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Afghanistan.: costruire la pace (Lidia Menapace)

Tratto da "La nonviolenza è in cammino", n. 1351 del 8 luglio 2006

[Dalla bella mailing list femminista e pacifista "Lisistrata" (per contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) riprendiamo il seguente intervento di Lidia Menapace, scritto come lettera personale ad alcune persone intervenute nel dibattito assai vivace e finanche aspro su quella mailing list svoltosi in questi giorni in riferimento al rifinanziamento della partecipazione italiana alla guerra afgana ed alla posizione che Lidia assumerà in occasione del voto del 17 luglio in merito]

Le mie motivazioni partono prima di tutto dalla evidente profonda attuale crisi del movimento pacifista, argomento che ho sollevato il 2 giugno e che non si può sottacere; le notizie che tutti e tutte citiamo sono vecchie di qualche anno e non hanno più il timbro evocativo che avevano, intanto la cultura guerrafondaia e tutto il contorno di una diffusa acquiescenza alla guerra cresce ovunque.
Credo che bisogna ricostruire una cultura pacifista radicale (che non c'è più) e studiare strumenti di azione differenti (numerosi da me proposti negli scorsi anni sono stati del tutto lasciati cadere e non mi sono lagnata di ciò, anche se ci ho patito abbastanza, perché per anni ho detto cose sulla neutralità, riforma delle Nazioni Unite, ecc., lasciate sempre cadere a prò di una cultura più raffazzonata e urlata): ad esempio a me ora pare molto efficace ciò che sta avvenendo a Pordenone dove un comitato di cinque cittadini ha citato in giudizio il governo Usa, non come fatto simbolico, ma realmente, e offre al movimento collegandosi al resto d'Europa uno strumento di lotta tramite il diritto internazionale, rafforzando se stesso e anche il diritto, che era stato quasi del tutto cancellato.
Insomma nelle decisioni singole bisogna partire dal fatto che vi è stata una lunga battuta di arresto molto pesante nel movimento: le persone che hanno scritto o si sono rivolte a me per implorare che non facciamo cadere il governo sono più numerose di quelle che hanno scritto per imporre la scelta secca del no [il no al rifinanziamento della partecipazione italiana alla guerra afgana - ndr] senza occuparsi delle conseguenze, e io non posso dimenticare che sono stata eletta sulla parola originaria di buttare giù Berlusconi.
Quanto al ragionamento che faccio e che a mio parere si sarabbe rafforzato e avrebbe avuto più forza nella trattativa col governo se avessimo - come avevamo convenuto - continuato a discutere tra noi per migliorare l'accordo invece di sbranarci subito tra noi, è facile da esemplificare: il decreto governativo peggiora già le sue chances migliorative, se il governo vede di non avere un appoggio sia pure tiepido e condizionato, ma almeno concorde, e si predispone subito a sostituirci nell'alleanza o a trattarci sempre col metodo della maggioranza invece che con quello del consenso.
Facciamo l'ipotesi che un accordo anche già peggiorato di fronte alle nostre dispersioni, passi alla Camera con alcuni no (che là sono possibili senza produrre alcunché perché ci sono margini) e poi venga al Senato dove viene respinto, dato che il margine è di due voti e basta meno degli otto [il riferimento è agli otto senatori che si sono espressi pubblicamente contro il rifinanziamento della partecipazione italiana alla guerra afgana - ndr] per respingerlo. Torna alla Camera e il governo nanuralmente predispone i termini per poterlo far approvare, il che significa che cerca alla Camera appoggi più larghi da esportare poi al Senato. Siamo già fuori dalla maggioranza e si avvia la costruzione di una "Grande coalizione" rispetto alla quale possiamo fare delle nobili testimonianze senza alcuna possibilità di verifica.
A me sembra, e lo dico crudamente, un'azione che favorisce, stabilizza e rende "normale" la guerra più che non l'altra ipotesi, certo molto meno suggestiva: posso sbagliare, ma non inganno nè me nè altri, e quello che dico è un ragionamento politico, non un volgare machiavellismo e nemmeno la prova che ho il cervello in pappa.
Con affetto, Lidia