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Se servisse la tua immagine sulla spiaggia, bambino mio, per scuotere gli animi, far capire l’orrore, aprire le frontiere, organizzare navi che traghettino la disperazione da un lato all’altro del mare, la pubblicheremmo ogni giorno. Passeremmo notti intere a tappezzarne i muri delle città, le ambasciate e le chiese, i palazzi istituzionali e le scuole. Cosicché l’orrore di vederti disteso con quella tua magliettina rossa e pantaloncini blu, quei capelli che sembrano pettinati dalla mano compassionevole del mare, possa cambiare lo scorrere degli eventi, evitare che la tua morte e tantissime altre avvengano ancora.

Era dagli anni Novanta che non accadeva e la percezione che stesse avvenendo di certo non l’abbiamo mai avuta, “bombardati” come eravamo e siamo dalle notizie delle “invasioni” dei migranti, o meglio stranieri, come frettolosamente vengono definiti coloro che ci abitano accanto. Eppure lo scorso anno è successo, c’è stato il sorpasso: il numero di italiani che hanno deciso di lasciare l’Italia e abitare altrove è più alto del numero di coloro che, non italiani, hanno scelto di risiedere nel nostro Paese: 155mila i primi, 92mila i secondi.

Il 7 gennaio sera, non appena ricevuta la notizia dell'attentato di Parigi, abbiamo pubblicato sul nostro sito "Je suis Charlie: ma rifiutiamo l'islamfobia che sta sorgendo".

Siamo sempre convinti che i pensieri, le culture e le religioni siano plurali e che pertanto debba essere rifiutata ogni forma di integralismo che voglia ridurre il tutto alla propria visione, alla propria prospettiva.