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Non hanno parlato nemmeno per condannarlo: il parere consultivo della Corte internazionale di Giustizia, massimo tribunale del pianeta, ha lasciato indifferente un pezzo di mondo, quello occidentale.

Da Unione europea e Stati uniti non sono arrivati commenti di sorta sulla pesante, pesantissima accusa mossa dalla Cig: l’occupazione israeliana di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est è illegale, è un’annessione di fatto ed è un regime di apartheid. Tra venerdì e ieri gli interventi di Antony Blinken, segretario di Stato Usa, e di Sven Koopmans, inviato Ue per il Medio Oriente, guardavano altrove.

Intervista al giurista palestinese Nimer Sultany: «Inutile punire i singoli coloni: la Corte dice che il problema è istituzionale e la soluzione è il ritiro. Non è solo un’occupazione: con insediamenti e confische che spingono via i palestinesi, si è di fronte a un colonialismo d’insediamento che mira a sostituire i nativi»

Dello storico parere dato il 19 luglio dalla Corte internazionale di Giustizia in merito all’occupazione israeliana di Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza abbiamo parlato con Nimer Sultany, giurista palestinese e docente di diritto all’Università Soas di Londra.

La guerra non solo provoca catastrofi immediate, ma travolge e sconvolge anche valori e processi di lungo periodo. Tra le cose più preziose che vengono messe in crisi dalla tragedia di Gaza c’è anche il dialogo ebraico-cristiano intrapreso dopo il Concilio, volto a ritrovare e condividere tutto ciò che unisce le due religioni.

Ora non può esserci niente di più lontano e inaccettabile per i cristiani di ciò che sta avvenendo a Gaza ad opera delle Forze Armate e dello Stato di Israele, mentre ogni protesta o critica a tale azione, che venga dalle piazze o dagli studenti delle Università o dall’ONU e perfino dagli Stati Uniti viene respinta e tacciata di antisemitismo, e perciò da condannare come continuazione sotto altra forma della Shoà.

Fano è una città splendida. Lo è anche il Medio Oriente, di uno splendore diverso. Una qualche sorta di luce, però, l’abbiamo in comune. Come il mare e il destino. La pioggia dall’Iran su Israele e il potenziale di destabilizzazione di una regione, e del mondo, che questa guerra porta con sé è l’esito di una logica ferrea della quale tutti possiamo essere vittime. Folle, ma ferrea, studiata dalla scienza che coltiviamo per ucciderci come da quella che cerca vie per la pace.

Teoria dinamica: ad ogni azione corrisponde una reazione sempre più intesa, sempre più letale. Dinamica della guerra. Logica dell’escalation che l’arroganza di chi decide se usare la forza o meno crede di poter gestire e controllare.

Credo che dobbiamo alzare il livello di coscienza riguardo alla tragedia in atto a Gaza. La guerra di Gaza è di fatto una radiografia della situazione mondiale, è una confessione sullo stato del mondo.

L'evento di Gaza non è una guerra, ma è un genocidio, e come tale rappresenta il punto di caduta della nuova concezione della guerra quale è stata adottata a partire dalle scelte strategiche sulla sicurezza compiute degli Stati Uniti dopo gli attentati alle Torri gemelle dell'undici settembre 2001.

Intervista al sociologo israelo-tedesco Moshe Zuckermann: «Israele l’ha utilizzata a fini ideologici: il sionismo come risposta»

Moshe Zuckermann è un sociologo israelo-tedesco e professore emerito di storia e filosofia all’università di Tel Aviv. È autore di libri sul conflitto in Medio Oriente, tra cui Il destino di Israele. Come il sionismo porta avanti il proprio declino. Fa parte del gruppo di studiosi della storia dell’Olocausto, studi ebraici e studi sul Medio Oriente che nel 2021 ha elaborato la Dichiarazione di Gerusalemme.