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Non so se avete sentito (o forse anche visto in tv; io no), i titoli dei giornali di destra sull'uccisione di Anis Amri: titoli e immagini feroci, disumane, gaudenti per la morte dello stragista, senza dolore per ciò che ha fatto e che si è tirato addosso, senza ombra di pietà umana per tutti, anche per i colpevoli.

Mentre il popolo della pace marciava tra Perugia e Assisi, il ministro della difesa, tornata da una visita istituzionale in Arabia Saudita (4 ottobre, San Francesco), minacciava querele contro chi semplicemente chiedeva di conoscere i contenuti dei colloqui e, soprattutto, degli accordi siglati in materia di trasferimento di sistemi d'arma.

Provate voi, se trovate le parole giuste, a raccontare ancora una volta di una giovane donna uccisa dal fidanzato che aveva lasciato; di un’altra, al nono mese di gravidanza, ora ricoverata in gravi condizioni, per essere stata avvelenata con della soda caustica dal proprio compagno. Provate a star dietro a un conteggio che parla di cinquantacinque donne assassinate nei primi cinque mesi di quest’anno (undici al mese) e che, mentre lo si scrive, risulta già vecchio, già andato oltre, già segnato da altre vite sospese.

Si chiamavano Federico Benedetti di 46 anni e Roberto Ricci Antonioli di 55 anni, spazzati via per 30 metri e sepolti da 2000 tonnellate di roccia in una cava del marmo di Colonnate (Carrara). Un terzo lavoratore è rimasto ferito , ne navrà per 30 giorni.

Non ha lacrime mamma Paola. Ha il pianto aggrappato al dolore per aver perso Giulio.
Giulio, quel figlio che ha riconosciuto dalla punta del naso.
Giulio, morto troppo presto, come tutti quei figli e figlie che vanno via prima delle madri.
Giulio, morto di torture nel 2016, come tante e tanti egiziani fino a oggi. Sua madre lo denuncia in modo chiaro quel che non è segreto, quel che dall’altra parte del mare si finge di non sapere.