Libano: dovè il mondo? Dove siamo noi? (Giulio Vittorangeli)
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Tratto dalla Nonviolenza è in cammino, n. 1381 del 8 agosto 2006
L'operazione militare israeliana "Piogge d'estate" ha riportato la guerra nella Striscia di Gaza e in Libano; a conferma che la guerra sembra sia diventata l'unico modo di affrontare le questioni internazionali. Ci sarebbero stati altri modi di rispondere al lancio di missili degli hezbollah, senza bisogno di polverizzare il Libano. Del resto, si può scatenare l'inferno sull'intera e indifesa popolazione civile del Libano per due soldati quando Israele da anni sequestra i palestinesi a migliaia, senza che nessuno apra bocca? Ancora una volta, percio', viene premiata la forza a scapito del diritto e della legalità internazionale, e di nuovo si paralizzano le Nazioni Unite, alle quali viene consentita solamente la legittimazione della guerra e non la sua prevenzione.
In realtà è stato raggiunto un accordo tra Stati Uniti e Francia su una risoluzione dell'Onu per la fine delle ostilità, ma senza una tregua; in pratica lascia ad Israele il tempo per "completare il lavoro". Così l'invio di una eventuale e futura forza multinazionale o internazionale di pace, (quella cui l'Italia ha detto di essere pronta a partecipare), rischia di diventare come la Nato in Afghanistan, in funzione esclusivamente anti-hezbollah (e anche anti-Siria).
Come non vedere che la quarantennale occupazione israeliana della Palestina costituisce la vera aggressione che impedirà sempre un qualsiasi accordo di cessazione delle ostilità o tregua o cessate il fuoco: in una parola, una pace minimamente equa e, quella sì, duratura?
Intanto l'uccisione di dieci o venti palestinesi al giorno, e fra questi donne e bambini, non scuote nessuno. Naturalmente il ministro della difesa israeliano ha rassicurato e tranquillizzato l'opinione pubblica internazionale informando che le sue truppe aprono il fuoco solo contro i palestinesi armati.
L'operazione militare israeliana "Piogge d'estate" ha riportato la guerra nella Striscia di Gaza e in Libano; a conferma che la guerra sembra sia diventata l'unico modo di affrontare le questioni internazionali. Ci sarebbero stati altri modi di rispondere al lancio di missili degli hezbollah, senza bisogno di polverizzare il Libano. Del resto, si può scatenare l'inferno sull'intera e indifesa popolazione civile del Libano per due soldati quando Israele da anni sequestra i palestinesi a migliaia, senza che nessuno apra bocca? Ancora una volta, percio', viene premiata la forza a scapito del diritto e della legalità internazionale, e di nuovo si paralizzano le Nazioni Unite, alle quali viene consentita solamente la legittimazione della guerra e non la sua prevenzione.
In realtà è stato raggiunto un accordo tra Stati Uniti e Francia su una risoluzione dell'Onu per la fine delle ostilità, ma senza una tregua; in pratica lascia ad Israele il tempo per "completare il lavoro". Così l'invio di una eventuale e futura forza multinazionale o internazionale di pace, (quella cui l'Italia ha detto di essere pronta a partecipare), rischia di diventare come la Nato in Afghanistan, in funzione esclusivamente anti-hezbollah (e anche anti-Siria).
Come non vedere che la quarantennale occupazione israeliana della Palestina costituisce la vera aggressione che impedirà sempre un qualsiasi accordo di cessazione delle ostilità o tregua o cessate il fuoco: in una parola, una pace minimamente equa e, quella sì, duratura?
Intanto l'uccisione di dieci o venti palestinesi al giorno, e fra questi donne e bambini, non scuote nessuno. Naturalmente il ministro della difesa israeliano ha rassicurato e tranquillizzato l'opinione pubblica internazionale informando che le sue truppe aprono il fuoco solo contro i palestinesi armati.
Donne contro la guerra (Brenda Gazzar)
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Articolo di Brenda Gazzar, giornalista indipendente, vive a Gerusalemme ed è corrispondente per "We News", tradotto da Maria Di Rienzo, tratto dalla Nonviolenza è in cammino, n. 1381 del 8 agosto 2006
Haifa, Israele. Nelle ultime settimane, Abir Kopty e Hannah Safran hanno protestato praticamente ogni giorno contro il conflitto in Libano e a Gaza.
Persino quando le temute sirene suonano, avvisando degli attacchi missilistici di Hezbollah, Abir Kopty, un'araba israeliana, e Hannah Safran, un'ebrea israeliana, restano sulle strade di questa città del nord, non lontana dal confine libanese, per chiedere al loro governo di fermare la guerra, di intraprendere negoziati e di scambiare i prigionieri.
Fondatrici di "Donne contro la guerra", gruppo che si è formato pochi giorni dopo l'inizio del conflitto tra Israele ed Hezbollah, le due pacifiste di lunga data fanno parte delle donne che tentano di mettere fine all'ultima ondata di violenza, che minaccia di investire l'intera regione.
"Non si tratta di chi biasimare di più, si tratta di fermare questa guerra", dice Kopty, portavoce di un'ong israeliana impegnata nella tutela dei diritti umani dei cittadini arabi del paese, "Non vogliamo vedere nessun cittadino ucciso da ambo le parti per una guerra evitabile. Non c'è alcun senso in quello che sta succedendo".
Haifa, Israele. Nelle ultime settimane, Abir Kopty e Hannah Safran hanno protestato praticamente ogni giorno contro il conflitto in Libano e a Gaza.
Persino quando le temute sirene suonano, avvisando degli attacchi missilistici di Hezbollah, Abir Kopty, un'araba israeliana, e Hannah Safran, un'ebrea israeliana, restano sulle strade di questa città del nord, non lontana dal confine libanese, per chiedere al loro governo di fermare la guerra, di intraprendere negoziati e di scambiare i prigionieri.
Fondatrici di "Donne contro la guerra", gruppo che si è formato pochi giorni dopo l'inizio del conflitto tra Israele ed Hezbollah, le due pacifiste di lunga data fanno parte delle donne che tentano di mettere fine all'ultima ondata di violenza, che minaccia di investire l'intera regione.
"Non si tratta di chi biasimare di più, si tratta di fermare questa guerra", dice Kopty, portavoce di un'ong israeliana impegnata nella tutela dei diritti umani dei cittadini arabi del paese, "Non vogliamo vedere nessun cittadino ucciso da ambo le parti per una guerra evitabile. Non c'è alcun senso in quello che sta succedendo".
Il medio oriente e il modello dellunione europea come soluzione (Johan Galtung
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Tratto dalla Nonviolenza è in cammino, n. 1381 del 8 agosto 2006
L'indicibile tragedia che si sta svolgendo in questa sesta guerra tra Israele e il mondo arabo dovrebbe obbligarci a focalizzare la nostra attenzione su come potrebbe essere realizzata la pace in quest'area. I punti principali sono chiari, ma sono minacciati in particolare da coloro che smettono di pensare proprio quando ve ne sarebbe più bisogno. Questi punti sono:
1. Le risoluzioni 194 e 242 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che chiedono il ritorno dei palestinesi e il ritiro di Israele ai confini del 1967 (prima della guerra del giugno di quell'anno).
2. La risoluzione del Consiglio nazionale palestinese del 15 novembre 1988, che accetta la soluzione dei due stati.
3. La proposta avanzata dall'Arabia Saudita nel 2002 che Israele si ritiri entro i confini del 1967 in cambio del riconoscimento di tutti gli stati arabi.
Applicando questi punti si otterrebbero due stati tra loro confinanti, con Gerusalemme Est e la Cisgiordania (West Bank) che ritornano alla Palestina (Israele si è già ritirata da Gaza), le alture del Golan restituite alla Siria, e qualche problema minore di confine da risolvere, talvolta attraverso aggiustamenti creativi. Nessuna grande rivoluzione, solo buon senso.
Ma ci sono anche richieste minime e massime da entrambe le parti.
La Palestina ha tre richieste minime, non negoziabili: - uno stato palestinese secondo i punti 1 e 2 precedenti, con - Gerusalemme Est capitale, e - il diritto al ritorno, inteso come diritto ma negoziabile nella quantità,.
Israele ha due richieste minime, non negoziabili: - riconoscimento dello stato ebraico di Israele - entro confini sicuri.
L'indicibile tragedia che si sta svolgendo in questa sesta guerra tra Israele e il mondo arabo dovrebbe obbligarci a focalizzare la nostra attenzione su come potrebbe essere realizzata la pace in quest'area. I punti principali sono chiari, ma sono minacciati in particolare da coloro che smettono di pensare proprio quando ve ne sarebbe più bisogno. Questi punti sono:
1. Le risoluzioni 194 e 242 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che chiedono il ritorno dei palestinesi e il ritiro di Israele ai confini del 1967 (prima della guerra del giugno di quell'anno).
2. La risoluzione del Consiglio nazionale palestinese del 15 novembre 1988, che accetta la soluzione dei due stati.
3. La proposta avanzata dall'Arabia Saudita nel 2002 che Israele si ritiri entro i confini del 1967 in cambio del riconoscimento di tutti gli stati arabi.
Applicando questi punti si otterrebbero due stati tra loro confinanti, con Gerusalemme Est e la Cisgiordania (West Bank) che ritornano alla Palestina (Israele si è già ritirata da Gaza), le alture del Golan restituite alla Siria, e qualche problema minore di confine da risolvere, talvolta attraverso aggiustamenti creativi. Nessuna grande rivoluzione, solo buon senso.
Ma ci sono anche richieste minime e massime da entrambe le parti.
La Palestina ha tre richieste minime, non negoziabili: - uno stato palestinese secondo i punti 1 e 2 precedenti, con - Gerusalemme Est capitale, e - il diritto al ritorno, inteso come diritto ma negoziabile nella quantità,.
Israele ha due richieste minime, non negoziabili: - riconoscimento dello stato ebraico di Israele - entro confini sicuri.
Ribaltare la Shoah? (Ida Dominijanni)
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Pubblicato su "Il manifesto" del 8 agosto 2006.
Sottrarsi al ricatto della Shoah e dare voce a un grido liberatorio contro la politica di Israele: sul manifesto del 3 agosto e su Liberazione del 4 Angelo d'Orsi propone questa sorta di «programma minimo» per la sinistra - intellettuali, politici, giornali e comuni mortali in grado di sottrarsi al «chiacchiericcio opinionistico» che ci martella con la sicurezza di Israele e in nome della Shoah giustifica la sua aggressività in Medioriente, la sua pulizia etnica verso i palestinesi e la sua arroganza verso l'Onu. A costo di alimentare il chiacchiericcio, mi permetto di dissentire fermamente. Prima che sul merito, su una pratica intellettuale che perimetra la sinistra coi picchetti, gerarchizza intellettuali e senso comune, identifica verità e razionalità senza nulla apprendere dallo scacco della ragione in cui sulla questione mediorientale tutti, intellettuali e ordinary people, siamo presi e persi.
Sottrarsi al ricatto della Shoah e dare voce a un grido liberatorio contro la politica di Israele: sul manifesto del 3 agosto e su Liberazione del 4 Angelo d'Orsi propone questa sorta di «programma minimo» per la sinistra - intellettuali, politici, giornali e comuni mortali in grado di sottrarsi al «chiacchiericcio opinionistico» che ci martella con la sicurezza di Israele e in nome della Shoah giustifica la sua aggressività in Medioriente, la sua pulizia etnica verso i palestinesi e la sua arroganza verso l'Onu. A costo di alimentare il chiacchiericcio, mi permetto di dissentire fermamente. Prima che sul merito, su una pratica intellettuale che perimetra la sinistra coi picchetti, gerarchizza intellettuali e senso comune, identifica verità e razionalità senza nulla apprendere dallo scacco della ragione in cui sulla questione mediorientale tutti, intellettuali e ordinary people, siamo presi e persi.
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