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”UE, non investire in armi!”, lo chiedono quasi 120.000 cittadini europei

I Capi di Stato e di Governo della Unione Europea si incontrano oggi a Brussels per il Summit Europeo di Giugno, e discuteranno anche delle proposte della Commissione per un “Fondo Europeo della Difesa”.

In una petizione online specifica, diffusa su tutto il territorio continentale e tradotta in cinque lingue, più di 117.500 cittadine e cittadini europei hanno finora espresso la loro contrarietà all'uso di fondi pubblici della UE per ricerca e sviluppo di nuovi armamenti. “Decine di migliaia di europei - in particolare da Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia – si sono velocemente mobilitati per dare un segnalo chiaro ai propri governanti: vogliono vivere in una Unione sicura ma non credono che ciò si possa ottenere spendendo miliardi di euro in armi. Soldi che andranno soprattutto a fornire sussidi all'industria militare. Credono invece che ci siano modi migliori di spendere il denaro delle proprie tasse per assicurare che l'UE sia un territorio sicuro” afferma Virginia López Calvo, Senior Campaigner di We Move Europe (WeMove.EU).

L'Unione Europea è ad un bivio: sostenere una Pace poco finanziata o contribuire alla corsa globale agli armamenti?

Lo scorso 7 giugno la Commissione Europea ha proposto di aggiungere 500 milioni di euro sia nel 2019 che nel 2020 alla fase di sviluppo nuovi prodotti militari già iniziata con i 90 milioni destinati alla “Azione Preparatoria per la ricerca nella difesa”. Un programma che ha visto per la prima volta l'utilizzo di fondi europei in ambiti militari e che copre il periodo 2017-2019. Dal 2021 queste cifre già enormi dovrebbero crescere ulteriormente, raggiungendo il totale di 1,5 miliardi di euro all'anno sia per la ricerca che per lo sviluppo di nuovi prodotti e tecnologia militare. Questo piano proposto dalla Commissione porterà automaticamente ad un taglio drastico di altre attività di natura civile, poiché il budget europeo attuale è rigidamente fissato per ogni anno, ed è poco probabile che gli Stati Membri dedicano di aumentare i propri contributi dopo il 2020 (senza dimenticare la perdita dei fondi britannici quando verrà definita e formalizzata la cosiddetta Brexit).

L'obiettivo principale e dichiarato di queste nuove misure è quello di rafforzare la competitività dell'industria a produzione militare, inclusa la sua capacità di esportazione. “Nel contesto attuale di aspra competizione nel settore degli armamenti e mancanza di linea politica comune, il risultato più plausibile di questo nuovo fondo per la difesa sarà quello di vedere massicciamente esportata della tecnologia militare pagata con i soldi della UE, contribuendo dunque ad aumentare negativamente la corsa agli armamenti. Ciò ha veramente poco a che fare con la protezione dei cittadini europei” commenta Laëtitia Sédou, Programme officer per l'UE del network continentale ENAAT (European Network Against Arms Trade) di cui anche Rete Disarmo fa parte.

Esiste anche un alto rischio che la maggior parte di questi fondi UE finiscano nei bilanci delle principali industrie militari europee che, non a caso, hanno le proprie sedi principalmente nelle prime 5 nazioni dell'Unione per export militare: Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna e Italia. I governi di questi 5 Paesi sono, a turno e non sorprendentemente, i principali fautori dell'incremento di questo fondo.

Le usuali motivazioni a supporto di queste scelte (“porteranno più crescita e posti di lavoro”) non hanno un fondamento reale e robusto: poiché l'industria degli armamenti dipende da fondi pubblici crea meno posti di lavoro (e a costi maggiori) di altri settori economici1 e gli investimenti in Ricerca e Sviluppo per questo ambito più che altro spostano occupazione dal civile al militare, per via della scarsità di competenze2. Ci sono modalità più efficaci di creare posti di lavoro e sostenere la crescita economica senza gli impatti negativi legati alla produzione di armi.

Un migliore uso dei soldi dei contribuenti sarebbe quello di concentrarsi sullo sviluppo delle energie rinnovabili e sulla cura dell'ambiente in generale, azione che oltretutto contribuirebbe ad affrontare le vere cause di fondo dell'instabilità globale come il cambiamento climatico e l'accesso alle risorse naturali. Uno dei firmatari della petizione ha scritto: “L'Unione Europea ha guidato il mondo nel mostrare come lavorare insieme in maniera cooperativa sia il miglior modo per creare un mondo pacifico. Un risultato che non si potrà mai ottenere moltiplicando la presenza di armi”.


1R. Pollin & H. Garret-Peltier, “The US Employment Effects of Military and Domestic Spending Priorities”, 2011 update (Amherst, MA: Political Economic Research Institute, University of Massachusetts 2011) and 2017 update

2 Dunne & Braddon: Economic Impact of Military R&D, Flemish Peace Institute 2008


22-06-2017, Brussels - Roma


Contatti:

Francesco Vignarca, 328/3399267 – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Laëtitia Sédou, tel: +32.2.234.30.60  - mobile:+32.496.15.83.91 – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Virginia López Calvo, mobile:+34.6.05.02.36.54 – viQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


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