Nel condividere queste brevi riflessioni mi piace ripensare da un lato all'invito di Vittorio Arrigoni a “restare umani”, che io declinerei “a ritornare ad essere umani”, tenendo conto che a mio avviso questa qualità la stiamo perdendo, dall'altro ad alcune considerazioni fatte da Gianni Tognoni1 ad un seminario del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza)2 che mi sembrano quanto mai pertinenti come premessa al ragionamento che andrò sviluppando.
"Ad un certo punto è emerso progressivamente nella storia qualcosa che è stato visto come la grande marcia trionfale della politica e dell'economia: l'economia è cresciuta e ha fatto via via terra bruciata di tutte le altre ideologie politiche e, con gli anni '80, col ruolo crescente del FMI, della Banca mondiale, della organizzazione mondiale del commercio – divenuta di fatto la sostitutiva della dichiarazione universale dei diritti umani – ha prodotto il trionfo di una politica in cui, molto silenziosamente, si è verificato un evento globale terribile: la SCOMPARSA DELLE PERSONE, DEGLI UMANI, DEI CITTADINI, che non sono più i soggetti di nessuna politica, perché la sola politica che conta è quella fatta per favorire le merci e i loro controllori.
Il problema è molto importante, perché questa lunga incubazione di una politica “altra” mostra come proprio il processo di alfabetizzazione (con un capovolgimento del discorso di don Milani), il linguaggio, finiscono poi per condizionare le relazioni: se uno nel linguaggio usa solo termini che hanno a che fare con cose, beni, le persone pian piano scompaiono.
Oggi viviamo una crisi che è fatta di una cronaca in cui le persone non esistono più."
Quando parliamo della crisi, della disoccupazione, delle pensioni, dell'esigenza del bilancio e di ridurre il debito siamo sommersi da una valanga di numeri e di considerazioni, nei quali però gli ultimi quelli che vengono espulsi dalla rete di solidarietà perdono la dimensione umana, diventano solo ed esclusivamente dei “casi”, delle “situazioni”.
Parliamo dell'aumento delle disuguaglianze e della povertà, quasi dimenticando che in quelle due categorie vi sono persone umane che sono disuguali da altri e che sono in povertà.
Poiché questa crisi economica e il modello culturale che le sottende hanno devastato il nostro sistema di relazioni sociali e culturali, i nostri riferimenti ideali e di valori, questa “scomparsa dell'essere umano” dalle nostre coscienza e dal nostro linguaggio diventa emblematico quando ci riferiamo al fenomeno dell'immigrazione, che, molto di più di altri aspetti di questa crisi, tocca la nostra pancia, le nostre paure e i nostri istinti più bassi.
D'altra parte tutto ciò diventa funzionale esclusivamente per il consenso politico, perché eliminare dal nostro linguaggio e dalla nostra coscienza ogni riferimento primario alla dimensione umana, ci porta poi ad accettare di percorrere ogni tipo di strada, anche le più aberranti.
Le persone, nell'immaginario e nel linguaggio collettivo, non esistono più e con la loro scomparsa rimane esclusivamente l'IO: il mio bisogno di sicurezza e di tutela che ammette anche la negazione dell'altro e la possibilità di calpestarlo.
Paradossalmente quando affermiamo con forza “prima gli italiani”, non facciamo altro che estendere questa cultura dell'IO ad un collettivo che identifichiamo con l'essere italiani, quasi che ciò significhi appartenere ad una “razza” (nonostante questo concetto sia privo di significato e significante) superiore e neghiamo la condizione umana a tutti gli altri esclusi, laddove invece solo una lotta collettiva degli esclusi, pone al centro il tema fondamentale delle disuguaglianza3.
Non altrimenti, ad esempio, è possibile comprendere il favore dell'opinione pubblica, e di conseguenza la linea politica di alcune forze politiche che, in qualche modo alimenta e giustifica, a:
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bloccare gli sbarchi abbandonando i migranti nei lager libici o turchi, senza domandarci quale violenza e quale business esista in quel contesto.
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Salutare come positive le scelte di impedire alle navi delle ong di salvare le persone umane, introducendo una serie di norme e di condizioni che ne rendono impossibile l'azione.
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Collegare il tema della presenza di immigrati alla nostra percezione di insicurezza, laddove invece il vero tema è collegare il degrado di un territorio, di una comunità e di una convivenza, che determina esclusione ed espulsione dal contesto sociale, con il tema della percezione di insicurezza.
Tutto ciò è inevitabilmente in relazione ad una politica che, ignorando nelle contraddizioni e nelle disuguaglianze la persona umana, ha scelto di evitare la complessità delle problematiche, andando a cercare la scorciatoia più facile che da immediate risposte dal nostro IO (individuale e collettivo).
In tale ottica diventa significativo il mantra delle “mani libere sui migranti” che caratterizza il programma di governo di destra “giallo-verde”, perché esprime bene come per noi queste non siano persone, ma sono un problema, legato e connesso esclusivamente all'ordine pubblico.
Così come nel momento in cui si decide di chiudere i porti alle navi che trasportano migranti questa posizione politica, ma sopratutto culturale, esprime con forza, a prescindere poi della reale possibilità di attuarla, la completa perdita della dimensione umana... quei migranti non sono persone come noi, sono solo numeri che possiamo benissimo ricacciare nei lager libici e turchi... lager per il cui mantenimento siamo disposti anche pagare ingenti somme di euro.
Se invece provassimo a fare l'esercizio morale di guardare i volti e i drammi di quei 150.000 migranti che ospitiamo nelle strutture e ponessimo un po' più di attenzione a quelle disuguaglianze globali che abbiamo generato e favoriamo per assicurare il nostro tenore di vita, allora forse ci approcceremo a questo problema così complesso con altri atteggiamenti, valutando anche come questo esodo sia legato non solo ai conflitti armati, ma anche alla fame, alla povertà e al dissesto ambientale, di cui spesso siamo noi la causa, avendo costruito un mondo fondato sulla disuguaglianza4.
In tale ottica, a differenza anche dai contenuti programmatici del contratto di governo stipulato tra Lega e M5S, il vero argomento all'ordine del giorno, la vera sfida di una politica alta, è il tipo e modello di accoglienza che siamo capaci di proporre affinché non si determini degrado ed abbandono e, sopratutto, come è possibile far si che il processo di accoglienza diventi un processo virtuoso di integrazione e di lotta a tutte le disuguaglianze.
Il fatto che gli ultimi governi non siano stati capaci, o non abbiano voluto, affrontare il tema dell'accoglienza, relegandolo a pura gestione di fenomeni emergenziali, non giustifica il fatto che sia la scelta dell'accoglienza l'elemento da abbandonare.
Il tema non è il respingimento, che nasce in una cultura politica che vuole negare l'uomo come momento principe, ma invece che modello di accoglienza siamo in grado di proporre, costruendo una sistema sociale che vada incontro agli ultimi, a prescindere della loro nazionalità o fede.
L'ingente somma destinata ai Centri di Accoglienza Straordinaria potrebbe essere utilizzata per proporre un percorso di accoglienza che sia finalizzato alla formazione e all'inclusione.
Quindi la costruzione di un progetto con l'obiettivo di offrire ai migranti accolti un percorso di formazione e di inclusione nel sistema sociale.
Uscire dalla logica dell'emergenza e pensare all'accoglienza come un progetto che serva all'intera comunità sociale, togliendola da una gestione completamente privatistica, ma nel quale tutti i soggetti pubblici si assumono le proprie responsabilità e il proprio protagonismo, insieme all'associazionismo.
In tale ottica, diventando un progetto nazionale, deve essere introdotto l'obbligo, magari incentivato, da parte dei Comuni di accogliere profughi e programmare iniziative... facendo si che la distribuzionedi questi su 8000 comuni comporti una incidenza sulle comunità locali minore ed una maggiore possibilità di costruire progetti virtuosi.
Al fine sopratutto di creare coesione sociale tra i profughi e le comunità autoctone, potrebbe essere utile l'impiego dei profughi in percorsi di formazione e, insieme agli italiani coinvolti, in lavori socialmente utili, evitando ovviamente le forme di sfruttamento di manodopera, ma creando le condizioni per favorire una percezione diversa dell'altro... stringendo un'alleanza sociale tra gli esclusi, a prescindere dalla nazionalità.
Costruire un progetto diventa l'unico strumento reale per rafforzare una cultura dell'accoglienza e della solidarietà, in assenza del quale hanno campo libero le parole d'ordine razziste e di rifiuto, così care a quella politica che sa parlare alla pancia dei cittadini e cerca il suo consenso nella paura, anziché nel costruire ponti che vadano a superare i problemi.
Massa, 30 maggio 2018
Note
1Dal 1969 ricercatore presso il Laboratorio di Farmacologia dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano di cui diventa responsabile nel 1976. E' esperto al livello internazionale di Epidemiologia clinica e comunitaria per la valutazione dell'efficacia clinica e delle epidemiologia della prescrizione dei farmaci. E' segretario del Tribunale Permanente dei popoli.
2Sintesi non corretta dell'intervento all'incontro del Gruppo spiritualità del CNCA a Marore il 3 Maggio 2018
3Ricordiamo don Lorenzo Milani in "L'obbedienza non è più una virtù": "Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri"
4Nonostante questo continuiamo con arroganza sorprendente a continuare a pensare che diritto di asilo spetti solo a chi fugge da guerre, negando tale possibilità ai profughi per fame, a quelli ambientali, a quelli economici.