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Il lavoro quotidiano della nonviolenza

Nel preparare il breve intervento di questa sera riflettevo, nei giorni scorsi, sull'approssimarsi del decimo anniversario dell'attacco alle Torri Gemelle, l'11 settembre prossimo, tra tre giorni.

È stato, quello, un evento che ha segnato in modo funesto l'inizio del nuovo secolo, aprendo, o meglio incrementando, una nuova stagione di guerre. Già a partire dal 1991, con la prima guerra del Golfo, vi erano stati sintomi di una nuova stagione di rilegittimazione della guerra.

Dopo l'Iraq, le guerre balcaniche e l'intervento in Kossovo, l'Afghanistan, e oggi la Libia, la guerra è diventata parte della nostra "normalità". Certo sono situazioni differenti e il dibattito nel movimento per la pace è a volte aspro su questi diversi casi e modi di reagire agli interventi armati in situazioni di guerra civile o di fronte agli attacchi terroristici. Certamente la pretesa di sconfiggere il terrorismo con la guerra si è rivelata un'illusione, e dieci anni di presenza in Afghanistan sono lì a dimostrarlo.

Ma cosa fa il movimento per la pace, cosa possiamo fare noi cittadini di fronte a questi processi che sembrano travolgerci? Certo, riuscire a fermare la guerra quando è iniziata è molto difficile, se non impossibile. Come possiamo, allora, contrastare la cultura di guerra, la preparazione e la realizzazione degli interventi militari, in modo da renderli obsoleti e non più proponibili, in modo da "cacciare la guerra fuori dalla storia"? E come, allo stesso tempo, affrontare le prepotenze, le disparità, le oppressioni e i conflitti che ne conseguono? È un processo che richiede un lavoro lungo e costante, ma che è alla portata di tutti noi. Si articola su più livelli.

Uscire dalla spirale della violenza che vuole porre fine alla violenzaLa guerra è sempre "giusta/giustificata", c'è sempre qualche buona ragione per legittimare l'intervento armato (la prima guerra mondiale non era stata giustificata come la guerra che avrebbe posto fine alle guerre?). È necessario allora fare questo primo passaggio mentale, culturale: la violenza non ferma la violenza, ma non fa che incrementarla, perpetuarla. Anche quando sembra, apparentemente, "risolvere" un conflitto, in realtà pone le basi per il prossimo. Perché, come scrive Etty Hillesum, "ogni atomo di odio che aggiungiamo al mondo lo rende ancor più inospitale" (Diario, p. 212); perché se io voglio avere potere su di te, tu farai il possibile per avere potere su di me; se io voglio soggiogare te, tu vuoi soggiogare me: è il gioco simmetrico-mimetico di un'umanità bambina. Se non interviene un elemento di razionalità nuova, che sa scorgere un orizzonte più ampio, insieme ad una capacità di empatia, che sa cogliere anche il punto di vista dell'altro, la sua sofferenza, le ragioni che spingono a compiere certi atti, le necessità, le urgenze che premono provocando certi fenomeni (si pensi alle migrazioni, ad esempio), non se ne esce; si perpetua la spirale della violenza che legittima nuova violenza, all'infinito.

Prendere coscienza dei processi che stanno alla base della violenza- La violenza strutturale del disordine economico mondiale responsabile del depauperamento e della fame di intere popolazioni; la violenza strutturale delle trasformazioni globali prodotte dal nostro tipo di "sviluppo" e dai nostri stili di vita, come ad esempio i cambiamenti climatici (una ricerca interdisciplinare condotta dalla Columbia University e pubblicata su "Nature" mette in evidenza come il ciclo climatico globale influenzi gli aumenti periodici delle guerre, in quanto il peggioramento del clima provoca squilibri come siccità o alluvioni che distruggono i raccolti, rendendo più scarse le risorse, provocando fame e disperazione, che alimentano migrazioni, conflitti armati e guerre. Vedi: Luca Troiano, www.uomoplanetario.org).

  • La lotta per il controllo geopolitico militare delle aree del mondo, in particolare quelle ricche di risorse energetiche. Come scrive Luisa Morgantini in un suo recente intervento in occasione della delegazione pacifista italiana a Kabul: "Il ritiro delle truppe Usa è previsto per il 2014, ma non se ne andranno tutti, resterà una base militare Usa, così come è rimasta in Kosovo, così come è in Iraq, così come sarà in Libia. Le guerre per la libertà e la democrazia che si svelano: controllo geopolitico-militare delle aree del mondo".

  • La paura e l'odio che "continuano a radicarsi nel cuore degli uomini", come scrivevano i Premi Nobel per la Pace dopo l'attentato alle Torri gemelle, quando invitavano in un loro appello a non perseguire le strade della ritorsione e della guerra: "La risposta degli Stati Uniti e dei suoi alleati non dovrebbe essere guidata da un cieco desiderio di vendetta quanto piuttosto da una rinnovata determinazione a lavorare per un mondo pacifico e giusto. L'unico grande male che deve essere combattuto non è un gruppo di persone o un altro quanto piuttosto la paura e l'odio che continuano a radicarsi nei cuori degli uomini".

Lavorare concretamente, in un impegno costante a diversi livelli- Educativo, per far crescere una cultura della pace e della nonviolenza a partire dai rapporti quotidiani, che sappia interagire con le zone d'ombra presenti negli individui e nelle società, per prendere coscienza del "nemico" dentro di noi, delle ombre presenti nelle nostre società, della tentazione del male con la quale fare i conti, non rimuovendolo, o proiettandolo su un "nemico" esterno, ma portandolo alla luce, riconoscendolo e trasformandolo. Credo sia questo il cuore dell'educazione alla pace a livello personale.

  • Culturale, di presa di coscienza individuale e collettiva della necessità di cambiamento nelle nostre scelte quotidiane, nei nostri stili di vita e di relazione.

  • Politico, per una partecipazione diretta e attiva, dal basso, che sappia esprimere una nuova democrazia, per sostanziare istituzioni democratiche svuotate dal monopolio dell'informazione, dalla personalizzazione della politica, dal prevalere di modelli fondati sull'apparire e sul potere del denaro. La prima marcia Perugia-Assisi organizzata nel 1961 da Aldo Capitini è stata questo. Capitinianamente: potere dal basso, prendere in mano il proprio destino, dire no in prima persona, operare delle scelte personali di dissociazione, di obiezione di coscienza, non collaborare con il sistema che uccide, per superarlo. Così sono nati i movimenti per l'obiezione di coscienza al servizio militare, alle spese militari ecc.

  • Elaborazione di progetti politici di difesa alternativa: invece del sistema di difesa armato, la Difesa Popolare Nonviolenta, i Corpi Civili di Pace, sul modello del progetto presentato da Alex Langer al Parlamento Europeo. Ciò comporterebbe il finanziamento e la creazione di una istituzione, i Corpi Civili di Pace, appunto, appositamente formata e predisposta ad intervenire in situazioni di conflitto, sia nel momento della prevenzione, quando la fase acuta del conflitto può essere evitata, sia con interventi adeguati di mediazione e trasformazione nonviolenta, quando il conflitto è in corso. Si può anche prevedere una sorta di "Polizia internazionale" che possa impiegare una forza coercitiva, ove necessaria per la tutela dei civili, ma con un effettivo ruolo di polizia, sotto precisa regolamentazione internazionale. La polizia non è l'esercito; come all'interno di uno stato il corpo di polizia è una istituzione volta alla tutela del cittadino e dell'ordine democratico, che può impiegare la forza ma mai la violenza gratuita (e quando ciò accade è una distorsione che va sanzionata), così a livello internazionale una cosa è avere una simile istituzione, un'altra è usare gli eserciti per intervenire in modo indiscriminato con mezzi militari.

Ecco, il cinquantesimo anniversario della prima Marcia per la pace ci ricorda tutto questo e ci impegna a perseguire questi obiettivi con un lavoro quotidiano, a partire da sè, da qui e da ora, perché le mete si raggiungono un passo dopo l'altro, fino al traguardo.

Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo