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Contro la guerra, e senza ipocrisie

Editoriale al n. 545 di “Notizie minime della nonviolenza”, del 12 agosto 2008

Occorre opporsi alla guerra nel Caucaso. Occorre opporsi a tutte le guerre.

E chi si impegna anche per salvare una sola vita, e chi si impegna anche contro una sola violazione dei diritti umani, già per questo merita di essere elogiato. Per questo. Ma non basta.

Dall'Italia levare la voce contro la guerra del Caucaso (o contro il regime birmano, o contro l'occupazione del Tibet o dei Territori palestinesi, o contro i fascismi in Colombia o in Iran, o contro l'imperialismo di Bush o di Putin, o contro i terrorismi fondamentalisti e le mafie transnazionali e gli stati-mafia) è possibile farlo credibilmente solo a condizione di opporsi anche alla guerra in Afghanistan cui l'Italia sta partecipando, solo a condizione di opporsi anche al dispiegarsi della violenza razzista e assassina nel nostro paese, solo a condizione di opporsi ai poteri criminali e all'eversione dall'alto in Italia: altrimenti è un predicar bene e razzolar male.
E forse varrà la pena aggiungere ancora due parole.

La prima: ogni giorno dall'Afghanistan giungono notizie di efferati massacri di persone inermi. Ogni giorno. Ma evidentemente la nostra sensibilità non ne è toccata. Forse non ne è toccata perché tra i responsabili di quei massacri ci siamo anche noi italiani.

La guerra terrorista e stragista in Afghanistan: che viola la legalità costituzionale e il diritto internazionale. La guerra in Afghanistan, che è l'epicentro del maggior conflitto geopolitico del XXI secolo.

Come è possibile che il sempiternamente petulantissimo sedicente pacifismo italiano su tutto sproloqui e su questo taccia? Diciamolo, dunque.

È accaduto che coloro che furono eletti in parlamento nel 2006 con i voti del movimento democratico e pacifista (che era ancora all'epoca un sentimento maggioritario nell'opinione pubblica di questo paese, e fu decisivo per la vittoria della coalizione che si opponeva a Berlusconi) poi legiferarono ripetutamente la prosecuzione della partecipazione militare italiana alla guerra afgana, l'intensificazione del riarmo, gli interventi armati come elemento-chiave della politica estera del nostro paese.

Questi fedifraghi, che oggi in grandissima parte non sono più in parlamento, ma ancora pretendono di essere dirigenti di coloro che hanno tradito quando scelsero di diventare assassini, e ancora riescono a spacciarsi per rappresentanti di una sinistra che hanno prima devastato e giugulato e poi di fatto abbandonato per sempre, non possono oggi dir chiaro questa semplice verità: che gli assassini sono loro. Avessero l'onestà di dirlo, dovrebbero trarne la conseguenza morale ineludibile: l'abbandono per sempre di ogni pubblico ufficio e di ogni rappresentanza; la rinuncia per sempre a prender la parola quando dei pubblici affari si discute.

E coloro che dall'arcipelago pretesamente pacifista e sedicente nonviolento provenendo nel biennio del governo Prodi sostennero quella politica di guerra e di stragi, facendo una dissennata propaganda a favore di essa nelle forme più subdole e più infami, prostituendo la propria storia e il proprio nome, non possono oggi dir chiaro questa semplice verità: che per due anni si sono prestati a fiancheggiare gli assassini.

E coloro che mentre l'Italia era in guerra, in una guerra terrorista e stragista alla quale occorreva opporsi con ogni energia, andavano col cappello in mano dalla sottosegretaria di turno a combinare affari, non possono oggi dir chiaro questa semplice verità: che invece di opporsi alla guerra andavano dai signori della guerra a pietire trenta denari.

E coloro che mentre la guerra infuriava promuovevano campagne dereistiche a fini di mera confusione, e così contribuivano a distrarre l'attenzione da ciò che veramente contava, e lo facevano per rendere un buon servigio ai partiti che in parlamento votavano la guerra e le stragi ed avevano bisogno di poter distogliere l'attenzione da questo crimine facendo proporre da chi si prestava le più inverosimili mirabilia e i più grotteschi diversivi, anche costoro non possono oggi dir chiaro questa semplice verità: che degli assassini sono stati malvagi o stupidi complici.

Non possono dirlo. Ma lo sanno.

È questa la forza del male compiuto: che ti corrompe per sempre.

Per sempre.

Non vi è dunque nulla da fare? Al contrario, c'è da fare tutto.

E in primo luogo promuovere la rinascita nel nostro paese di un movimento contro la guerra e contro il razzismo, antimilitarista e disarmista, contro l'eversione e contro le mafie, per la legalità e i diritti umani di tutti gli esseri umani.

Ma in questo movimento alcune cose devono essere chiare.

Che esso o sarà nonviolento o non sarà. Poiché la nonviolenza è l'unica proposta politica adeguata ai compiti dell'ora.

E quando diciamo nonviolenza diciamo la proposta politica gandhiana, diciamo la teoria critica di Leopardi e di Marx, diciamo la tradizione storica e teorica del femminismo, diciamo il patrimonio di lotte e di pensieri delle oppresse e degli oppressi, diciamo la prospettiva socialista e libertaria, diciamo il principio responsabilità, diciamo il movimento antimafia e la coscienza ecologista, diciamo l'internazionale futura umanità, diciamo Hannah Arendt e Vandana Shiva, Virginia Woolf e Franca Ongaro Basaglia, diciamo - in un solo nome - Luce Fabbri.

E ancora questo chiaro deve essere: che nessuna ambiguità è più ammissibile.

I diritti umani: o li si difende per tutti gli esseri umani, o sono nulla.

La nonviolenza: o tutta o niente.

La pace: che si sostanzia nel disarmo e nella smilitarizzazione, nella costruzione di relazioni di giustizia e di solidarietà, nella lotta contro ogni oppressione; oppure non è pace, ma guerra mascherata.

Solo la nonviolenza può salvare l'umanità.

Questo nostro foglio quotidiano è in Italia - nell'Italia in guerra - il solo, a nostra conoscenza, che anche in questi ultimi anni abbia saputo costantemente mantenere e proporre una posizione e un'azione rigorosamente contro la guerra e rigorosamente nonviolenta - e le due cose per noi sono una sola.

Giorno dopo giorno, mentre tanti cedevano, noi abbiamo tenuto fermo questo principio, questa posizione, che è la posizione, il principio, che Aldo Capitini voleva caratterizzasse il movimento nonviolento e ne fosse fondamentale direttrice d'azione: "l'opposizione integrale alla guerra; la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione".

Detto questo, si promuovano ovunque possibile iniziative per la pace e di pace, favorendo la più ampia partecipazione; ma senza ipocrisie, senza menzogne, senza confusioni, senza cedimenti.