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La differenza cristiana: riflessioni per una società complessa (AC Pontremoli)

Il documento pubblicato è stato elaborato e sottoscritto dai consiglieri diocesani di AC e dai presidenti parrocchiali di AC di Pontremoli. E' il nostro punto di vista - che qualcuno potrà giudicare
eretico, qualcuno semplicemente non lo giudicherà! - sulla situazione ecclesiale nazionale di questi ultimi tempi.



Al Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia (ottobre 2005), Benedetto XVI volle che, al termine del lavoro quotidiano, non mancasse uno spazio di libero e spontaneo confronto tra i Pastori della Chiesa, e stabilì pure che le proposizioni finali venissero subito rese pubbliche alla riflessione dei fedeli, ancora prima dell’uscita della sua esortazione post-sinodale. La Chiesa tutta si sente chiamata a seguire quell’esempio, nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II, affinché gli spazi di dialogo e confronto tra i fedeli, nel clero, tra gli uni e l’altro, con chi è “lontano”, non ne abbiano mai a soffrire. Forse la tensione positiva e la passione di quella stagione si stanno un po’ affievolendo da ambedue le parti? L’interrogativo è sorto al termine della lettura del saggio “La differenza cristiana”, di cui è autore Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose oltre che nota firma di Avvenire. Il suo è un contributo che, tra quelli comparsi di recente sul tema del dialogo, dell’ascolto e della laicità, ci ha più colpito e del quale abbiamo condiviso con tanti amici la ricchezza dei contenuti. Riprendendo il filo del discorso e citando testualmente Bianchi, “...non si ha paura di far conoscere la fatica, il confronto e anche la pluralità di posizioni che esiste nel corpo episcopale e, quindi, si invita anche la chiesa nel suo complesso ad approfondire, a ricercare, a dibattere i problemi emergenti”. Infatti, “…un chiesa che pretende di comunicare, di dialogare con i non cattolici e non si mostra capace di avere dialogo al proprio interno non è credibile: è una questione di semplice coerenza.” E ancora: “saper ascoltare tutti, dare la parola a tutti, parlare quindi, è ciò che caratterizza uno spazio in cui è possibile il formarsi di un’opinione pubblica…”. Già Pio XII, nel 1950, affrontò la questione: “Là dove non appare nessuna manifestazione di opinione pubblica, là dove si constata una sua reale inesistenza…occorre vedervi un vizio, un’infermità, una malattia della vita sociale. Così anche in seno alla chiesa: essa, corpo vivente, mancherebbe di qualcosa di vitale se l’opinione ecclesiale mancasse, e questo sarebbe un difetto che ricadrebbe sui pastori e sui fedeli”. Se una pigrizia in questo senso si può scorgere nei christifideles laici oggi, ciò non giustifica che possano essere sostituiti dalla gerarchia ecclesiastica in una azione che è loro propria, nella polis come nella comunità ecclesiale: “La chiesa non desidera affatto intromettersi nella direzione della società terrena; essa non rivendica a se stessa altra sfera di competenza se non quella di servire amorevolmente e fedelmente, con l’aiuto di Dio, gli uomini” (Ad Gentes 12). Principio peraltro ribadito in un documento, emanato dalla Congregazione per la dottrina della fede nel 2002, sull’impegno dei cattolici in politica: “…non è compito della chiesa formulare soluzioni concrete – e meno ancora soluzioni uniche – per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno”. Quindi, se i fedeli laici sono chiamati all’azione politica, non lo è invece il clero, benché questo principio sia non di rado “…contraddetto da parole che non stanno nello spazio della profezia” (C.M. Martini): l’essere sentinelle della Chiesa, tramite la predicazione, è sì un dovere della gerarchia e di ogni sacerdote, ma un’azione basata sulle esigenze assolute del vangelo e che si mantiene nello spazio pre-politico, in modo da lasciarne la traduzione nel quotidiano ai fedeli, anche perché “…se il vangelo è sempre unitario nell’ispirazione, le soluzioni per la sua realizzazione nella storia sono state e restano multiple e differenti”.
Di recente, alcune prese di posizione da parte della CEI su temi etico-sociali, hanno suscitato reazioni a catena: alcune esposte in maniera pacata e corretta, altre in maniera aggressiva e becera, addirittura anonima tramite scritte offensive, quasi che i nostri vescovi non potessero esprimere un loro qualificato (e desiderato, dai cattolici) punto di vista su quanto avviene nella società italiana. E’ comprensibile che quanti hanno un concetto materiale della vita e delle cose possano esserne rimasti infastiditi: sul “ring” della politica, anziché sulla soglia dello spazio pre-politico, i vescovi e gli organi di informazione a loro vicini non dovrebbero attendersi solo applausi, nonché devota e filiale obbedienza dall’intera società, bensì di sollevare, quanto meno, un sano dibattito. Né può stupire che tale dibattito avvenga non solo tra i cattolici e i più rigidi laicisti, ma anche fra gli stessi cattolici. Siamo infatti convinti che, all’interno del mondo cattolico, possano coesistere più modi di vedere e di pensare, percorsi diversi, purché volti al bene della comunità civile e, per tutti i credenti, a Colui che fa nuova ogni cosa: Cristo, che vive in loro. “Cristiani che sappiano vivere come amici di tutti gli uomini, senza cadere preda dell’angoscia o della paura di essere minoranza…così nell’incontro del cristiano con chi cristiano non è, entrambi possano esclamare: “mai l’uno senza l’altro!”.
Maria Grazia Caldi, Maurizio Ratti, consiglieri diocesani unitari di Azione Cattolica; Paola Amorfini, Giuditta Bertoli, Davide Tondani, presidenti parrocchiali delle associazioni AC di Pontremoli (San Colombano, Vignola e Casa Corvi, Cattedrale).