La storia di Shaymaa Shurrab, pediatra palestinese all’European Gaza hospital di Khan Younis, si prende cura dei bambini della sua terra, nonostante i mille impedimenti
Ci sono vite che passano inosservate, i cui ardenti racconti invece penetrano violentemente sotto la pelle. Questa è la storia della dottoressa dal velo bianco.
Il suo nome è Shaymaa Shurrab. Ha 28 anni. È nata in Arabia Saudita da una famiglia palestinese, ha trascorso la sua infanzia nel villaggio di Abha, non lontano dalle coste del Mar Rosso. Durante la guerra del Golfo del 1991 lei e la sua famiglia furono strappati dalle montagne saudite, trattenuti sul confine giordano e poi deportati nella Striscia.
I primi anni dell’adolescenza e le scuole correvano parallelamente, fino al giorno in cui, tra migliaia di studenti, le fu affidata una borsa di studio per frequentare la facoltà di Medicina in Siria, all’università di Damasco. A 16 anni si è ritrovata improvvisamente donna, senza una famiglia a cui chiedere conforto, senza la quiete dell’infanzia ma solo con responsabilità, obblighi e saggezza da imparare. Anche quegli anni passano velocemente e si ritrova medico, in un paese diverso dal suo paese che sente fortemente come la sua casa, con gente diversa dalla sua gente, che sente come la sua famiglia.
A causa dell’assedio israeliano sulla Striscia di Gaza e la continua chiusura del valico di Rafah, al confine tra la Striscia e l’Egitto, i risparmi di quei quattro anni la portarono a rivedere i suoi genitori a Gaza soltanto nel 2008. Il 2008 fu un doloroso anno nel taccuino degli avvenimenti, accuratamente custodito dalla Striscia di Gaza, per i sanguinosi e selvaggi attacchi da parte delle forze israeliane contro gli obiettivi sospettati di essere legati al governo di Hamas. Parliamo di quella che oggi i libri ricordano come “operazione Piombo fuso”. Era il dicembre 2008. I morti solo durante la prima giornata di bombardamenti, un sabato di freddo sole invernale, furono 300. In tutto si contarono circa 700 vittime. In qualsiasi strada, vicolo, viale si poteva sentire l’odore di sangue, il sapore della morte, l’essenza di corpi martoriati per avere la sola colpa di difendere le loro case, le loro storie, le loro vite, le loro idee. Shaymaa per qualche mese lavora come volontario a Khan Younis, nell’European Gaza hospital. Finalmente la Rafah circondata da alte mura, apre i suoi cancelli e Shaymaa raggiunge di nuovo la Siria dove inizia la sua specializzazione in pediatria. Dopo gli 11 anni di solitudine, fede, duro lavoro, intervallati da attimi di cupo sconforto, passati a Damasco, Shaymaa oggi è la pediatra che si prende cura dei bimbi della sua terra, nonostante i mille impedimenti e gli incoerenti ostacoli.
Nella guerra civile scoppiata in Siria nel 2011, per Bashar Al-Assad ogni palestinese risultava colpevole a causa della sua nazionalità. L’unica colpa era il possesso di un passaporto palestinese. Così Shaymaa per l’ennesima volta è stata scaraventata inumanamente al di là del muro della Striscia.
Oggi, instancabile, con il suo composto hijab bianco che le tiene coperta la testa, lavora nella terapia intensiva neonatale dell’European Gaza hospital. È stata il nostro braccio destro in rianimazione durante la missione di cardiochirurgia pediatrica. Precisa, intelligente, competente cura i suoi bambini, supporta e sostiene i grigi timori dei genitori. Ed ecco il suono intenso della sua voce “the only thing that could stop me is death”.
Nena News
Fonte: Nena News - agenzia stampa vicino oriente
Segnalato da Martina Luisi