pace (la quale è un'esigenza etica, invece che di benessere).
Ma nonostante tutto la base (grassroots), la barchetta della nonviolenza occidentale, ha costruito qualcosa: dalle comunità gandhiane (Comunità dell'Arca), all'obiezione di coscienza come alternativa alla struttura militare, al servizio civile come impegno sociale per un programma costruttivo nonviolento. Quest'ultima cosa è avvenuta soprattutto in Italia, dove c'è stato il maggior numero di maestri nonviolenti d'Occidente (Capitini, Lanza del Vasto, don Zeno, Dolci, La Pira, don Milani, don Tonino Bello, ecc.). E dove si è giunti ad una conquista eccezionale: la prima istituzione nonviolenta: una legge che nomina per la prima volta la nonviolenza (legge 230/1998 sull'obiezione di coscienza e la Difesa popolare nonviolenta) e che viene confermata dalla legge 64/2001 (sul servizio civile volontario) in relazione a quanto la Corte Costituzionale ha stabilito con una decina di sentenze: in Italia la difesa non armata è equivalente a quella armata! La prima istituzione nonviolenta si è concretata con l'Ufficio nazionale per il servizio civile, quello che all'estero si cerca di ottenere con la campagna Ministry for Peace (o Department for Peace).

Ma dopo il periodo dei maestri della nonviolenza, in Italia ora ci sono al massimo gli operai della nonviolenza; che non hanno avuto una strategia di fronte a quello che finora non era mai avvenuto. Prima il potere ci ignorava, come inconcludenti ed utopisti; ma dopo il terremoto nonviolento del 1989 ci ha preso sul serio, al fine di bloccare la novità politica nonviolenta che sarebbe stata troppo sconvolgente. Mentre gli Usa facevano subito una terza guerra mondiale (prima guerra con l'Iraq, con 900.000 uomini) e poi trovavano il nemico da combattere con le solite armi (fondamentalismo islamico), lo Stato italiano, che doveva applicare le precedenti leggi fatte da esso stesso, ha fatto finta di non conoscere una letteratura mondiale sulla Difesa popolare nonviolenta e, solo quando è stato forzato dalle Regioni pena la perdita del servizio civile, si è dato una mossa, ovviamente  la minima: un Comitato solo consultivo (18 febbraio 2004); che però aveva dieci civili su sedici componenti e 400.000 euro da spendere in un anno. Ma allora le associazioni no-profit (a nome di quali partiti?) hanno preferito approfittare del servizio civile per una loro crescita nel terzo settore, piuittosto che mantenere la finalità di legge della pace internazionale con mezzi nonviolenti. Finalità che anzi è stata di fatto cancellata dalla interpretazione deviante data in un apposito convegno del Comitato nel maggio 2005, che riduceva il servizio civile a semplice solidarietà domestica. Siamo in tempi duri, le associazioni nonviolente sono sfrangiate, gli obiettivi politici non sono più chiari. Di fatto non c'è stata reazione.
Ora si ricomincia, proprio come Tantalo. Con un Comitato rinnovato, ma ad un mese dalle elezioni perse dal vecchio governo, a scadenza (dicembre 2008), senza più fondi per il servizio civile ordinario (caso strano?). Si ricomincia con l'Ipri-Ccp; che però non ha più la parola "nonviolenza" nelle sue sigle distintive (sostituita da "Civili" e "Pace"); che comunque è riuscito ad ottenere un finanziamento dal Ministero degli esteri, ma nessun riconoscimento istituzionale, nè attraverso una legge, nè come ente accreditato presso il Ministero degli esteri, nè come attività (solo formativa), nè come intervento (formazione solo in Italia).
Ora si ricomincia anche nei Paesi fuori dell'Italia, quelli che erano rimasti indietro e che ora potranno sorpassarci nel creare una prima istituzione nonviolenta operativa.

Concludo. La migliore celebrazione della nonviolenza oggi è quella di prendere coscienza della nostra storia e mantenere gli impegni che ci vengono dai nostri maestri, con i quali avevamo già incominicato a dare una idea di come è da cambiare la società italiana; senza più attardarci su varianti e diminuzioni della nonviolenza, a giustificazione della nostra dipendenza da questa civiltà occidentale decadente. Riprendiamo il collegamento con la rivoluzione nonviolenta del 1989 e formuliamo un programma politico di lunga durata per una società nonviolenta, per prima cosa nella difesa e poi nell'economia. Reimpostiamo le associazioni nonviolente su questo programma.