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A 500 giorni dall’inizio di una brutale guerra civile, il Sudan si ritrova sprofondato in un’emergenza umanitaria senza precedenti. Il conflitto, che vede contrapporsi le forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e il gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido (Rsf) comandate dall’ex generale Mohamed Hamdan Degalo (detto “Hemedti”), è all’origine di quella che l’Onu ha più volte definito come «la più grave crisi di sfollamento al mondo», con oltre 10.76 milioni di persone che a oggi si trovano senza casa all’interno del loro paese. Secondo l’inviato speciale degli Stati Uniti in Sudan Tom Perriello, alcune stime del bilancio delle vittime si aggirano attorno ai 150.000 morti. Che, anche a causa delle devastanti inondazioni delle ultime settimane, della successiva epidemia di colera e della carestia dilagante, sono in continuo aumento.

Dal 15 dicembre 2013 la Repubblica del Sud Sudan, la più giovane nazione del mondo, nata il 9 luglio 2011 dopo anni di guerra civile, è pericolosamente in bilico. Lo spettro della “guerra civile” è riapparso dopo anni di relativa calma e faticosa ricostruzione: dal 9 gennaio 2005, con il trattato di pace firmato dal governo del Sudan e dall’Splm (Sudan people liberation movement), la gente del Sud Sudan aveva potuto finalmente sperimentare “assenza di bombardamenti aerei e di fuoco d’artiglieria pesante”. Le strade erano state progressivamente sminate, e qualcuno aveva addirittura iniziato a seminare e piantare.