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Sugli esiti nefasti della mobilità accelerata e continua (Rocco Altieri)

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 98 del 4 settembre 2007


Do tutto il mio sostegno alla lotta del comitato contro la costruzione di un aeroporto nel territorio di Viterbo.
Leggendo in questi giorni che anche il Vaticano si sta attrezzando per i suoi pellegrinaggi con una flotta di aeroplani, e come il cardinale Ruini abbia recentemente inaugurato la "felice" impresa, guidando personalmente un pellegrinaggio aereo a Lourdes, cui hanno partecipato in prima fila i peggiori personaggi del malaffare italiano, plurinquisiti che non si sono mai pentiti, anzi sono ben orgogliosi dei loro crimini, mi è venuta spontanea alla mente l'idea, davvero non peregrina, di vedere presto a Viterbo, storica città papalina, uno scalo aeroportuale a completo servizio della Città del Vaticano. Ora che anche la Chiesa cattolica, abbandonati i treni e i pullman, si adegua "opportunamente" alla "comodità" dei voli low cost, potremmo ben dire che "non c'è più religione" in un mondo trasformato in un grande luna park.

Le denunce sui danni ambientali del traffico aereo, pubblicate numerose sul notiziario della "Nonviolenza in cammino", sono state tutte efficaci e ben argomentate. Da parte mia, dal punto di vista di un "inguaribile moralista" della nonviolenza, vorrei aggiungere una riflessione sugli esiti nefasti che la mobilità accelerata e continua porta all'interno della società, inducendo frammentazione del tessuto sociale e dispersione di preziose energie.
In quanto direttore dei "Quaderni Satyagraha", una rivista di studi che per realizzarsi ha bisogno di continuità e di radicamento, come ogni iniziativa a carattere costruttivo, sperimento ogni giorno la difficoltà di organizzare un gruppo stabile di collaboratori, residenti sul posto e disposti alla perseveranza nel lavoro volontario. E invece, soprattutto tra i giovani amici, è un continuo rincorrersi in aereo, da Porto Alegre all'India, da Oxford a Barcellona, ispirati sicuramente da un autentico spirito internazionalista, ma con una frenesia che nuoce terribilmente alla possibiltà di strutturare e consolidare progetti di lunga durata.
Mi sento continuamente dire dai giovani allievi dell'Università, da me sollecitati a un impegno nonviolento: "Professore non posso aiutarla, domani parto per Parigi, mi hanno appena chiamato per un volo low cost". E appena tornati da Parigi, neanche il tempo di respirare: "Professore, domani riparto, mi hanno chiamato per un volo a Dublino dal costo di soli 39 euro".
E così in un turbinio inarrestabile di disimpegno e di svago permanente.
Già Capitini, il profeta italiano della nonviolenza, aveva intuito negli anni '60 che lo stile di vita della "civiltà pompeiana-americana", dell'industria dei divertimenti e del consumismo, avrebbe nuociuto all'impegno nonviolento. Perciò aborriva il vacanziero "tempo libero" del fine settimana, mentre auspicava il "tempo liberato" dell'impegno civico quotidiano.
Che dire, poi, della recente moda delle "vacanze missionarie e umanitarie", della breve durata di qualche settimana, con voli in Asia, Africa o America Latina. I grandi missionari di un tempo (si pensi a Barlolomè de Las Casas o a Francesco Saverio) partivano per sempre e non sapevano se mai sarebbero ritornati in patria. Oggi si parte in aereo e consumata "l'emozionante esperienza" si ritorna dopo un pò a vivere, quasi sempre, nello stesso modo consumistico di prima, infelici e nevrotici, fra telefonini e automobili, in attesa di nuove generose avventure in "zone di conflitto".

"L'uomo planetario", ci ha insegnato Ernesto Balducci, ha bisogno di essere ben radicato nel posto dove vive, di avere, come ci ricorda questo notiziario, "ben piantati i piedi per terra".
Kant riuscì ad esplorare il mondo e la coscienza dell'uomo, senza essersi mai spostato da Konigberg.
Camus ci dice che il vero viaggio è quello dell'anima, che porta a vedere il mondo con occhi nuovi.
Oggi chi vuol salvare il corso della storia umana dalla follia generale, dal collasso ecologico e dalla guerra nucleare, deve ben tenere in mente che è qui in mezzo a noi, o meglio dentro di noi, la testa del mostro che bisogna colpire...