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Luisa Morgantini da gaza Data: martedì 3 gennaio 2006 (unponteper-shatila)

Riportiamo la lettera inviata da Luisa Morgantini, che Ilaria ha condiviso con gli utenti del Forum Massa
Ciao,
stiamo tutti bene, provati dall'esperienza del sequestro di Alessandro, ma ancor più provati da quello che abbiamo visto in questi giorni a Hebron, Betlemme, Gerusalemme. Kalandia. La crescita infernale del muro i nuovi avamposti colonici tra Betelmme e Hebron. Ma Gaza ci ha provato per la difficile situazione interna.
Siamo andati a Gaza perché ho chiesto all’ Unrwa di coordinare la nostra entrata con gli ufficiali israeliani del check point di Eretz. Siamo stati al campo profughi di Jabalia dove abbiamo avuto una ventata di speranza per il lavoro straordinario nel campo dell’educazione dei ragazzi e ragazze dei campi epoi a visitare gli uffici dell’ Unrwa preposto dalle Nazioni Unite all’assistenza ai profughi.
La sera di capodanno l’abbiamo trascorsa al Marna House, delizioso albergo con giardino nel pieno centro di Gaza, lo avevo scelto quello perché, l’albergo e situato al centro e quindi piu’ sicuro. Ma sopratutto l’avevo scelto, a parte il prezzo abbordabile da un gruppo come il nostro, perché durante la prima Intifadah era l’unico albergo aperto a Gaza e gestito da due donne fantastiche, Malika e Yala, adesso sono molto anziane e sono il nipote con la moglie che gestiscono ristorante e albergo. Serata tranquilla, bevuto anche spumante, malgrado il divieto vigente a Gaza. La mattina quando ci siamo svegliati abbiamo saputo che uomini armati avevano invaso il Club delle Nazioni Unite dove vendevano alcool e messo due bombette fuori. Non so davvero se questa sia la vera ragione.
Siamo partiti per Khan Yunis dove ci aspettavano Nahida e Tahani Abu Dakka, abbiamo potuto vedere ben poco, abbiamo fatto un interessante e vivace riunione con candidati e sostenitori (tra loro molti giovani)della lista chiamata della Terza Via, capeggiata da Salam Fayyad e Hanan Ashrawi.
All’uscita del palazzo mentre alcuni era gia sul nostro autobus, Alessandro, Raffaella e altri si sono attardati sull’angola aspettando che io terminassi di salutare i nostri ospiti, a quel punto e arrivata una jeep, sono scesi di furia alcuni uomini armati e mascherati che con i loro fucili hanno cominciato a sparare in aria. Uno di loro si è precipato verso Alessandro che era quello piu’ a portata di mano e lo ha ficcato di forza dentro la jeep.
Non abbiamo perso la calma, siamo risaliti e per fortuna alcuni palestinesi hanno riconosciuto a chi apparteneva il gruppo he aveva sequestrato Alessandro. Sono cominciate trattative frenetiche, nel frattempo si era sparsa la voce che Alessandro faceva parte del gruppo di Luisa Morgantini e piovevano telefonate da tutti, ministri, polizia, e poi e amiche e gli amici di molte di noi. C' e stata molta solidarieta e da parte di tutti.
Tutti tendevano a tranquillizzarci e il generale palestinese ha promettere che ce lo avrebbe riportato. Volevano trasferirci nel posto di sicurezza di polizia, ma ho rifiutato dicendo che mi sentivo più sicura in quel palazzo al settimo piano, perchè era proprio tra vari poliziotti che c’erano gli scontri.
I rapitori sono di un gruppo conosciuto a Khan Yunis, alcuni di loro pare facciano parte delle forze di sicurezza di Dahlan, o almeno cosi si vocifera.
A parte la criminalita’ comune alcuni sostengono che in realta si vuole da parte di vecchi centri di potere non permettere le elezioni e che le faide rigurdano lotte interne a Fatah.
In realta oggi a Gaza il problema della sicurezza dei cittadini è fondamentale, tutti hanno paura dei più forti e di quelli armati che dettano legge, crescono anche le faide familiari, le vendette, i furti.
Sicuramente 38 anni di occupazione militare hanno pesato, ma ovviamente le scelte che si fanno dipendono dai singoli o dai movimenti.
Ripeto, anche dopo questa esperienza, quello che dico sempre: la maggiore responsabilita ricade sulla comunità internazionale e sui nostri governi che non sanno imporre al governo Israeliano il rispetto delle regole internazionali. Malgrado le promesse non ci sono investimenti a Gaza, non c’e liberta di movimento a parte le possibilita, comunque controllata, di uscita da Gaza. Le merci ancora non passano da Karni crossing e i pomodori dei contadini rimangono invenduti, cosi come le altre merci. Sopratutto continua la costruzione del muro e la crescita degli insediamenti.
Naturalmente continuano anche i razzi che cercano di colpire dal nord di Gaza la cittadina di Sderot in Israele. Un altra forma suicida perche la risposta di Israele sono i bombardamenti sui villagi di Beitlahia e BeitHannuon, lo abbiamo sentito ieri sera mentre stavamo andandocene alle nove di sera da Gaza, rimbombi fortissimi e pensavamo a quante case ancora venivano schiacciate o quante strade distrutte e quanti palestinesi potevano essere uccisi. Tra le persone che abbiamo incontrato tutti considerano sbagliato tirare rockets su Israele ma molti hanno paura di esprimersi nella situazione di violenza interna che si e creata e lamentano, giustamente una mancanza di direzione dell’autorita palestinese.
Alessandro sta bene, è un po’ spaventato ma abbiamo convenuto che nella conferenza stampa avremmo detto quello che pensiamo e cioè che queste azioni di criminalità servono gli interessi di chi non vuole la pace e la stabilita per il popolo palestinese, ma che non saranno per un noi un deterrente per continuare a pensare e ad agire per la fine dell’occupazione militare israeliana e per una soluzione che veda due popoli e due stati coesistere in sicurezza con Gerusalemme capitale condivisa. Dura da crederci, ma andiamo avanti.
Oggi il gruppo continua, Teresa e Alessandro si prendono una giornata insieme mentre il nostro gruppo andrà al Kibbutz Metzer, e poi a vedere 1’orrore del muro di Qalkilia e alla fine a Jaffa.
Grazie a tutte quelle e quelli che hanno mandato sms o telefonato. La vostra vicinanza è importante, le donne in nero che sono nel gruppo stanno bene e si mescolano con i giovani, era una cosa che mi premeva molto.
Ad ogni buon conto ieri è stata dura, sopratutto quando siamo arrivati ad Eretz e ci hanno detto che il check point era chiuso. Telefonate frenetiche anche con il nostro consolato e poi alla fine siamo passati.
Quando sollevati, stavamo per passare dalla parte israeliana, in attesa che si aprisse il cancello c'era una anziana donna palestinese che accompagnava il marito, ultraottantenne e invalido su una sedia a rotelle, all’ospedale Maqassed. I soldati non volevano fare passare la sedia a rotelle e il vecchio non poteva camminare e comunque gli sarebbe servita la carrozzella anche dall-altra parte. Ho detto a tutti che non saremmo passati senza che passassero anche loro, tutti d’accordo e la rabbia di tutti cresceva. Altre telefonate frenetiche per fortuna avevo il telefono di un ufficiale israeliano, l’ho chiamato e messa tutta su un piano umanitario, che ero sicura che lui non lo sapesse, se però poteva fare qualcosa, attese e attese mentre la voce del soldato dall’altoparlante urlava che dovevamo entra dalla linea uno ed io a dirle no, guarda questo vecchio potrebbe essere tuo nonno, noi non ci muoviamo fino a quando non entrano loro. Insomma non vi dico tutto dopo tante attese e telefonate alla fine arriva l’ordine che il vecchio con la sedia a rotelle poteva entrare. È stato un momento di commozione per noi tutte/i. La signora anziana mi ha abbracciata, ed io mi sono sentita male perché ancora una volta un suo diritto doveva essere implorato e accolto solo perché qualcuno si trovava li. Ma comunque è stato utile, naturalmente i soldati hanno voluto cancellare dalle macchine fotografiche le foto che avevamo fatto alla coppia palestinese, ma siamo riusciti a salvarne qualcuna.
Quando sono arrivata dall’altra parte è venuto l’ufficiale responsabile in quel momento ad Eretz spiegandomi che non era colpa loro, ma dei palestinesi perché quando avevano chiesto il permesso di transito per il signore anziano non avevano specificato il bisogno della sedia a rotelle e fare passare una sedia a rotelle poneva problemi di sicurezza. In quel caso comunque più che le mie parole il mio sguardo lo ha zittito. Finito l’iter siamo usciti, il fedele Mike ci stava aspettando felice di quello che era successo con la coppia di anziani, li aveva visti e la donna gli aveva raccontato tutto, ma non finisce qui. Mike mi dice "Luisa, adesso però c’e un altro problema" e mi indica una donna con tre ragazzi, uno di loro talassemico, non li vogliono fare entrare perché il check point è chiuso, se non entrano dovranno passare la notte all’addiaccio. Confesso, per un attimo mi sono detta no, non ce la faccio a tornare indietro e ricominciare a discutere con i soldati, gli ufficiali. Poi l’ho fatto, sempre con il tono implorante di casi umanitari. Non so perché ma ha funzionato, ero terrorizzata dall’idea di dover restare altre ore ad attendere e sopratutto di fallire. Ho dato ai bambini il cioccolato e il torrone che avevo portato e che dopo il sequestro non avevo fatto a tempo a dare al bambino di Lama Hourani. E li ho abbracciati e baciati anche per mostrare ai soldati israeliani dove stavamo.
Insomma, il nostro impegno per una pace giusta in Palestina e Israele è sempre più urgente e necessario.
Un abbraccio Luisa Morgantini il mio telefono qui 00972 547 271742 oppure 0039 348 3921465