(Tratto da La nonviolenza è in cammino, n. 1362 del 19 luglio 2006)
La gente in Medio Oriente sta soffrendo di nuovo mentre militaristi di tutti i fronti, e giornalisti festanti, lanciano missili, bombe, e infinite parole di autogiustificazione per l'ennesimo inutile round di violenza fra Israele ed i suoi vicini. Per coloro fra noi ai quali importa molto della sofferenza umana, questo ultimo episodio di irrazionalità evoca lacrime di tristezza, incredulità per la mancanza di empatia da ogni lato, rabbia per quanto poco sembra si sia appreso dal passato, e momenti di disperazione mentre vediamo di nuovo gli ideali religiosi e democratici subordinati al cinico "realismo" militarista.
I sostenitori di ambo le parti, contenti di ignorare l'umanità dell'Altro, si affrettano ad assicurare ai loro collegi elettorali che la colpa è sempre del nemico. Tutti questi sforzi non hanno senso. Siamo in presenza di un conflitto che si è protratto per oltre un secolo. Ha poca importanza chi abbia accostato l'ultimo cerino alla pietra focaia. Quello che è veramente importante è come rimediare alla situazione. Il gioco del biasimo serve solo a spostare l'attenzione dall'argomento centrale.
Nel gioco del biasimo ce n'è per tutti. Dipende solo da dove fai cominciare la storia. Contando sulla generale mancanza di memoria storica, i partigiani dell'uno o dell'altro fronte scelgono di dar inizio alla narrazione dal luogo in cui essi sono "le vittime che hanno ragione" e gli altri "i malvagi aggressori". Ai palestinesi piace partire dal 1948 e dall'espulsione di migliaia di loro dalle loro case durante la guerra ad Israele, proclamata dai confinanti stati arabi, e dal rifiuto del governo israeliano di permettere il ritorno di queste persone quando le ostilità furono cessate.
Agli israeliani piace partire da quando gli ebrei cercavano disperatamente di sfuggire al genocidio che subivano in Europa, e una cinica dirigenza araba convinse l'esercito britannico a sostenere i locali palestinesi che cercavano di impedire a questi rifugiati di raggiungere gli altri ebrei che vivevano in Palestina a quell'epoca.
Io racconto questa storia, e il modo di comprendere ambo le parti nel mio libro Healing Israel/Palestine (Guarire Israele e la Palestina).
Oppure si può iniziare da fatti più recenti, dall'escalation di violenza di questa estate. Ma dove esattamente è cominciato il tutto? Per favore, andate al sito web di B'tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, e osservate come ciascuna parte denuncia gli atti criminosi dell'altra.
Fin dalla morte di Yasser Arafat, e dall'assunzione di potere del presidente palestinese Mahmoud Abbas, le principali fazioni politiche palestinesi, Fatah e Hamas, hanno osservato l"hudna", cioè il cessate il fuoco.
Eppure Israele, sottolineando il fatto che la polizia di Abbas (decimata dai bombardamenti israeliani durante la seconda Intifada del 2001-2003) era incapace di contenere completamente la violenza di Hamas, della Brigata dei martiri di Al-Aqsa e della Jihad islamica, ha usato questa debolezza per proclamare che non c'era "nessuno con cui parlare" quando le forze di pace in Israele chiesero prima ad Ariel Sharon e poi a Ehud Olmert che le richieste palestinesi di negoziazione venissero accettate.
Invece, Israele annunciò un ritiro unilaterale da Gaza e dal Nord della West Bank (realizzato nel 2005) e da ulteriori parti di quest'ultima (che avrebbe dovuto iniziare questa estate con la rimozione di insediamenti illegali), il che di fatto creerebbe nuovi confini che incorporano in Israele territori che Israele stessa ha convenuto di lasciare durante gli anni '90.
"Tikkun magazine" [la rivista diretta da Michael Lerner - ndr] e le forze di pace israeliane avvisarono che un ritiro unilaterale, cui l'Autorità palestinese si opponeva, avrebbe accresciuto la credibilità delle asserzioni di Hamas, cioè che gli sforzi dell'Autorità palestinese verso la nonviolenza non avevano prodotto altro che il rifiuto israeliano di discutere, mentre gli atti di violenza di Hamas e della Jihad islamica a Gaza avevano condotto al ritiro dei soldati.
Non dovrebbe essere difficile capire perché Sharon andò avanti con il ritiro unilaterale. La sua intenzione dichiarata era di mantenere quanto più possibile della West Bank, e sarebbe stato molto più facile convincere il mondo che non c'era "nessuno con cui parlare" se Hamas avesse vinto le elezioni, poiché Hamas è universalmente riconosciuto come gruppo terroristico.
Quando i palestinesi caddero nella trappola, ed elessero un governo guidato da persone che rifiutano di riconoscere ad Israele il diritto ad esistere, è stato semplice per Olmert continuare l'unilateralismo di Sharon ed annunciare piani per il ritiro dalla West Bank che avrebbero coperto l'annessione, da parte di Israele, di porzioni significative dei Territori occupati.
Hamas ha svolto il ruolo previsto, lanciando missili Qassam su centri abitati israeliani, "provando" una volta di più alla destra israeliana che ogni tipo di ritiro non farebbe che intensificare la vulnerabilità di Israele, e dando ai falchi le ragioni per opporsi, visto che il ritiro precedente non ha portato pace a Gaza.
Naturalmente, dal punto di vista di Hamas, questo è solo un episodio di una lotta continua per la liberazione di migliaia di palestinesi che vengono arrestati (o dalla prospettiva palestinese: rapiti), incarcerati senza imputazioni e senza processo per sei mesi in vasti campi di prigionia, spesso soggetti a torture.
Ma Hamas, dovendo fronteggiare un boicottaggio economico (incluso il non versamento ad Hamas delle tasse pagate ad Israele dai palestinesi, che Israele aveva precedentemente promesso di versare all'Autorità palestinese) che gli impedisce di far funzionare il governo, fa dichiarazioni che indicano la possibilità di un riconoscimento di Israele in risposta al "Documento dei prigionieri", che è stato firmato da ogni fazione di palestinesi trattenuti nelle carceri israeliane.
Per i militaristi israeliani, e per i coloni, il riconoscimento da parte di Hamas sarebbe stato una clamorosa sconfitta propagandistica. Perciò nel giro di pochi giorni gli Israeliani hanno cominciato a cannoneggiare Gaza (ufficialmente per fermare il lancio di missili di Hamas). Uno dei proiettili è finito sulla spiaggia, e ha ucciso una famiglia di otto persone che si stava semplicemente godendo il sole e il mare.
Pochi giorni più tardi, un gruppo di Hamas ha catturato il soldato israeliano Gilad Shalit, ed Israele ha usato questo come una scusa per implementare un piano che aveva progettato mesi prima: rientrare a Gaza e distruggere le infrastrutture di Hamas.
A questo punto un'enorme escalation ha preso piede. Invece di concentrarsi sull'effettiva capacità di Hamas di agire la guerra, Israele ha scelto la via della punizione collettiva, una frequente quanto inefficace misura di contrasto per l'insorgenza, usata per eliminare il sostegno pubblico ai movimenti di resistenza.
Nell'oppressiva calura dell'estate, Israele ha bombardato la rete di distribuzione elettrica, eliminando a Gaza la fornitura di acqua e dell'elettricità necessaria per mantenere i sistemi di refrigerazione, provocando un drammatico calo del cibo disponibile in un'area già sconvolta, in cui vivono più di un milione di persone.
Questo atto è una violazione del diritto internazionale, come lo sono gli arresti di migliaia di individui e i missili di Hamas sui centri abitati.
In risposta, i combattenti di Hezbollah, che hanno occupato le terre abbandonate da Israele quando Israele terminò la sua occupazione del sud del Libano nel 2000, hanno lanciato un attacco alle truppe israeliane, violando gli accordi che si sarebbe mantenuta la pace su quel confine, accordi che avevano reso politicamente possibile il ritiro di Israele dal Libano, senza paura che i suoi cittadini del nord dovessero essere ancora bersaglio di missili: cittadini che dal 1982, quando Israele invase il Libano, non avevano fatto altro che entrare ed uscire dai rifugi antibombe.
Dal punto di vista di alcuni nel mondo arabo, l'attacco alle truppe nel nord di Israele è stato un atto di solidarietà islamica in risposta all'escalation perseguita da Israele contro l'intera popolazione di Gaza.
Costoro argomentano che non si debba chiedersi perché loro hanno agito così, ma perché il resto del mondo non agisca chiedendo che Israele metta fine all'oltraggiosa punizione collettina di un milione di persone a causa delle azioni di pochi. Quando l'Onu tentò di agire, il governo di destra degli Usa mise il veto ad una risoluzione sostenuta dalla maggioranza del Consiglio di Sicurezza.
Dal punto di vista di Israele, gli attacchi di Hezbollah sono stati una palese violazione degli accordi che avevano tenuto Israele fuori dal Libano negli ultimi sette anni. Ed in effetti il far subire a civili bombardamenti a casaccio con lo scopo di terrorizzarli è una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani.
Hezbollah si sta mostrando come la forza terrorista che Israele ha sempre sostenuto fosse. La gente che vive ad Haifa o a Tsfat o in dozzine di altri luoghi in Israele sta in questo momento vivendo lo stesso tipo di paura che richiama terrori già sperimentati in precedenza (alcuni sono sopravvissuti all'Olocausto, altri sono i figli dei sopravvissuti, e molti hanno vissuto guerre che erano specificatamente dirette all'annientamento di Israele).
Queste paure saranno sfortunatamente assai facili da manovrare per i politici di destra negli anni che verranno.
Nè dovremmo sottovalutare il comportamento di Iran e Siria nello stimolare disordini e destabilizzazione. Mentre vi sono persone in ambo i paesi che si sentono sinceramente ferite dalle azioni di Israele nei confronti dei correligionari musulmani, il record di indifferenza per le cattive condizioni dei palestinesi nei loro stessi paesi ed il rifiuto di fornire aiuto materiale alla Palestina affinché essa possa costruire la propria infrastruttura economica, suggerisce che l'assistenza prestata ad Hezbollah viene più dalla ricerca di un vantaggio politico e di dominio in Medio Oriente, che da una vera solidarietà morale con il popolo palestinese.
L'Iran, un paese il cui presidente ha più volte negato che vi sia mai stato un Olocausto, e che esplicitamente afferma di avere lo scopo di distruggere lo stato di Israele, dà agli israeliani ragioni reali di temere, quando i suoi vicini Hezbollah o Hamas sviluppano la capacità di sparare missili sui centri abitati del paese.
Cosa avrebbe potuto fare Israele? Bene, se vi fosse stato Ariel Sharon al potere, avendo costui imparato la sua lezione proprio in Libano, è probabile che avrebbe fatto la stessa cosa che fu fatta due anni orsono, quando un uomo d'affari israeliano fu catturato dal "nemico": uno scambio di prigionieri, in cui centinaia di detenuti vengono rilasciati per un singolo israeliano. Questo scambio è stato chiesto da Hamas, ed implorato dalla famiglia di Gilad Shalit, ma è stato respinto dal governo israeliano.
Vi prego di leggere le analisi di questo errore, ed altri articoli che esaminano la situazione attuale su "Current Thinking", nel sito www.tikkun.org Vi è il comune convincimento fra i pacifisti israeliani che il primo ministro Ehud Olmert ed il suo ministro della Difesa laburista Amir Peretz sentano la necessità politica di mostrare che sono "forti" e perciò l'attacco e l'invasione del Libano sono le loro uniche strategie. Per il bene dei loro ego e della loro futura spendibilità politica, "devono" procedere con la folle escalation contro il popolo libanese, la maggior parte del quale ha esercitato i propri diritti democratici rigettando le promesse elettorali di Hezbollah, e votando un governo che contiene Hezbollah come piccola minoranza.
Cosa potrebbe ormai fare Israele? Potrebbe ridefinire la questione come violazioni minori ai confini, scambiare i prigionieri, annunciare unilateralmente che non terrà più nessuno in detenzione per un periodo superiore a tre giorni senza inoltrare una formale denuncia penale contro coloro che hanno agito violentemente, e rilasciando tutti gli altri.
Potrebbe dare inizio a veloci e pubblici processi, e punire chiunque (soldato o ufficiali di Shin Bet ed Aman) abbia usato la tortura, o - come la definiscono loro - la "moderata pressione", sui prigionieri.
Potrebbe immediatamente annunciare la propria intenzione di rafforzare la posizione del presidente dell'Autorità palestinese Abbas, consegnandogli i soldi delle tasse, e aprire una negoziazione sullo "status finale" entro due mesi.
E nel frattempo, Israele potrebbe cominciare a smantellare il muro di separazione, e promettere di ricostruirlo solo lungo le linee di un confine internazionale su cui siano d'accordo ambo le parti. E Israele potrebbe unilateralmente censurare la propaganda antipalestinese all'interno dei media controllati dal governo, e cominciare a costruire una cultura della nonviolenza, e rendere consapevoli gli israeliani rispetto alla necessità di compensazioni per i palestinesi rifugiati.
Cosa potrebbero fare i palestinesi? Il presidente Abbas potrebbe annunciare che invita Israele a formare una forza mista israelo-palestinese di confine, di modo da garantire che non vi siano più aggressioni ai civili israeliani, in cambio dell'immediata apertura dei negoziati sullo "status finale", prima che si diano ulteriori ritiri dalla West Bank. Ci sono state polizie miste e coordinamento di forze di sicurezza sino al settembre 2000, ed esse contribuivano a mantenere basso il livello di violenza, sino a che Ariel Sharon non compì la sua provocatoria passeggiata a Temple Mount [la Spianata delle moschee a Gerusalemme; l'episodio cui si fa riferimento fu l'atto simbolico di provocazione che funse da detonatore della seconda Intifada - ndr].
Abbas potrebbe poi dichiarare che il popolo palestinese che lo ha eletto è impegnato in una lotta nonviolenta (nonviolenta, non passiva) per porre fine all'occupazione, ma che chiunque agisca violentemente contro israeliani o palestinesi verrà processato e, se trovato colpevole, perderà la cittadinanza palestinese.
Abbas potrebbe recarsi nella West Bank e a Gaza a discutere di nonviolenza, potrebbe implementare una fine immediata alla retorica antisemita ed antisraeliana della stampa palestinese e nelle scuole palestinesi, e ribadire che è determinato nel voler costruire una cultura nonviolenta in Palestina.
Cosa gli Usa e gli stati occidentali potrebbero fare? Essi potrebbero indire immediatamente una conferenza internazionale, in cui siano rappresentate tutte le nazioni del mondo che sono disposte ad accettare il diritto di Israele ad esistere all'interno dei confini del 1967 ed il diritto dei palestinesi ad esistere a Gaza e nella West Bank, e favorire un accordo che sia gradito ad ambo le parti e garantisca pace e sicurezza ad entrambe. Ogni paese partecipante sarebbe ammesso alla conferenza dopo aver depositato su una banca internazionale neutrale l'equivalente dello 0,1% del suo Pil, allo scopo di creare un fondo internazionale che serva a riparare i danni come descrivo più sotto.
Come la comunità Tikkun ha già detto in passato, i termini dell'accordo dovrebbero includere: 1. Confini definiti per ambo gli stati, con aggiustamenti sulle linee decise nell'accordo di Ginevra (Israele incorpora alcuni territori di confine, dando in cambio eguale quantità e qualità di territorio allo stato palestinese); 2. La condivisione di Gerusalemme e dei suoi luoghi sacri, con ambo gli stati legittimati a stabilire in Gerusalemme la propria capitale nazionale, ove Israele controllerebbe i quartieri ebraici ed armeni, più il Muro e i territori adiacenti, e la Palestina avrebbe il controllo su Temple Mount e le sue moschee; 3. Tutti gli stati partecipanti alla conferenza internazionale metteranno almeno lo 0,1% del loro Pil in un fondo internazionale che offra compensazione ai palestinesi che hanno perduto proprietà, impieghi e residenze nel periodo 1947-1967, ed agli ebrei che fuggirono dagli stati arabi nel medesimo periodo (la compensazione non verrà data a famiglie arabe od ebree il cui reddito complessivo sia superiore ai 5 milioni di dollari).
4. Una forza di polizia congiunta, israeliana-palestinese-internazionale sarà creata per garantire la sicurezza dei confini ad ambo i paesi. Gli Usa e la Nato stipulerebbero con i due stati un patto di mutua sicurezza, in cui assicurano il proprio intervento ad entrambi in caso di aggressione dall'altro, o di qualsiasi paese terzo al mondo.
5. La creazione di una Commissione per la riparazione e la riconciliazione, che porti alla luce tutte le violazioni dei diritti umani da ambo le parti, che istruisca processi formali a coloro che non vogliano spontaneamente testimoniare sul proprio coinvolgimento in tali violazioni, e supervisioni un nuovo curriculum di studi sulla pace per tutte le scuole e le università, curriculum mirato ad insegnare la riconciliazione e la nonviolenza nell'azione e nella comunicazione. Lo scopo precipuo di tale Commissione sarà favorire le condizioni per una riconciliazione dei cuori, e per la reciproca comprensione, riconoscendo che ambo i paesi hanno avuto persone crudeli ed insensibili che necessitano di pentirsi, ed entrambe le parti hanno una legittima narrazione degli eventi che deve essere accettata come punto di vista legittimo dall'altra parte.
Chi sono gli amici di Israele e del popolo ebraico? Coloro che sostengono la via verso la pace e la riconciliazione. Chi sono i loro nemici? Coloro che li incoraggiano a persistere nella fantasia di poter "vincere" militarmente o politicamente. Proprio come i nemici oggettivi dell'America negli anni '60 erano coloro che insistevano nel voler continuare la guerra in Vietnam, e gli amici oggettivi erano i cittadini che vi si opponevano, così oggi gli amici del popolo ebraico sono quelli che fanno tutto il possibile per impedire gli entusiasmi sulle avventure militari israeliane, e per scalzare il rifiuto di trattare i palestinesi come aventi diritto alla libertà ed all'autodeterminazione tanto quanto il popolo ebraico.
Chi sono gli amici dei palestinesi? Coloro che li incoraggiano su un sentiero di nonviolenza, e ad abbandonare la fantasia che la lotta armata, accoppiata all'isolamento politico di Israele, condurrà ad un buon risultato per i palestinesi. Chi sono i loro nemici? Coloro che predicano l'idea di uno "stato unico", o il boicottaggio economico globale, senza capire che il non offrire una stato sicuro agli ebrei in Palestina non produrrà mai nulla di positivo, ma solo resistenza continua da Israele e dal mondo ebraico.
Noi della comunità Tikkun, che siamo amici di ambo le parti, abbiamo chiaro il nostro orientamento. Il nostro scopo è dire la verità, sia ai potenti in Israele, sia agli spossessati in Palestina, e cioè dire ad entrambi che senza un rovesciamento radicale delle direttive strategiche che stanno seguendo non si arriverà a nessun risultato.
Questa verità potrebbe certamente venire ascoltata, la questione è se verrà ascoltata prima che un'altra generazione di arabi e israeliani perda la vita. Poiché a noi importa molto dell'umana sofferenza che c'è da ambo le parti, preghiamo affinché tale verità venga udita, e che i nostri suggerimenti per una risoluzione del conflitto vengano implementati.
E faremo di più che pregare: manifesteremo contro i governi degli Usa, di Israele e della Palestina sino a che non cambieranno direzione. Ci organizzeremo ed informeremo, ed intraprenderemo passi nonviolenti per far arrivare loro il nostro messaggio.
La gente in Medio Oriente sta soffrendo di nuovo mentre militaristi di tutti i fronti, e giornalisti festanti, lanciano missili, bombe, e infinite parole di autogiustificazione per l'ennesimo inutile round di violenza fra Israele ed i suoi vicini. Per coloro fra noi ai quali importa molto della sofferenza umana, questo ultimo episodio di irrazionalità evoca lacrime di tristezza, incredulità per la mancanza di empatia da ogni lato, rabbia per quanto poco sembra si sia appreso dal passato, e momenti di disperazione mentre vediamo di nuovo gli ideali religiosi e democratici subordinati al cinico "realismo" militarista.
I sostenitori di ambo le parti, contenti di ignorare l'umanità dell'Altro, si affrettano ad assicurare ai loro collegi elettorali che la colpa è sempre del nemico. Tutti questi sforzi non hanno senso. Siamo in presenza di un conflitto che si è protratto per oltre un secolo. Ha poca importanza chi abbia accostato l'ultimo cerino alla pietra focaia. Quello che è veramente importante è come rimediare alla situazione. Il gioco del biasimo serve solo a spostare l'attenzione dall'argomento centrale.
Nel gioco del biasimo ce n'è per tutti. Dipende solo da dove fai cominciare la storia. Contando sulla generale mancanza di memoria storica, i partigiani dell'uno o dell'altro fronte scelgono di dar inizio alla narrazione dal luogo in cui essi sono "le vittime che hanno ragione" e gli altri "i malvagi aggressori". Ai palestinesi piace partire dal 1948 e dall'espulsione di migliaia di loro dalle loro case durante la guerra ad Israele, proclamata dai confinanti stati arabi, e dal rifiuto del governo israeliano di permettere il ritorno di queste persone quando le ostilità furono cessate.
Agli israeliani piace partire da quando gli ebrei cercavano disperatamente di sfuggire al genocidio che subivano in Europa, e una cinica dirigenza araba convinse l'esercito britannico a sostenere i locali palestinesi che cercavano di impedire a questi rifugiati di raggiungere gli altri ebrei che vivevano in Palestina a quell'epoca.
Io racconto questa storia, e il modo di comprendere ambo le parti nel mio libro Healing Israel/Palestine (Guarire Israele e la Palestina).
Oppure si può iniziare da fatti più recenti, dall'escalation di violenza di questa estate. Ma dove esattamente è cominciato il tutto? Per favore, andate al sito web di B'tselem, organizzazione israeliana per i diritti umani, e osservate come ciascuna parte denuncia gli atti criminosi dell'altra.
Fin dalla morte di Yasser Arafat, e dall'assunzione di potere del presidente palestinese Mahmoud Abbas, le principali fazioni politiche palestinesi, Fatah e Hamas, hanno osservato l"hudna", cioè il cessate il fuoco.
Eppure Israele, sottolineando il fatto che la polizia di Abbas (decimata dai bombardamenti israeliani durante la seconda Intifada del 2001-2003) era incapace di contenere completamente la violenza di Hamas, della Brigata dei martiri di Al-Aqsa e della Jihad islamica, ha usato questa debolezza per proclamare che non c'era "nessuno con cui parlare" quando le forze di pace in Israele chiesero prima ad Ariel Sharon e poi a Ehud Olmert che le richieste palestinesi di negoziazione venissero accettate.
Invece, Israele annunciò un ritiro unilaterale da Gaza e dal Nord della West Bank (realizzato nel 2005) e da ulteriori parti di quest'ultima (che avrebbe dovuto iniziare questa estate con la rimozione di insediamenti illegali), il che di fatto creerebbe nuovi confini che incorporano in Israele territori che Israele stessa ha convenuto di lasciare durante gli anni '90.
"Tikkun magazine" [la rivista diretta da Michael Lerner - ndr] e le forze di pace israeliane avvisarono che un ritiro unilaterale, cui l'Autorità palestinese si opponeva, avrebbe accresciuto la credibilità delle asserzioni di Hamas, cioè che gli sforzi dell'Autorità palestinese verso la nonviolenza non avevano prodotto altro che il rifiuto israeliano di discutere, mentre gli atti di violenza di Hamas e della Jihad islamica a Gaza avevano condotto al ritiro dei soldati.
Non dovrebbe essere difficile capire perché Sharon andò avanti con il ritiro unilaterale. La sua intenzione dichiarata era di mantenere quanto più possibile della West Bank, e sarebbe stato molto più facile convincere il mondo che non c'era "nessuno con cui parlare" se Hamas avesse vinto le elezioni, poiché Hamas è universalmente riconosciuto come gruppo terroristico.
Quando i palestinesi caddero nella trappola, ed elessero un governo guidato da persone che rifiutano di riconoscere ad Israele il diritto ad esistere, è stato semplice per Olmert continuare l'unilateralismo di Sharon ed annunciare piani per il ritiro dalla West Bank che avrebbero coperto l'annessione, da parte di Israele, di porzioni significative dei Territori occupati.
Hamas ha svolto il ruolo previsto, lanciando missili Qassam su centri abitati israeliani, "provando" una volta di più alla destra israeliana che ogni tipo di ritiro non farebbe che intensificare la vulnerabilità di Israele, e dando ai falchi le ragioni per opporsi, visto che il ritiro precedente non ha portato pace a Gaza.
Naturalmente, dal punto di vista di Hamas, questo è solo un episodio di una lotta continua per la liberazione di migliaia di palestinesi che vengono arrestati (o dalla prospettiva palestinese: rapiti), incarcerati senza imputazioni e senza processo per sei mesi in vasti campi di prigionia, spesso soggetti a torture.
Ma Hamas, dovendo fronteggiare un boicottaggio economico (incluso il non versamento ad Hamas delle tasse pagate ad Israele dai palestinesi, che Israele aveva precedentemente promesso di versare all'Autorità palestinese) che gli impedisce di far funzionare il governo, fa dichiarazioni che indicano la possibilità di un riconoscimento di Israele in risposta al "Documento dei prigionieri", che è stato firmato da ogni fazione di palestinesi trattenuti nelle carceri israeliane.
Per i militaristi israeliani, e per i coloni, il riconoscimento da parte di Hamas sarebbe stato una clamorosa sconfitta propagandistica. Perciò nel giro di pochi giorni gli Israeliani hanno cominciato a cannoneggiare Gaza (ufficialmente per fermare il lancio di missili di Hamas). Uno dei proiettili è finito sulla spiaggia, e ha ucciso una famiglia di otto persone che si stava semplicemente godendo il sole e il mare.
Pochi giorni più tardi, un gruppo di Hamas ha catturato il soldato israeliano Gilad Shalit, ed Israele ha usato questo come una scusa per implementare un piano che aveva progettato mesi prima: rientrare a Gaza e distruggere le infrastrutture di Hamas.
A questo punto un'enorme escalation ha preso piede. Invece di concentrarsi sull'effettiva capacità di Hamas di agire la guerra, Israele ha scelto la via della punizione collettiva, una frequente quanto inefficace misura di contrasto per l'insorgenza, usata per eliminare il sostegno pubblico ai movimenti di resistenza.
Nell'oppressiva calura dell'estate, Israele ha bombardato la rete di distribuzione elettrica, eliminando a Gaza la fornitura di acqua e dell'elettricità necessaria per mantenere i sistemi di refrigerazione, provocando un drammatico calo del cibo disponibile in un'area già sconvolta, in cui vivono più di un milione di persone.
Questo atto è una violazione del diritto internazionale, come lo sono gli arresti di migliaia di individui e i missili di Hamas sui centri abitati.
In risposta, i combattenti di Hezbollah, che hanno occupato le terre abbandonate da Israele quando Israele terminò la sua occupazione del sud del Libano nel 2000, hanno lanciato un attacco alle truppe israeliane, violando gli accordi che si sarebbe mantenuta la pace su quel confine, accordi che avevano reso politicamente possibile il ritiro di Israele dal Libano, senza paura che i suoi cittadini del nord dovessero essere ancora bersaglio di missili: cittadini che dal 1982, quando Israele invase il Libano, non avevano fatto altro che entrare ed uscire dai rifugi antibombe.
Dal punto di vista di alcuni nel mondo arabo, l'attacco alle truppe nel nord di Israele è stato un atto di solidarietà islamica in risposta all'escalation perseguita da Israele contro l'intera popolazione di Gaza.
Costoro argomentano che non si debba chiedersi perché loro hanno agito così, ma perché il resto del mondo non agisca chiedendo che Israele metta fine all'oltraggiosa punizione collettina di un milione di persone a causa delle azioni di pochi. Quando l'Onu tentò di agire, il governo di destra degli Usa mise il veto ad una risoluzione sostenuta dalla maggioranza del Consiglio di Sicurezza.
Dal punto di vista di Israele, gli attacchi di Hezbollah sono stati una palese violazione degli accordi che avevano tenuto Israele fuori dal Libano negli ultimi sette anni. Ed in effetti il far subire a civili bombardamenti a casaccio con lo scopo di terrorizzarli è una violazione del diritto internazionale e dei diritti umani.
Hezbollah si sta mostrando come la forza terrorista che Israele ha sempre sostenuto fosse. La gente che vive ad Haifa o a Tsfat o in dozzine di altri luoghi in Israele sta in questo momento vivendo lo stesso tipo di paura che richiama terrori già sperimentati in precedenza (alcuni sono sopravvissuti all'Olocausto, altri sono i figli dei sopravvissuti, e molti hanno vissuto guerre che erano specificatamente dirette all'annientamento di Israele).
Queste paure saranno sfortunatamente assai facili da manovrare per i politici di destra negli anni che verranno.
Nè dovremmo sottovalutare il comportamento di Iran e Siria nello stimolare disordini e destabilizzazione. Mentre vi sono persone in ambo i paesi che si sentono sinceramente ferite dalle azioni di Israele nei confronti dei correligionari musulmani, il record di indifferenza per le cattive condizioni dei palestinesi nei loro stessi paesi ed il rifiuto di fornire aiuto materiale alla Palestina affinché essa possa costruire la propria infrastruttura economica, suggerisce che l'assistenza prestata ad Hezbollah viene più dalla ricerca di un vantaggio politico e di dominio in Medio Oriente, che da una vera solidarietà morale con il popolo palestinese.
L'Iran, un paese il cui presidente ha più volte negato che vi sia mai stato un Olocausto, e che esplicitamente afferma di avere lo scopo di distruggere lo stato di Israele, dà agli israeliani ragioni reali di temere, quando i suoi vicini Hezbollah o Hamas sviluppano la capacità di sparare missili sui centri abitati del paese.
Cosa avrebbe potuto fare Israele? Bene, se vi fosse stato Ariel Sharon al potere, avendo costui imparato la sua lezione proprio in Libano, è probabile che avrebbe fatto la stessa cosa che fu fatta due anni orsono, quando un uomo d'affari israeliano fu catturato dal "nemico": uno scambio di prigionieri, in cui centinaia di detenuti vengono rilasciati per un singolo israeliano. Questo scambio è stato chiesto da Hamas, ed implorato dalla famiglia di Gilad Shalit, ma è stato respinto dal governo israeliano.
Vi prego di leggere le analisi di questo errore, ed altri articoli che esaminano la situazione attuale su "Current Thinking", nel sito www.tikkun.org Vi è il comune convincimento fra i pacifisti israeliani che il primo ministro Ehud Olmert ed il suo ministro della Difesa laburista Amir Peretz sentano la necessità politica di mostrare che sono "forti" e perciò l'attacco e l'invasione del Libano sono le loro uniche strategie. Per il bene dei loro ego e della loro futura spendibilità politica, "devono" procedere con la folle escalation contro il popolo libanese, la maggior parte del quale ha esercitato i propri diritti democratici rigettando le promesse elettorali di Hezbollah, e votando un governo che contiene Hezbollah come piccola minoranza.
Cosa potrebbe ormai fare Israele? Potrebbe ridefinire la questione come violazioni minori ai confini, scambiare i prigionieri, annunciare unilateralmente che non terrà più nessuno in detenzione per un periodo superiore a tre giorni senza inoltrare una formale denuncia penale contro coloro che hanno agito violentemente, e rilasciando tutti gli altri.
Potrebbe dare inizio a veloci e pubblici processi, e punire chiunque (soldato o ufficiali di Shin Bet ed Aman) abbia usato la tortura, o - come la definiscono loro - la "moderata pressione", sui prigionieri.
Potrebbe immediatamente annunciare la propria intenzione di rafforzare la posizione del presidente dell'Autorità palestinese Abbas, consegnandogli i soldi delle tasse, e aprire una negoziazione sullo "status finale" entro due mesi.
E nel frattempo, Israele potrebbe cominciare a smantellare il muro di separazione, e promettere di ricostruirlo solo lungo le linee di un confine internazionale su cui siano d'accordo ambo le parti. E Israele potrebbe unilateralmente censurare la propaganda antipalestinese all'interno dei media controllati dal governo, e cominciare a costruire una cultura della nonviolenza, e rendere consapevoli gli israeliani rispetto alla necessità di compensazioni per i palestinesi rifugiati.
Cosa potrebbero fare i palestinesi? Il presidente Abbas potrebbe annunciare che invita Israele a formare una forza mista israelo-palestinese di confine, di modo da garantire che non vi siano più aggressioni ai civili israeliani, in cambio dell'immediata apertura dei negoziati sullo "status finale", prima che si diano ulteriori ritiri dalla West Bank. Ci sono state polizie miste e coordinamento di forze di sicurezza sino al settembre 2000, ed esse contribuivano a mantenere basso il livello di violenza, sino a che Ariel Sharon non compì la sua provocatoria passeggiata a Temple Mount [la Spianata delle moschee a Gerusalemme; l'episodio cui si fa riferimento fu l'atto simbolico di provocazione che funse da detonatore della seconda Intifada - ndr].
Abbas potrebbe poi dichiarare che il popolo palestinese che lo ha eletto è impegnato in una lotta nonviolenta (nonviolenta, non passiva) per porre fine all'occupazione, ma che chiunque agisca violentemente contro israeliani o palestinesi verrà processato e, se trovato colpevole, perderà la cittadinanza palestinese.
Abbas potrebbe recarsi nella West Bank e a Gaza a discutere di nonviolenza, potrebbe implementare una fine immediata alla retorica antisemita ed antisraeliana della stampa palestinese e nelle scuole palestinesi, e ribadire che è determinato nel voler costruire una cultura nonviolenta in Palestina.
Cosa gli Usa e gli stati occidentali potrebbero fare? Essi potrebbero indire immediatamente una conferenza internazionale, in cui siano rappresentate tutte le nazioni del mondo che sono disposte ad accettare il diritto di Israele ad esistere all'interno dei confini del 1967 ed il diritto dei palestinesi ad esistere a Gaza e nella West Bank, e favorire un accordo che sia gradito ad ambo le parti e garantisca pace e sicurezza ad entrambe. Ogni paese partecipante sarebbe ammesso alla conferenza dopo aver depositato su una banca internazionale neutrale l'equivalente dello 0,1% del suo Pil, allo scopo di creare un fondo internazionale che serva a riparare i danni come descrivo più sotto.
Come la comunità Tikkun ha già detto in passato, i termini dell'accordo dovrebbero includere: 1. Confini definiti per ambo gli stati, con aggiustamenti sulle linee decise nell'accordo di Ginevra (Israele incorpora alcuni territori di confine, dando in cambio eguale quantità e qualità di territorio allo stato palestinese); 2. La condivisione di Gerusalemme e dei suoi luoghi sacri, con ambo gli stati legittimati a stabilire in Gerusalemme la propria capitale nazionale, ove Israele controllerebbe i quartieri ebraici ed armeni, più il Muro e i territori adiacenti, e la Palestina avrebbe il controllo su Temple Mount e le sue moschee; 3. Tutti gli stati partecipanti alla conferenza internazionale metteranno almeno lo 0,1% del loro Pil in un fondo internazionale che offra compensazione ai palestinesi che hanno perduto proprietà, impieghi e residenze nel periodo 1947-1967, ed agli ebrei che fuggirono dagli stati arabi nel medesimo periodo (la compensazione non verrà data a famiglie arabe od ebree il cui reddito complessivo sia superiore ai 5 milioni di dollari).
4. Una forza di polizia congiunta, israeliana-palestinese-internazionale sarà creata per garantire la sicurezza dei confini ad ambo i paesi. Gli Usa e la Nato stipulerebbero con i due stati un patto di mutua sicurezza, in cui assicurano il proprio intervento ad entrambi in caso di aggressione dall'altro, o di qualsiasi paese terzo al mondo.
5. La creazione di una Commissione per la riparazione e la riconciliazione, che porti alla luce tutte le violazioni dei diritti umani da ambo le parti, che istruisca processi formali a coloro che non vogliano spontaneamente testimoniare sul proprio coinvolgimento in tali violazioni, e supervisioni un nuovo curriculum di studi sulla pace per tutte le scuole e le università, curriculum mirato ad insegnare la riconciliazione e la nonviolenza nell'azione e nella comunicazione. Lo scopo precipuo di tale Commissione sarà favorire le condizioni per una riconciliazione dei cuori, e per la reciproca comprensione, riconoscendo che ambo i paesi hanno avuto persone crudeli ed insensibili che necessitano di pentirsi, ed entrambe le parti hanno una legittima narrazione degli eventi che deve essere accettata come punto di vista legittimo dall'altra parte.
Chi sono gli amici di Israele e del popolo ebraico? Coloro che sostengono la via verso la pace e la riconciliazione. Chi sono i loro nemici? Coloro che li incoraggiano a persistere nella fantasia di poter "vincere" militarmente o politicamente. Proprio come i nemici oggettivi dell'America negli anni '60 erano coloro che insistevano nel voler continuare la guerra in Vietnam, e gli amici oggettivi erano i cittadini che vi si opponevano, così oggi gli amici del popolo ebraico sono quelli che fanno tutto il possibile per impedire gli entusiasmi sulle avventure militari israeliane, e per scalzare il rifiuto di trattare i palestinesi come aventi diritto alla libertà ed all'autodeterminazione tanto quanto il popolo ebraico.
Chi sono gli amici dei palestinesi? Coloro che li incoraggiano su un sentiero di nonviolenza, e ad abbandonare la fantasia che la lotta armata, accoppiata all'isolamento politico di Israele, condurrà ad un buon risultato per i palestinesi. Chi sono i loro nemici? Coloro che predicano l'idea di uno "stato unico", o il boicottaggio economico globale, senza capire che il non offrire una stato sicuro agli ebrei in Palestina non produrrà mai nulla di positivo, ma solo resistenza continua da Israele e dal mondo ebraico.
Noi della comunità Tikkun, che siamo amici di ambo le parti, abbiamo chiaro il nostro orientamento. Il nostro scopo è dire la verità, sia ai potenti in Israele, sia agli spossessati in Palestina, e cioè dire ad entrambi che senza un rovesciamento radicale delle direttive strategiche che stanno seguendo non si arriverà a nessun risultato.
Questa verità potrebbe certamente venire ascoltata, la questione è se verrà ascoltata prima che un'altra generazione di arabi e israeliani perda la vita. Poiché a noi importa molto dell'umana sofferenza che c'è da ambo le parti, preghiamo affinché tale verità venga udita, e che i nostri suggerimenti per una risoluzione del conflitto vengano implementati.
E faremo di più che pregare: manifesteremo contro i governi degli Usa, di Israele e della Palestina sino a che non cambieranno direzione. Ci organizzeremo ed informeremo, ed intraprenderemo passi nonviolenti per far arrivare loro il nostro messaggio.