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Celebrating Nonviolence Resistance (lunedì 2 gennaio 2006)

Cari Amici,
Vi invio il primo resoconto che ci è arrivato dalla Palestina sul seminario per la Nonviolenza promosso e organizzato, tra gli altri, dal Centro Gandhi di Pisa e dai Quaderni Satyagraha.
Attualmente l'iniziativa si è spostata ad Amman, dove il seminario prosegue con la partecipazione di numerosi leader della resistenza irakena allo scopo di spostare la lotta sul terreno della Nonviolenza.
Della delegazione italiana fanno parte Maurizio fotoreporter di Quaderni Satyagraha, autore del primo rapporto qui in allegato, Carla Biavata dei Berretti Bianchi, Simone, Federico e Martina Pignatti Morano, condirettrice dei Quaderni Satyagraha, che è stata la principale infaticabile organizzatrice di tutta l'iniziativa.
Il mio pensiero e il mio ringraziamento va a questi cari amici che, mentre noi eravamo per lo più nel calduccio delle nostre case a mangiare e fare bagordi, negli stessi giorni hanno intrapreso un difficile e duro lavoro di solidarietà internazionale che li ha esposti al sacrificio e al rischio.
Un saluto e un augurio di pace a tutti per il 2006.
Rocco Altieri direttore di Quaderni Satyagraha.
Caro Rocco,
scrivo solo ora dall'hotel Al Manara di Amman, perché prima non ne ho avuto il modo ne l'occasione. Il campo profughi dove abbiamo vissuto in Betlemme assorbiva tutta la nostra capacità di adattamento e di attenzione, così come il convegno a cui abbiamo partecipato.
io sono un amico della nonviolenza, ma non posso certo definirmi un nonviolento ne, peggio, dichiararmi tale. a mio modo di vedere la nonviolenza è uno stato della coscienza e non un canone limitato da una serie di regole. questo, naturalmente, non vuol dire che io possieda la verità sulla nonviolenza. d'altra parte chi può dire di possedere una tale verità? ai tempi della mia giovinezza, della beat generation on the road, di siddharta e del buddismo zen, ho imparato che l'haimsa perfetta è un livello irraggiungibile di consapevolezza e amore per la vita. uno stato di coscienza che si fonda sul completo adempimento della liberazione da ogni tipo di egoismo, fonte primaria di nutrimento per la violenza. ricordo chiaramente che l'esempio topico dell'haimsa perfetta era il monaco che si lasciava cadere tra le fauci della tigre, perché potesse nutrire i suoi piccoli.
quante vite e quante reincarnazioni prima di arrivare ad un tale stato di misericordia!!! questa premessa mi serve per introdurre una riflessione sul convegno che ha celebrato, pochi giorni orsono, la resistenza nonviolenta in generale. ma il fatto di avere scelto la Palestina ne definisce la volontà di celebrare la resistenza del popolo palestinese all'occupazione sionista.
La resistenza di un popolo senza esercito e senza stato che, in cent'anni di immigrazione sionista, ha perso l'88% del territorio sul quale ha vissuto per alcuni millenni. i relatori hanno eclatato la resistenza nonviolenta dei palestinesi, ma alcuni di loro hanno obiettato che non lo era.
può essere considerata nonviolenta la resistenza di un popolo senza esercito, che non può quindi rispondere con una violenza uguale e contraria all'aggressione del nemico? può essere considerato nonviolento il lancio di sassi contro i carri armati, da parte di bambini inermi? è violenza o nonviolenza urlare slogan provocatori verso i soldati israeliani? ed ancora può essere considerata nonviolenta una persona che mangia carne e beve alcol? infine sono veramente nonviolenti solo i santi che hanno raggiunto l'haimsa perfetta? chi è che può dirsi nonviolento? dico questo per sottolineare che le differenze tra le persone, i gruppi e i popoli sono comunque tante e non sono affatto sicuro che sia giusto escludere gli uni o gli altri a seconda che violino questa o quella regola nonviolenta. sono ancora più dubbioso sull'idea che autorevoli personaggi della nonviolenza possano presentarsi in Palestina ad insegnare la resistenza nonviolenta ad un popolo che ha già sacrificato 600.000 vite umane dall'inizio dell'occupazione, nel 1967, e oltre 20.000 case di abitazione che sono state demolite.
d'altro canto è vero che negli ultimi anni, l'idea della nonviolenza ha conquistato spazi ed azioni tra la società civile palestinese. soprattutto grazie alle azioni dirette organizzate dall'International Solidarity Movement e sostenute da moltissimi civili palestinesi oltre che da migliaia di cosiddetti internazionali. purtroppo però le azioni dell'ism non sono considerate da tutti azioni nonviolente e gli attivisti di questo movimento hanno dovuto esercitare notevoli pressioni per essere accolti come relatori alla conferenza.
Comunque sia, le menti migliori della nonviolenza oggi, sono convenute a Betlemme per coltivare e nutrire un sogno che metta finalmente termine alla violenza in Palestina. per tre giorni hanno trasformato la Palestina nella palestra dove esercitare le loro visioni e i loro progetti. nella palestra dove il sogno possa prendere forma e trasformarsi in realtà.
Quindi, se da un lato, il cinismo che esprimevo a carla prima di partire ha trovato più di un'occasione di conferma, dall'altro la conferenza ha sicuramente espresso l'ansia di una buona parte del mondo occidentale per la violenza che si perpetua in quella terra "benedetta" da dio.
Gene Sharp, Mubarak Awad, Shami Awad, Mustafa Barghouti, il patriarca ortodosso di Betlemme, l'imam di Gerusalemme, la chiesa anglicana, Jean Marie Muller Del Man, il rettore francescano della scuola in cui si svolgono i lavori, esponenti dell'Holy Land Trust, gli attivisti dell'Hsm, i neri americani dei diritti civili, leaders della lotta nonviolenta in Colombia, Rabbis Against Demolitions, i genitori di Rachel Corrie, insieme a tanti altri Peacemakers da tutto il mondo si sono espressi a favore della lotta nonviolenta, non solo, ma la volontà di aiutare, soccorrere, sostenere e perfino insegnare, o per meglio dire trainare i palestinesi fuori dal tunnel della violenza, si è manifestata in un abbraccio sincero che ha superato ogni contraddizione raggiungendo direttamente il cuore di molti palestinesi. mi ha particolarmente colpito il coraggio dei genitori di Rachel Corrie che, nel tentativo di approfondire il percorso dell'amata figliola, non si sono astenuti dal partecipare ad una delle azioni dirette alle quali partecipava anche Rachel. nel loro workshop sono riusciti, con grande intelligenza, a far parlare i palestinesi, accorsi in gran numero, e gli altri internazionali, sempre per meglio comprendere e meglio approfondire quella realtà che li ha privati della figlia.
ho registrato l'intervento di Gene Sharp, che sbobinerò quanto prima e anche gli interventi al workshop del man sulla forza civile di intervento in Israele e Palestina, invierò anche questi appena pronti.
La conferenza si è chiusa con due azioni dirette di protesta contro il muro di separazione, che è ormai diventato un mostro infinito che sbarra, spiana, separa, demolisce e aggredisce la vita quotidiana e quella emotiva non solo dei palestinesi ma di chiunque si trovi a viaggiare da quelle parti.
La prima azione si è svolta nel villaggio di Bìlin dove, da mesi ogni venerdì gli abitanti dei dintorni insieme agli internazionali organizzati dall'Ism si ritrovano per manifestare contro i lavori di fondazione del muro che già esclude le loro terre e i loro uliveti dalle case in cui abitano, a favore di un insediamento composto da giganteschi condomìni, illegali in Cisgiordania, che ospiteranno decine di famiglie di integralisti religiosi ebraici, dediti allo studio del pentateuco e alla proliferazione della loro specie. trecentocinquanta sono i palestinesi e gli internazionali rimasti feriti durante queste azioni di protesta, ma oggi la presenza dell'Imam di Gerusalemme ha permesso ai dimostranti di raggiungere un area che era stata sempre negata, c'era addirittura un trattore che arava la terra tra gli ulivi, mentre dalle colline giungevano le prediche degli Imam nelle moschee vicine. i bambini correvano con le bandiere della Palestina e dell'islam che garrivano al vento, i soldati erano pochi e appartati lontano. e tra le centinaia di manifestanti anche alcuni giovanissimi refuseniks che intrattenevano i bambini palestinesi. veri semi di speranza in una situazione che non offre alcuna via d'uscita al futuro del popolo palestinese.
L'altra manifestazione si è tenuta all'entrata di Betlemme, già circondata dall'altissimo muro, due volte quello di berlino, che passa attraverso cimiteri e taglia fuori gli uliveti e le case di persone che vivono ora, in un limbo dal quale non è affatto facile uscire, a meno che non lo si faccia per sempre. a questa manifestazione hanno partecipato tutte le autorità presenti alla chiusura del convegno, e ancora l'Imam di Gerusalemme, che di nuovo ha fatto la differenza evitando che la sorpresa dei soldati all'arrivo di alcune centinaia di manifestanti, si trasformasse in scontro. non solo, ma egli ha anche dichiarato ufficialmente il suo impegno e il suo appoggio alla lotta nonviolenta, segnando così un punto importante a favore della conclusione dei lavori.
Tuttavia l'entusiasmo per i risultati e l'emozione del ritrovarsi insieme ad affermare la comune convinzione che la nonviolenza può e deve risolvere i conflitti, non cancellano il rifiuto di alcune organizzazioni di schierarsi contro l'occupazione, per cercare invece una equidistanza e una posizione superpartes che, molto pacatamente, sono poi state smentite da un membro dei Christian Peacemakers Teams, il quale ha ricordato quanto sia grande e sproporzionata la potenza di Israele nei confronti di un popolo senza esercito e senza stato, talmente grande e preponderante che non ha bisogno alcuno di dialogo ne di trattative o di collaborazioni con eventuali e improbabili forze nonviolente di interposizione, e quindi vede i Cpt decisamente schierati contro l'occupazione a favore dei più deboli, nel segno dell'insegnamento di cristo.
Infatti, come si potrebbe mediare in Israele Palestina la presenza di una forza civile di interposizione quando i sionisti hanno già vinto e consolidato la loro conquista con un muro lungo tre volte quello di berlino e non hanno quindi alcun interesse a cedere alcunché a nessuno.
a questo proposito il discorso di Jeff Halper dei Rabbis Against the Wall, in sintonia con l'opinione della rappresentante della coalizione delle donne israeliane contro l'occupazione, denunciano la mancanza di una strategia e suggeriscono la contaminazione della società civile israeliana andando porta a porta con un questionario a spiegare gli effetti dell'occupazione sulle vite delle famiglie israeliane. lavoro che, comunque, dovrebbe essere fatto dagli stessi israeliani. nessun altro infatti potrebbe contaminare la società civile israeliana.
e così l'avvicendarsi delle ipotesi di soluzione, dei progetti e dei sogni degli uomini di buona volontà si intrecciano con le contraddizioni sull'interpretazione della nonviolenza e sulla sua messa direttamente in opera, mentre la storia continua a scriversi e a celebrarsi da se, in un flusso continuo animato da una moltitudine di volti e di eventi che ne tracciano i momenti definendone le luci e le ombre, una domanda rimane, inquietante e irrisolta; se in cent'anni di immigrazione in Palestina i sionisti hanno conquistato l'88% del territorio, quanto ne rimarrà ai palestinesi, alla fine del prossimo secolo?
saluti Maurizio