Arabi e israeliani, quel dialogo in frantumi (David Menghnagi)
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Il conto, prego! (Geries Koury)
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Intervista a Geries Koury, palestinese di nazionalità israeliana, teologo cristiano che vive in alta Galilea pubblicata sul n. 71 di "Bocche Scucite. Voci dalla Palestina occupata".
Breve aggiornamento sulla situazione couscous e la Palestina (Irene Panighetti)
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"Non dimenticherò mai il profumo che mi ha accolta all'ingresso della cooperativa Ein al Sultan di Gerico, una delle cooperative produttrici di cous cous per il commercio equo palestinese: sarà sempre un ricordo sensoriale, corporeo, perché non trovo le parole adatte a riproporre quell'intensità aromatica che mi ha avvolta immediatamente.
Ritorno in Libano (parte 3) (Imad El Rayes)
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Continuiamo a pubblicare le testimonianze dell'amico Imad El Rayes, al suo ritorno da Libano.
Allaeroporto di Milano, in attesa di partire per il Libano, mi guardavo intorno osservando facce libanesi, alcuni parlavano spagnolo, altri americano, altri ancora bulgaro o italiano ecco la varietà: 14 milioni di libanesi allestero, sparsi in tutto il mondo, con cittadinanze diverse.
Ed ora laereo pieno di persone dirette in Libano, per vacanza, o per fare visita a parenti e così portano anche denaro alleconomia libanese.
Atterriamo tra gli applausi nel paese dei contrasti e delle complicazioni: sono stato accolto molto bene da tutti.
Bello rivedere il fratello, la mamma, sorella e nipoti
Ma strane sensazioni mi perseguitavano, come se non riuscissi più a capire quale fosse la mia casa: lItalia, dove risiedo adesso, oppure il Libano, la terra dove sono nato.
Un mio ex professore, dopo un lungo abbraccio, mi disse Guarda che cè bisogno di voi artisti, cè bisogno che voi torniate in Libano almeno per fare delle mostre, facendo rivivere la libertà tolta, la cultura rubata e la sensibilità sepolta.
Il traffico intenso e le regole di guida (caos organizzato) mi hanno spinto a girare poco, ma quel poco è stato sufficiente per capire che questo Libano gira ancora intorno a se stesso a tutto campo, cambiano solo le facce e i nomi (parlo dei politici e dei capi), in un sistema bloccato allinterno delle diverse etnie e una falsa democrazia.
Allaeroporto di Milano, in attesa di partire per il Libano, mi guardavo intorno osservando facce libanesi, alcuni parlavano spagnolo, altri americano, altri ancora bulgaro o italiano ecco la varietà: 14 milioni di libanesi allestero, sparsi in tutto il mondo, con cittadinanze diverse.
Ed ora laereo pieno di persone dirette in Libano, per vacanza, o per fare visita a parenti e così portano anche denaro alleconomia libanese.
Atterriamo tra gli applausi nel paese dei contrasti e delle complicazioni: sono stato accolto molto bene da tutti.
Bello rivedere il fratello, la mamma, sorella e nipoti
Ma strane sensazioni mi perseguitavano, come se non riuscissi più a capire quale fosse la mia casa: lItalia, dove risiedo adesso, oppure il Libano, la terra dove sono nato.
Un mio ex professore, dopo un lungo abbraccio, mi disse Guarda che cè bisogno di voi artisti, cè bisogno che voi torniate in Libano almeno per fare delle mostre, facendo rivivere la libertà tolta, la cultura rubata e la sensibilità sepolta.
Il traffico intenso e le regole di guida (caos organizzato) mi hanno spinto a girare poco, ma quel poco è stato sufficiente per capire che questo Libano gira ancora intorno a se stesso a tutto campo, cambiano solo le facce e i nomi (parlo dei politici e dei capi), in un sistema bloccato allinterno delle diverse etnie e una falsa democrazia.
Bocche scucite - Voci dai territori occupati: intervista a Nandino Capovilla
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Autori: Betta Tusset, Nandino Capovilla
Qual
è il dramma più grande delle persone che vivono in Palestina? Soprattutto dei
cristiani?
La parola 'dramma' non riesce a far intuire una
sofferenza e un'umiliazione inenarrabile che da cinquant'anni riduce allo
stremo un intero popolo. Non siamo genericamente in una situazione di 'guerra'
ma in quella più perversa e lacerante di un sistema di occupazione militare che
schiaccia e tiene imprigionati milioni di esseri umani. Il dramma è in realtà
una evidente ingiustizia basata sul ripetuto rifiuto da parte della potenza
occupante di sottostare alle Risoluzione delle Nazioni Unite soprattutto
interrompendo la colonizzazione e il blocco del movimento. I cristiani per
questi motivi lasciano la
Terrasanta e non certo -come alcuni irresponsabili media
vorrebbero far credere- per una inesistente “persecuzione” da parte dei
musulmani.
Israele e Palestina: un appello
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Commissione internazionale delle donne per una pace giusta e sostenibile tra Israele e Palestina: un appello
Pubblichiamo questo appello inviato da Luisa Morgantini (per contatti:Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ) tratto da La nonviolenza è in cammino
Come donne, israeliane, palestinesi e internazionali, leader e attiviste, membri della International Women Commission (Commissione Internazionale delle donne), che opera per la fine dell'occupazione e per il conseguimento di una pace israelo-palestinese giusta e sostenibile, basata sul riconoscimento di due popoli e due stati, impegnata nel rispetto delle leggi internazionali, tra cui le maggiori risoluzioni delle Nazioni Unite, i diritti umani, e l'uguaglianza, esprimiamo la nostra indignazione per l'orribile carneficina israeliana contro i civili di Beit Hanoun, nella Striscia di Gaza.
Pubblichiamo questo appello inviato da Luisa Morgantini (per contatti:
Come donne, israeliane, palestinesi e internazionali, leader e attiviste, membri della International Women Commission (Commissione Internazionale delle donne), che opera per la fine dell'occupazione e per il conseguimento di una pace israelo-palestinese giusta e sostenibile, basata sul riconoscimento di due popoli e due stati, impegnata nel rispetto delle leggi internazionali, tra cui le maggiori risoluzioni delle Nazioni Unite, i diritti umani, e l'uguaglianza, esprimiamo la nostra indignazione per l'orribile carneficina israeliana contro i civili di Beit Hanoun, nella Striscia di Gaza.
Dal male può venire il bene? No, non è la fine della Palestina (Ali Rashid)
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Da Il Manifesto del 20 giugno 2007
Dal male può venire il bene? Questo è il problema. La Palestina è la metafora del mondo. Lì si convogliano tutti i problemi del nostro tempo. La testimonianza viva di come il decadimento si impossessi anche dell'anima quando si degrada la politica. La Palestina è un monito, un invito e il resto non dipende solo dai palestinesi, invitati negli ultimi anni solo a morire in silenzio. Dove terra, aria, acqua, mente, gioia, libertà e dolore, piante e case, storia millenaria diventano il ritmo di ciò che ti sfugge, senza senso, appena al di là delle macerie.
Lì, dove fino a ieri sopravvivevi coltivando una speranza che non arriva, all'improvviso trovi un luogo a te proibito, recintato. Si alza un filo spinato, nasce una colonia ebraica, si insedia un futuro che ti esclude, e per sempre, un posto di blocco che ti spezza anima e psiche, un muro che sbarra ogni orizzonte. Di nuovo riparti con un fardello, di nuovo ripartono i recinti, in una mattanza senza fine, da sessant'anni. E' un annientamento diluito nel tempo. Mezzo secolo d'impegno politico aspro ha permesso ai palestinesi di sfuggire a questa trappola disumana e mortale. Ha permesso loro di crescere, di acquisire grandi consensi, di edificare, almeno virtualmente, una patria che gode di riconoscimenti ancora più ampi di quelli di cui gode Israele. I palestinesi hanno svolto un ruolo importante in campo politico, scientifico, letterario, su scala regionale e internazionale. Lo hanno fatto fino a che hanno coltivato un progetto politico e di civiltà alternativo a quello che ha istituito e tuttora incarna Israele per il suo popolo e per la regione. Israele ha anticipato quel che sarebbe stato il mondo contemporaneo, nella forma e nel metodo: il disprezzo del diritto e della legalità internazionali, la guerra permanente e preventiva, l'uso dell'informazione come strumento di guerra e di deviazione, il rifiuto dell'altro, della storia, della cultura e della religione dell'altro, al quale non si offre alcuna via d'uscita se non la totale sottomissione.
Dal male può venire il bene? Questo è il problema. La Palestina è la metafora del mondo. Lì si convogliano tutti i problemi del nostro tempo. La testimonianza viva di come il decadimento si impossessi anche dell'anima quando si degrada la politica. La Palestina è un monito, un invito e il resto non dipende solo dai palestinesi, invitati negli ultimi anni solo a morire in silenzio. Dove terra, aria, acqua, mente, gioia, libertà e dolore, piante e case, storia millenaria diventano il ritmo di ciò che ti sfugge, senza senso, appena al di là delle macerie.
Lì, dove fino a ieri sopravvivevi coltivando una speranza che non arriva, all'improvviso trovi un luogo a te proibito, recintato. Si alza un filo spinato, nasce una colonia ebraica, si insedia un futuro che ti esclude, e per sempre, un posto di blocco che ti spezza anima e psiche, un muro che sbarra ogni orizzonte. Di nuovo riparti con un fardello, di nuovo ripartono i recinti, in una mattanza senza fine, da sessant'anni. E' un annientamento diluito nel tempo. Mezzo secolo d'impegno politico aspro ha permesso ai palestinesi di sfuggire a questa trappola disumana e mortale. Ha permesso loro di crescere, di acquisire grandi consensi, di edificare, almeno virtualmente, una patria che gode di riconoscimenti ancora più ampi di quelli di cui gode Israele. I palestinesi hanno svolto un ruolo importante in campo politico, scientifico, letterario, su scala regionale e internazionale. Lo hanno fatto fino a che hanno coltivato un progetto politico e di civiltà alternativo a quello che ha istituito e tuttora incarna Israele per il suo popolo e per la regione. Israele ha anticipato quel che sarebbe stato il mondo contemporaneo, nella forma e nel metodo: il disprezzo del diritto e della legalità internazionali, la guerra permanente e preventiva, l'uso dell'informazione come strumento di guerra e di deviazione, il rifiuto dell'altro, della storia, della cultura e della religione dell'altro, al quale non si offre alcuna via d'uscita se non la totale sottomissione.
- Donne a Gaza (Brenda Gazzar)
- Libano. La condanna infinita (Imad El Rayes)
- Libano: condanna infinita (parte 2) (Imad El Rayes)
- Un popolo assediato alla ricerca di un futuro (Giuliana Sgrena)
- Israeliani e Palestinesi propongono la scelta della nonviolenza (Giuliana Sgrena
- Medio Oriente, una proposta nonviolenta (Michael Lerner, rabbino)
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