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Abbiamo il mondo in casa, ma anche noi, cittadini e cittadine italiane, siamo ovunque nel mondo.
E l’armonia rispettosa fra culture e persone diverse richiede ascolto, conoscenza reciproca e … tempo.

Chi accampa gli stupri perpetrati da giovani e giovanissimi “immigrati” per squalificare la proposta dello “ius soli”, che contempla anche lo “ius culturae”, soffre di grave miopia.
E generalizza in modo indebito.

Che mi importa se 12 milioni di italiani, uno su cinque, rinuncia alle cure mediche perchè non se le può permettere

Che mi importa se 8 milioni di italiani vivono sotto la soglia di povertà e 4 milioni nella povertà assoluta

Che mi importa se in questi anni abbiamo cementato il nostro territorio ad un ritmo doppio rispetto al resto dell'Europa

Che mi importa se nella mia città abbiamo una disoccupazione del 16%, doppia rispetto a quella di 10 anni fa e che 1 giovane su 2 sotto i 29 anni è disoccupato

Siamo sulla strada sbagliata. La competizione tra Italia e Francia, con Russia, Cina, Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Iran, a tessere le proprie trame per prenotare nuovi contratti e forniture o per re-installare una presenza militare nelle frontiere interne africane, è una strada sbagliata e molto pericolosa. Manca una strategia di ricomposizione del complesso tessuto comunitario e sociale libico, per ridare alla popolazione ed alle tribù locali la possibilità e la responsabilità di decidere del proprio futuro, in modo pacifico, nonviolento e dentro un quadro di legalità internazionale. Un percorso che ha bisogno di investimenti e di dialogo con le comunità locali, costruendo relazioni, rapporti di reciproca fiducia e rispetto. Strategia che di certo non passa per le stanze delle diplomazie e degli stati che vedono la Libia come un nuovo campo di battaglia, per fermare e per respingere migranti e richiedenti asilo, per accedere a nuovi contratti con supposti governi o capi-milizie sempre pronti ad accreditarsi o ad offrirsi al miglior offerente.

È razzista anche chi - a sinistra e tra i cattolici - inizia ad accettare come normale la distinzione tra chi fugge dalla povertà e chi fugge dalla guerra; è razzista anche chi - a sinistra e tra i cattolici - per rispondere ai razzisti dichiarati spiega che i migranti ci servono perché aiutano la nostra economia; è razzista chiunque, in qualsiasi modo si ponga su un piano diverso da quello sul quale sono quelle povere persone che vengono dall'Africa o faccia distinzioni di genere economico, religioso, culturale o altro.

"Noi veniamo dopo" scriveva George Steiner nel 1966, "Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz". Anche noi "veniamo dopo". Dopo quel dopo. Sappiamo che un uomo può aver letto Marx e Primo Levi, orecchiato Marcuse e i Francofortesi, militato nel partito che faceva dell'emancipazione dell'Umanità la propria bandiera, esserne diventato un alto dirigente, e tuttavia, in un ufficio climatizzato del proprio ministero firmare la condanna a morte per migliaia e migliaia di poveri del mondo, senza fare una piega.