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Verso la marcia della pace Perugia-Assisi "per la pace e la fratellanza dei popoli". Contributi di Pierpaolo Calonaci, Stefano Ferrario, Paolo Macina e Giuseppe Stoppiglia

In vista del cinquantesimo della marcia della pace Perugia - Assisi, che si terrà il prossimo 25 settembre, condividiamo alcune delle interviste che il Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo ha pubblicato sui notiziari quotidiani.

La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quale è stato il significato della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?

  • Pierpaolo Calonaci: Il risultato più significante della marcia Perugia-Assisi è che essa ha sviluppato certamente una sensibilità a livello di opinione pubblica, ma nel concreto di oggi si dovrebbe avere il coraggio e l'onestà di dire che occorre rimettere tutto in discussione. A partire da un dato ovvio ed oggettivo: il contesto storico di Capitini non è più quello di adesso. Il significato della marcia rimane certamente valido come tensione, ma deve essere riconsiderato alla base un lavoro, cioè le fondamenta stesse, (ad oggi totalmente mancante ad ogni livello) di strutturazione della persona umana, di riqualificazione intesa come radicamento nella Verita', nell'essere in se stessi (conversione non solo educativa ma di ordine intellettuale, quindi totale) davanti alla libera costruzione di un pensiero individuale che oggi è oscurato, per un lavoro interiore in ciascuno che si crede non più necessario; mantenendo ampio e sereno lo sguardo che ricollegherà ad un orizzonte di incontro e comunione. Certo i giovani da valorizzare, particolarmente nell'aiutarli a farli rifiutare quella pigrizia che piace. La marcia è diventata possesso del sistema partitico/pacifista che l'ha assorbita e trafitta nella logica avida della ricerca di prestigio, cioè del consenso, del voto. Occorre ripulirla da queste scorie. Con urgenza.

  • Stefano Ferrario: La parola più forte che ha accompagnato la marcia in questi 50 anni è la trasversalita'. O per usare le parole di don Tonino Bello la "convivialità delle differenze". Una moltitudine di genti che provengono dalle esperienze più diverse, credenti e non credenti apparentemente in un Dio ma profondamente credenti nella lotta contro l'ingiustizia sociale, per il disarmo e la pace. Un urlo di dolore e di passione, di lotta, di ricerca, per un mondo "altro" necessario, a partire dalle relazioni individuali, poi sociali, alla politica, all'economia, alla cultura... Mi permetto di citare un brano di un'altra persona basilare, a guida del movimento per la pace, che ha fatto suo quest'urlo, nell'indifferenza dei piu'; ovverosia una considerazione di padre Davide Turoldo: "È un segno dei tempi. Per me sono segni dei tempi il movimento per la pace, la liberazione della donna... naturalmente vanno capiti, vissuti, interpretati. Anzi, vuoi che ti dica che saremo giudicati tutti sul crinale della pace e della giustizia, tutti, chiesa o non chiesa, tutti! Soltanto l'incoscienza può permetterci di vivere un pò tranquillamente. Solo nell'incoscienza si può vivere tranquillamente sotto questi regimi politici criminali: gente che pensa alle guerre stellari, a sempre nuovi armamenti, quando ci sono tonnellate di tritolo per ogni individuo nel mondo; gente che consuma tutte queste forze, tutte queste ricchezze per la distruzione e sempre più spietatamente per uccidere, quando ci sono uomini che muoiono di fame, quindi consumando i beni che sono dei poveri. Ma queste sono follie! Queste sono criminalita'! Soltanto l'incoscienza può permetterci di vivere tranquillamente. Anzi, io non accetto nessuna di queste politiche se non sono politiche di pace. E il movimento per la pace è il movimento più profetico che ci sia, è il campanone che suona e suona da tutte le parti" (p. Davide Maria Turoldo; intervista pubblicata sul mensile "Nordest", ottobre 1985). Unita all'utopia della pace c'è l'utopia del disarmo. E questo è il secondo filo conduttore della marcia. Un disarmo "senza se e senza ma", che impone di confrontarsi con tutte le guerre, con tutte le operazioni belliche, con tutte le fabbriche belliche presenti in Italia.

  • Paolo Macina: La Perugia-Assisi risponde secondo me a due bisogni importantissimi: il primo è quello di riunire, almeno una volta l'anno, tutte le associazioni che si riconoscono negli ideali della nonviolenza in un unico evento. Il secondo è quello di mantenere alto il livello di attenzione sulle alternative che l'arcipelago nonviolento mette in campo per creare un mondo più giusto.

  • Giuseppe Stoppiglia: Una presa di coscienza collettiva verso la cultura della nonviolenza e soprattutto un luogo sensibile di condivisione dei fatti di oppressione e di violenza nel mondo, in termini costruttivi e non distruttivi. È stato uno spazio reso possibile da creature che scendendo sulle strade a piedi nudi hanno creduto nella possibilità che sia fondamentale riconoscere, assieme e gridando sui tetti, che ogni uomo e ogni donna hanno pari diritti e dignita'.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Cosa caratterizzerà maggiormente la marcia che si terrà il 25 settembre di quest'anno?

  • Pierpaolo Calonaci: La marcia potrebbe essere caratterizzata da 27 chilometri percorsi in assoluto silenzio. Una piccola "regola" auto-imposta da tutti verso gli altri. Dove si potrebbe magari seriamente riconsiderare il valore di questa parola che viene comunemente scambiata come "adesione passiva all'ingiustizia" o come "inattività o paura o tacere".

  • Stefano Ferrario: Il mio è un auspicio: che si torni alla radicalità delle marce, della denuncia e della proposta degli anni passati. Non esiste che alle marce partecipi ad esempio Massimo D'Alema, coautore della guerra contro la Serbia e Kosovo. Non dovrebbe esserci il fatto che si metta in evidenza il dialogo con i generali; non a caso, l'ong Emergency ha disertato l'ultima marcia. Che i generali facciano i generali e il popolo della pace la sua parte. I primi non fanno parte del secondo a 360 gradi con le guerre odierne. A questo punto sarebbe molto utile e proficua la lettura della Lettera ai cappellani militari e della Lettera ai giudici di don Lorenzo Milani, contenute ne L'obbedienza non è più una virtu', di cui mi permetto tre passaggi, che restano attuali e sono sempre coerenti con il momento storico che viviamo: "Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. E se voi avete il diritto di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto". "Un delitto come quello di Hiroshima ha richiesto qualche migliaio di corresponsabili diretti: politici, scienziati, tecnici, operai, aviatori. Ognuno di essi ha tacitato la propria coscienza... Bisogna avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtu', ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo nè davanti agli uomini nè davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l'unico responsabile di tutto. A questo patto l'umanità potrà dire di aver avuto in questo secolo un progresso morale parallelo e proporzionale al suo progresso tecnico". "Sappiamo tutti che le armi attuali mirano direttamente ai civili e che si salveranno forse solo i militari. Dunque in casi del genere il cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi pare coerente dire che a una guerra simile il cristiano non potrà partecipare neanche come cuciniere. Allora la guerra difensiva non esiste piu'. Allora non esiste più una 'guerra giustà nè per la Chiesa nè per la Costituzione. Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l'idea di andare a fare l'eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d'ogni religione e d'ogni scuola insegneranno come me. Se non potremo salvare l'umanità ci salveremo almeno l'anima".

  • Paolo Macina: Come tutti gli anniversari "tondi", e soprattuto vista la concomitanza con i 150 anni della nascita dell'Italia, sarà l'occasione per fare i conti con la storia del nostro paese negli ultimi 50 anni, vista con occhi nonviolenti.

  • Giuseppe Stoppiglia: Dovrebbe caratterizzarsi soprattutto per il riconoscimento che questo gesto (prima educativo e poi politico) è il passaggio da una cultura della conquista a quella della formazione di una comunità di umani. Il gesto del camminare, aspettando che arrivi anche chi è debole ed emarginato, è l'aspetto che più combatte la violenza.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Qual'è lo "stato dell'arte" della nonviolenza oggi in Italia?

  • Pierpaolo Calonaci: Quando osservo gli Uffizi, dato che mi si chiede qual è lo stato dell'arte della nonviolenza, capisco a che livello lo stato della cultura sia, da ogni prospettiva essa derivi il suo significato. Agli Uffizi ci sono i vetri sporchissimi (basta andarci e soffermarsi all'esterno...) e uno pensa che se si ama la cultura occorre cominciare con le cose semplici: se io dico di amare il lavoro con gli altri non posso fare sì che casa mia non sia semplicemente pulita per accoglierli doverosamente. Esporre un quadro inestimabile non vuol dire automaticamente fare cultura ma solo farne un percorso museale dove trarci un profitto. Vale per lo stato della nonviolenza, se ne parla solo dove ci sono interessi (di qualsiasi natura compresa quella di continuare ad ogni costo sforzi editoriali sovra-umani ma dove in sottofondo non c'è capacità costruttiva e creativa di rapporti umani... si espone un quadro ma non ci si preoccupa in che stato di coscienza siamo nel dargli la giusta collocazione, soprattutto interiore). Vai a domandare ad un ragazzo di età media se conosce dove viene esposta l'opera del Masaccio della cacciata dall'Eden... prova a chiedere ad un adulto se magari ha mai riflettuto che un libro è autentico quando non è per leggere ma per vivere... capite che la nonviolenza non si espande come luce laddove le abitudini di pensiero, di morale, di comportamento, di superstiziosa educazione, corroborano quel sistema di illusioni e immagini che ci siamo creati, proprio come quei vetri sporchi che in realtà nascondono qualcosa di piu'. Così rimanendo la situazione, ai miei occhi, è stupido esporre qualcosa di davvero prezioso se non c'è una reale ripulitura interiore. L'arte è un insieme di linguaggi, propriamente quello della nonviolenza dovrebbe essere centrale perché parla della liberazione e della pienezza della vita in ognuno. Del Bello.

  • Stefano Ferrario: Oggi siamo in uno stato particolarmente grave dell'esistenza del pianeta. La prima volta che accade per il genere umano nel corso della sua breve storia, in confronto a quella del creato. Non ho la risposta esatta, la verità va cercata insieme. Posso dirvi ciò che vivo e ciò che sento. La situazione sociopolitica italiana è molto dura, presenta un quadro di perdita di diritti e compromissione dei diritti di base molto grave ed esige una risposta che sia sulla linea della povertà (senza idolatrare i poveri), l'unica possibile e nonviolenta che possa "raddrizzare" l'attuale scenario. La Chiesa ufficiale è parte del problema. La risposta di cui necessita questo momento storico è il riattingere alle basi della nonviolenza rileggendo la vita e la prassi di Gesu', quella di Gandhi, e così via. Impiegare queste testimonianze come brace, che può accendere un nuovo fuoco grazie al decennale delle manifestazioni e workshop legati al G8 di Genova 2001, alla lotta del popolo "no-Tav", all'immenso movimento per l'acqua pubblica e contro il nucleare... Le occasioni e gli stimoli non mancano, ma non devono staccarsi dalla brace dei profeti che abbiamo avuto.

  • Paolo Macina: I punti caldi delle lotte nonviolente (Valsusa/Tav, Vicenza/Dal Molin, Cameri/Eurofighters, Genova/G8, Sud/mafie, partecipazioni militari italiane all'estero ecc.) stanno tutti soffrendo a causa di un mondo politico assente ed un mondo messmediatico asservito agli interessi della grande finanza. Per fortuna c'è stato il risultato dei referendum, anche se questo successo non è assolutamente ascrivibile a meriti nonviolenti, piuttosto ad un rigurgito di coscienza da parte degli italiani.

  • Giuseppe Stoppiglia: È in una fase di crescita collettiva. La parola "nonviolenza" è entrata in Italia nel lessico comune. Una parola di cui si conosce il significato, anche se è difficile tradurre e capire i meccanismi strutturali di costruzione di un patto comune che sia la costruzione di un dettato di ascolto paziente e condiviso.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quale ruolo può svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e gli altri mobimenti, associazioni e gruppi nonviolenti presenti in Italia?

  • Pierpaolo Calonaci: Purtroppo, nel rispondere a questa domanda, so di essere critico al limite della polemica. La nonviolenza in Italia è costretta in quell'ambito museale cui facevo riferimento proprio per la presenza di quella forma, di quella mentalita', di quell'atteggiamento associazionistico o tesserativo o di appartenenza che sublima questa all'incondizionabilità e allo sviluppo fecondo e creativo dell'intelligenza del singolo. Dobbiamo smettere di invertire i termini! In Italia o uno appartiene alla Bestia sociale di platonica memoria, anche se questa si ammanta di ricerca del bene e della giustizia o della più misera e bieca legalita', o uno è fuori. Esattamente il contrario di quello che Gandhi tanto difficilmente visse e dimostro'. Anche Capitini non riuscì più di tanto a svincolarsi da questo tentacolo. Sicuramente di peggio stanno evidentemente facendo gli intellettuali dopo di lui che profetano in nome della nonviolenza.

  • Stefano Ferrario: Indubbiamente, come già accennavo nelle risposte precedenti, i movimenti custodiscono il sogno di un mondo "altro" necessario. Un sogno che non va tradito, che va ascoltato, nelle sue specificità e sfaccettature... e appoggiato in ogni territorio. Ecco, il legame con il territorio è un elemento nuovo. Non si parla più solo di un generalizzato disarmo, ma si scende nei problemi territoriali, dalle fabbriche belliche in provincia di Varese, alla Val Susa, alla privatizzazione dell'acqua a Latina ed Arezzo.

  • Paolo Macina: Il nuovo presidente, Mao Valpiana, è molto conosciuto e ha deciso di usare attivamente questa sua popolarita'. Spero che questo serva a radunare, sotto un'unica voce, l'arcipelago frammentato della nonviolenza in modo da aver più incisività nelle iniziative. Il digiuno organizzato nei mesi scorsi è stato il primo tentativo, ora occorre proseguire su questa strada.

  • Giuseppe Stoppiglia: Purtroppo la parola "pace" è finita sulla bocca dei grandi, la gioia è rimasta nel cuore dei bambini. La pace è tradita, è venduta, è comprata, la gioia non può esserci rapita. Il ruolo del movimento, oltre alle riflessioni nelle scuole e nei gruppi di base, deve attrezzarsi per scardinare le strutture portanti di un meccanismo della vittoria e della conquista.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quali i fatti più significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza?

  • Pierpaolo Calonaci: L'unica considerazione, almeno la più significativa da un punto di vista di spessore esistenziale, è riferita a tutti coloro che si alzano la mattina presto, padri e madri di famiglia o uomini o donne senza particolari legami, ma pieni di un senso di responsabilità autentico e radicato, che rinunciano consapevolmente e liberamente a tutto un sistema di pretesti per stare felici, per farsi vedere, per cercare di essere qualcuno. E accettano con coraggio quella situazione dove ci sono reali difficolta'. Sapendo stare eretti davanti ad essa, creano speranza, lavorano duramente, sanno soffrire senza lamentarsi e "produrre" gioia consistente. E non sanno magari di essere davvero nonviolenti alla moda del momento perché sanno parlare la Verita'.

  • Stefano Ferrario: Per quanto riguarda lo scenario italiano, i momenti più recenti sono senz'altro la settimana delle piazze tematiche di Genova 2001-2011 e la lotta in Val Susa contro la Tav. E, intrecciato con questi, il poliedrico movimento per l'acqua pubblica e contro il nucleare che ha portato alla vittoria del popolo sovrano del 13 giugno. Sta ora ai comitati nazionali e locali far sì che questa vittoria sia l'inizio di una vera ripubblicizzazione dei beni comuni e non uno scippo da parte di tutti i partiti. È necessaria una forte vigilanza, competenza tecnica e voglia di impegno, consci che la vittoria referendaria è solo l'inizio di un percorso sociopolitico dal basso, da non tradire, da non mistificare... Per quanto riguarda lo scenario sovranazionale sono ovviamente da segnalare le recenti lotte per una vera democrazia in Tunisia, Egitto e Siria (la più sanguinosa, ad ora, delle rivendicazioni nonviolente).

  • Paolo Macina: Tra quelli positivi, sicuramente la vittoria ai referendum. Forse non ci rendiamo ancora pienamente conto del valore di quelle vittorie. Tra quelli negativi, sicuramente quello di non essere riusciti a scalfire minimamente la spesa degli armamenti italiani, a partire dalla partecipazione alle guerre in Iraq e Afghanistan (qualcuno si ricorda da quanti anni stanno andando avanti?), neanche in un momento di grande difficoltà economica del nostro paese.

  • Giuseppe Stoppiglia: La lotta esemplare del popolo di Val di Susa. Il movimento contro la base Dal Molin a Vicenza. La rinuncia alla reazione violenta, in relazione alle ingiustizie perpetrate e patite dopo i fatti di Genova. I movimenti che si sono costruiti in occasione dei referendum abrogativi, che hanno spiazzato gli apparati dei partiti e delle chiese, oltre alle istituzioni.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Su quali iniziative concentrare maggiormente l'impegno nei prossimi mesi?

  • Pierpaolo Calonaci: Martin Luther King disse, direi profeticamente, che non era più questione di scelta fra la violenza o la nonviolenza ma radicalmente fra la nonviolenza o la morte. Quindi non è più una questione quantitativa di tempo (i prossimi mesi) ma di cominciare da adesso a cercare coloro che scelgono di fare un percorso sincero di lavoro interiore, senza affidarsi a programmi o associazioni o a sapienti di tecniche liberanti ma proprio come ebbe a dire Bonhoeffer che "il timore di Dio e l'inizio della sapienza con cui la vera ed unica liberazione interiore dell'uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l'unica reale vittoria sulla stupidita'". Sembra di sentire Gandhi. Aggiungo che per stupidità si intende una grave proiezione di se stessi sul reale e sul mondo dove collochiamo, soggiogati dalla paura, la vita; e così pensiamo che vadano e debbano continuare ad andare le relazioni, gli affetti, le connessioni. Alimentando l'odio. Quindi come rispondiamo, in effetti, dipende soltanto da quell'"io" che ci guida a divenire o farci manovrare come stupidi.

  • Stefano Ferrario: Senza dubbio, come ogni lotta per la pace, radicale e concreta, le iniziative più sensibili sono sul ritiro delle truppe italiane da quelli che altri chiamano "missioni di pace", siano esse in Afghanistan o Libano. E sull'accompagnamento fuori dalle aziende belliche dei lavoratori (di chi vuole ovviamente) da parte dei sindacati, parrocchie, partiti, associazioni - è riduttivo e insufficiente, ad esempio, fare pressioni perché l'Italia non acquisti 131 F35 al costo complessivo di 20 miliardi di euro quando non si contrasta il lavoro nelle fabbriche belliche (tra cui quella che assemblerà gli F35 a Cameri, nei pressi di Novara) che da anni vede nelle aziende di Finmeccanica una prospettiva di lavoro di tre anni, se non vi fosse più una commessa (è da anni che le relazioni trimestrali di Finmeccanica sottolineano questo dato). Vi è poi l'aspetto finanziario. Cioè la diffusione quanto più capillare della campagna "banche armate". Infine l'ambito culturale. La scuola non deve essere il braccio preventivo dell'impresa ma fornire strumenti anche etici e di educazione civica necessaria per una reale presa di coscienza della realtà odierna e per la formazione di una coscienza libera.

  • Paolo Macina: Ritiro dalle missioni italiane all'estero e poi NoTav, NoTav e ancora NoTav, soprattutto perché ho la sensazione che qui la vittoria sia proprio vicina.

  • Giuseppe Stoppiglia: Allargando e moltiplicando i momenti di incontro e di riflessione sui fatti e momenti che richiedono un intervento collettivo e condiviso. Scoprire il linguaggio nuovo di dissenso morale e politico.


La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Se una persona del tutto ignara le chiedesse "Che cos'è la nonviolenza e come accostarsi ad essa?", cosa le risponderebbe?

  • Pierpaolo Calonaci: Non la farei affatto così la domanda. Avrebbe in sè già il germe della presunzione di sapere (io) che so cos'è la nonviolenza e come funziona e cosa è bene per gli altri. Sapere cosa è bene per gli altri non è affatto amore anche se continuiamo a scambiarlo come tale perché non ci accosta nè ci fa compromettere con la loro realta'; è stupidamente, appunto, "sapere" di avere una bacchetta magica. Invece le chiederei semplicemente se usa quotidianamente la cura di accostarsi a se stessa; e se ha intrapreso quel cammino di ritorno verso le sorgenti dell'anima, come fondo dove l'ascolto è tutt'uno con il Creato; se magari intravede un segno, stella cometa del simbolo di amore, che la sorregge nella speranza immortale e indivisibile dalla Realtà del tutto. Se cerca anche con tanta fatica di abbandonarsi a quella Luce nascosta ma reale che la costituisce persona che giunge a pienezza e conoscenza di se', capace di saper amare il mondo così com'e'. E se magari ha davvero abbracciato la propria miseria. "Il sentimento della miseria umana è una condizione della giustizia e dell'amore. Colui che ignora fino a qual punto la volubile fortuna e la necessità tengono ogni anima umana alla loro merce', non può considerare suoi simili nè amare come se stesso quelli che il caso ha separato da lui come un abisso... Non è possibile amare nè essere giusti se non si conosca l'imperio della forza e non lo si sappia rispettare" (S. Weil, L'Iliade poema della forza, in La Grecia e le intuizioni precristiane). Non si può diffondere la nonviolenza continuando a farla passare come un oggetto che, per imposizione o per rigidita', vorremo che tutti conoscessero, l'abbracciassero. Sarebbe niente di meno che una forma di idolatria. Prima di tutto, ne sono convinto, occorre in noi comprendere e conoscere le fonti del dolore, della morte che inferiamo agli altri, del male che tanto diffondiamo con il nostro comportamento. E della bellezza, del Bene puro che disconosciamo.

  • Stefano Ferrario: La nonviolenza nasce prima nel rapporto armonico con se stessi e i nostri primi prossimi, dal creato alle persone a noi care. Cio', traslato in un'ottica sociale (quella personale non è sufficiente), vuol dire la denuncia di ogni ingiustizia sociale; rendere quest'ingiustizia sociale visibile con tutte le proprie forze e battersi perché questa situaziona venga cambiata... La nonviolenza è basata sulla linea della poverta'. Bisogna camminare con le scarpe del povero per saper comprendere la poverta', la forma di violenza strutturale più elevata. Ecco dove direi di trovarla, e gli ambiti di intervento sono tantissimi, fantasia in ricerca. Restiamo umani.

  • Paolo Macina: Quello che ho sempre sostenuto: la nonviolenza è il metodo più efficace e meno costoso di risolvere i conflitti, di qualunque dimensione (da quelli interpersonali a quelli mondiali) che fatalmente avvengono in tutto il mondo. Il modo migliore per accostarsi ad essa è quello di sperimentarla su di noi, a partire dai conflitti che abbiamo personalmente, per poi magari proseguire la sperimentazione in qualche conflitto locale (di quartiere, di condominio, di paese). Provare per credere.

  • Giuseppe Stoppiglia: Non gli spiegherei nulla. Comincerei facendogli leggere la vita di Gandhi. Poi esaminerei con questa persona fatti concreti di vita e di rapporto sociale. Solo dalla realtà della vita umana si può capire la nonviolenza, che non è un'ideologia e neppure un teorizzazione della vita. Soprattutto si capisce e si apprende camminando assieme.


Note biografiche degli intervistati:

Pierpaolo Calonaci: Ha terminato il terzo anno alla Facoltà Teologica dell'Italia Centrale. All'interno della riflessione teologica-cattolica sta cercando di porre in giusta evidenza il tema della nonviolenza, non partendo dai dati convenzionalmente da cui tutti, sia filosofi che tecnici o intellettuali, la fanno risalire ma ricollegandola in maniera sorgiva alla riflessione mistica che è la struttura essenziale del cristianesimo. Cercando di ripulire la parola nonviolenza da tutte quelle incrostazioni di stampo ideologico-religioso, partitico, sociale-associazionistico che la ricoprono

Stefano Ferrario: Già obiettore di coscienza, è' imepgnato in attività di formazione permanente presso "Il Seme" cooperativa sociale onlus di Cardano Al Campo (Va) e collabora con numerose riviste.

Paolo Macina: Socio del Centro Studi "Sereno Regis" di Torino dall'inizio degli anni '90, per conto del quale approfondisce i temi relativi all'economia nonviolenta e la finanza etica. Dal 2001 tiene una rubrica di economia nonviolenta sulla rivista "Azione nonviolenta" fondata da Aldo Capitini. Collabora inoltre per alcune riviste d'area nonviolenta".

Giuseppe Stoppiglia: Una delle maggiori figure dell'impegno di pace, solidarietà e nonviolenza in Italia, è fondatore e presidente dell'associazione Macondo. Dirige da 21 anni la rivista trimestrale "Madrugada". Ha scritto: Diario di un Viandante, Edizioni Città Aperta e Macondo Libri, 1999; Camminando sul confine, Edizioni Città Aperta e Macondo Libri, 2004; Piantare alberi e costruire altalene, Edizioni Diabasis e Macondo Libri, 2010. Altri saggi sulle rivista "Interculture" e "Presbiteri"