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La nonviolenza oggi in Italia: Paolo Arena e Marco Graziotti intervistano Nicoletta Crocella

Pubblichiamo, come approfondimento alla nonviolenza, questa intervista, a Nicoletta Crocella, responsabile dell'editoria per l'associazione Stelle Cadenti, realizzata da Paolo Arena e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Questo ciclo di interviste verrà utilizzato nei momenti formativi realizzati dall'Associazione.

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

- Nicoletta Crocella: Penso di averlo assorbito con l'educazione dei miei genitori. Probabilmente in modo in parte inconsapevole essi ci hanno trasmesso idee e comportamenti che hanno portato me ed i miei fratelli a sentire la solidarietà verso gli altri e criticare la violenza e la guerra come modo di risolvere i conflitti. Pur venendo da una formazione tipica degli anni del  fascismo e subito dopo, il percorso personale ed umano dei miei genitori li ha portati a rifiutare la guerra, a sostenere un gruppo di partigiani rifugiati nelle montagne sopra la valle, di cui faceva parte mio zio. In seguito, la presa di coscienza è venuto con la nostra maturazione negli anni pre '68, quando la nostra generazione si interrogava e cercava risposte, rifiutava canoni precedenti identificabili in quel “Dio, Patria, Famiglia” che escludeva gli altri, quelli fuori.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali personalità della nonviolenza hanno contato di più per lei, e perché?

- Nicoletta Crocella: Direi che c'è stato un intreccio di influenze, mi vengono subito in mente Gandhi e Tolstoj, ma ancora prima la Virginia Woolf de Le tre ghinee, dove spiega non solo la sua opposizione alla guerra e come ad essa si senta estranea, ma anche perché non finanzierà senza obiezioni un'associazione pacifista maschile, e svolge una profonda riflessione femminista, con la sottolineatura che la persona, ogni persona, vale in sè, e denuncia la violenza insita nei rapporti di forza.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

- Nicoletta Crocella: Sto insistendo a consigliare, specie per i giovani e magari nelle scuole, i romanzi di Maria G. Di Rienzo, che ritengo possano essere stimolanti ad una riflessione sulla nonviolenza che viene dallo scorrere degli eventi nel racconto. Il giudizio di Morna, che è un romanzo breve, tra fantasy e fantascienza, che conduce attraverso il racconto e l'identificazione con il giovane protagonista alla scoperta della differenza come ricchezza, come valore, e dell'esistenza di un onore che non è ubbidienza al capo, fedeltà al gruppo, ma fedeltà al genere dei viventi, coloro che camminano su questa terra... E poi, stimolante come riflessione anche sul nostro possibile futuro, sui rischi che stiamo correndo, Nostra signora della luce. La letteratura è spesso un veicolo potente per arrivare a comprendere in un modo più empatico e profondo dei trattati sul tema. Questi libri potrebbero essere propedeutici ad un lavoro di analisi e di critica di ogni scritto di un qualche spessore narrativo che conduca ad incontrare e riflettere sulla complessità delle persone, su alcune biografie dei grandi nonviolenti Gandhi, Martin Luther King, e di alcune donne (bellissimo il libro autobiografico di Wangari Maathai), e poi ovviamente la Lettera ai cappellani militari di don Milani e gli altri documenti del rpocesso seguito, raccolti ne L'obbedienza non è più una virtù, ed anche Lettera a una professoressa; e gli scritti di coloro che hanno riflettuto e messo la nonviolenza nella propria esperienza di vita.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più impegno?

- Nicoletta Crocella: A me sembrano esempi splendenti di nonviolenza le lotte zapatiste: nella sesta dichiarazione della Selva Lacandona si dichiara esplicitamente che l'esercito si ritira, che il rischio del comandare è che “ci si abitua a comandare” e che quindi si ritira e lascia alle persone la responsabilità della gestione dei propri gruppi, e sin dall'inizio incontrando altri gruppi e popoli impegnati in lotte di liberazione gli zapatisti hanno chiarito che accanto alla solidarietà verso gli oppressi essi hanno una scelta di fondo nonviolenta, non intendono attaccare nè uccidere. L'altra lotta che credo andrebbe sostenuta molto più decisamente ed attivamente è quella palestinese: gli attivisti che organizzano le manifestazione di Bilin e di altri villaggi contro il muro usano metodi assolutamente nonviolenti, e riuniscono in questo impegno sia israeliani contrari alla politica del proprio governo che palestinesi. Vi sono associazioni come i combattenti per la pace che lavorano insieme sia con ex militari israeliani che hanno scelto di rifiutare l'esercito che con militanti palestinesi che hanno deciso di continuare la lotta in maniera nonviolenta. A ciò aggiungo che troppe volte ho sentito criticare la lotta palestinese perché non rigorosamente nonviolenta, ma sono molto poche le voci e le volontà che si alzano a sostenere il diritti dei palestinesi, e restarsene a guardare mentre vengono incarcerati ed uccisi non è certo un sostegno ed una condivisione della nonviolenza. La nonviolenza secondo me si dovrebbe basare anche su un riconoscimento ed un rispetto della verità, non sull'ascolto della propaganda, o su scelte di campo.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: In quali campi ritiene più necessario ed urgente un impegno nonviolento?

- Nicoletta Crocella: In Italia urge una ripresa culturale, l'ignoranza non è una virtù, è una deprivazione, un delitto. Ricordiamo che senza pensiero critico si è vittime del pensiero, o non pensiero, dominante. Questo è il nodo, ma credo che soltanto nell'azione pratica, nello sperimentare e vivere si riesce a cambiare la prospettiva generale, quindi penso che occorra lavorare a dare voce a quello che c'è, e c'è molto; così a memoria ed in modo non esaustivo: No Tav, No dal Molin, no aeroporto, no inceneritore, lavoro sulla decrescita, no razzismo e discriminazione dei diversi, diritti sociali individuali e collettivi, l'acqua pubblica, no alle guerre, ad ogni guerra, azioni di boicottaggio come il Bds verso Israele, donne in nero... Portare alla luce, far circolare, affermare e sostenere queste idee ed il lavoro dei gruppi che si impegnano su questi temi mi sembra la cosa più importante, in un momento in cui ha voce soltanto lo sfruttamento, la chiusura, il rifiuto.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?

- Nicoletta Crocella: Vi sono vari centri come quelli di Viterbo, di Pisa, il "Sereno Regis" a Torino, la Casa della nonviolenza, la rivista "Azione nonviolenta", e penso in ogni città vi sia il Mir, quindi dipende dove uno si trova e quali sono i suoi interessi. Penso che anche i No Tav in Piemonte, o i No Dal Molin a Vicenza siano posti dove cominciare a vedere attivamente come si può agire in modo nonviolento, e come si può costruire una relazione ampia, coinvolgente, positiva.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?

- Nicoletta Crocella: La nonviolenza è la volontà di condivisione, di incontro, di confronto senza prevaricazione, è l'impegno a costruire un mondo di relazioni che si intrecciano, di differenze che si arricchiscono reciprocamente. È la ricerca di un modo diverso, senza armi, senza guerra, di comporre i conflitti rispettando le persone ed i gruppi. Il fatto che ci sia un "non" nella sua definizione credo che voglia dire che è comprensiva di molti aspetti positivi, ha molti modi e molte idee, difficilmente rinchiudibili in un nome, così ecco che si definisce per quel no alla violenza.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?

- Nicoletta Crocella: Ho una lunga storia di convivenza con il femminismo, penso che abbia avuto la forza di mettere al centro la persona umana, i suoi desideri, i suoi punti di vista, ed il diritto ad esprimere pensiero e capacità, opponendosi alle costrizioni della società patriarcale e della chiesa. Il lavoro sulle differenze di genere è stato fonte rilevante di metodi di approccio rispettosi e nonviolenti.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?

- Nicoletta Crocella: L'ecologia è l'altra faccia della nonviolenza, la faccia concreta, che porta il nostro sguardo fuori dall'antropocentrismo per guardare alla madre terra, non più al mondo come macchina. Un libro molto utile è secondo me il libro di Elisabtta Donini, La nube e il limite, che aiuta a guardare alla scienza in modo critico e puntuale, e poi tutti i libri di Vandana Shiva.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?

- Nicoletta Crocella: Sono correlati strettamente, lo svelare la violenza di un mondo che in realtà sfrutta gli esseri umani e li considera come materiale soprannumerario da stoccare nei Cie, nei ricoveri, nelle galere, nei ghetti, dietro tutti i muri, dentro città assediate, periferie emarginate, penso sia il primo passo verso un mondo più umano, che non può risolvere i conflitti con la guerra, e non può innescare conflitti per derubare paesi e risorse nascondendosi dietro l'“esportazione di democrazia”.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed antimafia?

- Nicoletta Crocella: L'ho detto prima: rifiutare la prevaricazione, promuovere la giustizia, i diritti di tutti, sono il contrario delle connivenze con mafie, potentati, criminalità organizzata.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?

- Nicoletta Crocella: Penso che sia un nodo complesso, anche se considero le esplosioni di violenza di alcune reazioni degli oppressi una sconfitta, dovuta alla poca diffusione di una formazione alla nonviolenza che aiuta a resistere e reggere la tensione. Penso che la nonviolenza dovrebbe prestare estrema attenzione alla situazione di crisi ed alle lotte per il lavoro, anche per aiutare a formulare ipotesi e progetti di vita e lavoro che riescano a sottrarsi, almeno per gruppi marginali, ma significativi, alla violenza ed allo sfruttamento delle multinazionali per rivolgersi a progetti locali, controllabili, legati ai bisogni di vita delle persone.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi? e tra nonviolenza e pacifismo, antimilitarismo e disarmo? e tra nonviolenza e diritto alla salute e all'assistenza?

- Nicoletta Crocella: Rispondo a tutte queste domande insieme: la nonviolenza è il modo di agire, è il modo di tessere rapporti, raccontare orizzonti di senso nuovi, e quindi è legata a tutti questi temi. Temo il dogmatismo di dare alla nonviolenza il ruolo di arbitro del diritto e dei metodi, ma penso che il processo da fare insieme sia quello di caratterizzare tutte le lotte come ricerca di metodi e soluzioni non violente.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e psicoterapie?

- Nicoletta Crocella: Ricordo ancora la risposta che diede uno psicoterapeuta greco (era il periodo dei colonnelli) a chi gli chiedeva come la metteva con i problemi personali indotti dalla politica: “Il mio lavoro è quello di trasformare una persona sofferente in un ribelle efficace”; in questo senso riconosco un ruolo nonviolento alla psicoterapia, se libera le persone, le rende consapevoli, ed efficaci, non acquiescenti.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione, riflessione filosofica, riflessione delle e sulle religioni?

- Nicoletta Crocella: L'informazione, la riflessione filosofica e sulle religioni attraverso un'ottica nonviolenta dovrebbero prendere coscienza della propria parzialità, e della necessaria attenzione alla verità delle notizie, la chiarezza delle opinioni in gioco, la sfaccettatura dei punti di vista, l'impegno al rispetto della persona e del mondo come base per qualunque riflessione o insegnamento.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'etica e sulla bioetica?

- Nicoletta Crocella: Penso sia uno dei temi più delicati, ricordo la delusione e la rabbia che causò in noi donne la presa di posizione di Langer contro l'aborto... Credo che etica e bioetica possano essere influenzate dalla nonviolenza proprio nel rifuggire da norme astratte e definite che prescindono dalle persone, ma che partendo da una generale posizione verso le persone e il loro diritto a ben essere e ben vivere si possa trovare la risposta ai casi specifici.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia?  - Nicoletta Crocella: Ci metterei tutta l'attenzione al pianeta, al senso del limite.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione storica e alla pratica storiografica?

- Nicoletta Crocella: Una più attenta indagine sulla storia delle persone, sulla loro vita all'interno dei grandi “eventi” di cui sembra fatta la storia ufficiale.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche deliberative nonviolente ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe? E tra le tecniche operative della nonviolenza nella gestione e risoluzione dei conflitti quali ritiene più importanti, e perché?

- Nicoletta Crocella: Penso che il metodo del consenso nel prendere decisioni sia molto importante, in troppe assemblee si vede brandire la maggioranza come una clava che blocca invece di far crescere. L'altra cosa che ritengo importante è la gestione del gruppo in modo che tutti e tutte abbiano spazio ed ascolto, e l'attenzione alla gestione del potere, a misurarsi con il potere... (altro libro che mi viene in mente: Cambiare il mondo senza prendere il potere, di John Holloway - un libro impegnativo ma importante). So che servono le tecniche specifiche per la risoluzione dei conflitti, ma mi piacerebbe che esse divenissero un patrimonio collettivo di modi di porsi e di relazionarsi agli altri...

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe la formazione alla nonviolenza?

- Nicoletta Crocella: Non saprei, personalmente la vedo abbastanza come autoformazione, per i ragazzi e le ragazze dovrebbe essere naturalmente il sottofondo ed il contenuto del processo educativo, ovviamente prima andrebbero formate/i educatrici ed educatori ed insegnanti.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe l'addestramento all'azione nonviolenta?

- Nicoletta Crocella: Una continua attenzione alla condivisione, al sostegno reciproco, alla gestione del conflitto.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che più adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?

- Nicoletta Crocella: Secondo me sia riviste specifiche come "Azione nonviolenta", ed anche riviste di impegno che stanno facendo un percorso di attenzione concreta ai temi, come "Carta", ed anche centri come quello di Viterbo, o il "Sereno Regis", che oltre all'azione diretta diffondono in internet vere e proprie riviste on line.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali esperienze in ambito scolastico ed universitario le sembra che più adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?

- Nicoletta Crocella: Non sono al corrente di particolari esperienze in ambito scolastico, se non il rapporto con rappresentanti del movimento nonviolento, le autogestioni, la presentazione e la discussione di libri che abbiano anche una funzione formativa...

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno sovente un'impressione di marginalità, ininfluenza, inadeguatezza; è così? E perché accade? E come potrebbero migliorare la qualità, la percezione e l'efficacia della loro azione?

- Nicoletta Crocella: Non so se è inadeguata la presenza dei movimenti nonviolenti, secondo me alcuni attivisti che si dichiarano nonviolenti contribuiscono a dare una immagine poco credibile e poco accettabile della nonviolenza: mi è capitato ad esempio di imbattermi in banchetti (radicali?) di raccolta di firme dove un rifiuto, un voler capire ed interloquire divenivano occasione per insulti o pressioni francamente insopportabili, almeno per me che sono istintivamente una bastian contrario. Mentre trovo che certe azioni di gruppi come i No Dal Molin o i No Tav siano estremamente importanti per sviluppare metodi nonviolenti. Migliorare la qualità della percezione penso stia nel modo di relazionarsi, non dimenticando l'ascolto ed il rispetto delle differenze, e nel processo di gestione delle azioni. Magari anche nella limpidezza degli obiettivi e dei metodi. A livello internazionale mi sembra che alcune lotte nonviolente che sono riuscite anche a far cadere un governo, siano franate miseramente poi nella gestione del potere, nella corruzione di alcune delle persone più in vista. Il nodo è sempre la gestione del potere, la capacità di resistere alle pressioni esterne, la condivisione, il fatto che chi si incarica di contribuire ad un obiettivo non pretenda poi la guida assoluta isolandosi invece di continuare a costruire insieme, a ricercare metodi e mezzi.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di migliori forme di coordinamento? E se sì, come?   I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori strumenti di comunicazione? E con quali caratteristiche? E quali rapporti tra nonviolenza e movimenti sociali, istituzioni, cultura, forze politiche, organizzazioni sindacali, agenzie della socializzazione?

- Nicoletta Crocella: Metto tutto insieme perché non ho una strategia per ogni aspetto, vedo di fondo la nonviolenza come atteggiamento e metodo di vita, che è necessario informi ogni azione, e ne sostenga i metodi e la durata, il che vuol dire a mio parere cambiare il punto di vista con cui ci si avvicina a gruppi, progetti, azioni culturali e e sociali, movimenti: quindi basta gelosie e divisioni sulle stupidaggini, ricerca del più bravo, del leader più credibile, basta steccati e tabù; l'antifascismo stesso, unico tabù cui non riesco a rinunciare, lo vedo come modo di porsi, modo di agire, rifiuto dei balconi e dei leader carismatici che guidano verso un loro obiettivo e non sanno ascoltare e dare spazio alle voci di chi sta vicino. Dividersi in gruppetti, partiti, partitelli, eccetera, è tutto uno spreco di energie per salire sul carro del potere e della visibilità. La visibilità ce l'abbiamo se ce la diamo innanzitutto tra noi, se giornali e riviste organizzate danno spazio alle attività, alle proposte, agli interrogativi, agli scritti, se si tende una rete che intrecci i vari fili, che possa divenire l'elastica traccia dei percorsi che si incontrano, si avvicinano ed allontanano.

Penso che un buon inizio potrebbe essere porre alcune domande alla politica, e pretendere delle risposte, prima di iniziare qualunque aggregazione, sostegno, eccetera: domande come quelle fatte a suo tempo dai Beati costruttori di pace, ma anche altre, come il rapporto con la gestione del potere, con il denaro, il lavoro, l'organizzazione sociale: che idea di società hanno queste forze sociali in cui ci imbattiamo, che chiedono sostegno e voti, come intendono muoversi per raggiungere i loro obiettivi? (domande semplici: articolo 11 della Costituzione e lealtà internazionali: come intendete muovervi? - ad esempio).

Le organizzazioni sindacali ed i loro iscritti quanto si interrogano sul modello di società che sta uscendo da queste crisi ricorrenti? Ed in che direzione vogliono andare? che analisi della situazione del sistema industriale, agricolo, sociale ed economico hanno fatto che li guida nelle trattative, nell'accettare o rifiutare proposte, e che cosa hanno condiviso di queste loro analisi con i lavoratori?  Le agenzie della socializzazione, la scuola, la famiglia... la famiglia ariosa come una camera a gas è la sfida ed il modello delle relazioni: se si riesce a gestire i rapporti intrafamiliari, tra adulti e con bambine e bambini, in modo rispettoso, accogliente delle diverse istanze, in cui il sostegno a qualcuno non sia il gratuito obbligatorio di qualcun altro (qualcun altra...) nè lo sfruttamento e l'oppressione di nessuno, questo potrebbe essere il passo fondamentale per una crescita delle persone in un ambiente formativo davvero nonviolento, dove al sostegno si intreccia la comprensione ed il conflitto viene gestito non come imposizione del più forte e cedimento del più debole, ma con il metodo del consenso, della comprensione, in allontanamenti ed avvicinamenti senza feririsi od aggredirsi.

Gli eventi di questi ultimi giorni, il ripetersi di uccisioni di ragazze anche giovanissime da parte di uomini che non riescono a reggere la perdita della chiusura di un rapporto credo sia un segnale allarmante che le agenzie della formazione, famiglia, scuola, chiesa, gruppi sociali devono lavorare con estrema cura sulla capacità di rispettare le ragioni dell'altra/altro, sulla capacità di gestire il dolore e la perdita, sull'assenza di possesso nelle relazioni... sulla gestione stessa delle relazioni in cui si inserisca il lavoro dell'ascolto, dell'accettazione, della costruzione di un progetto, sull'intrecciare o separare progetti e vite.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e pratiche artistiche: quali rapporti?

- Nicoletta Crocella: Ho lasciato questa risposta a sè perché mi tocca da vicino; anche qui, ci vorrebbe una lunga riflessione, comunque l'esperienza artistica è fondamentale per essere testimone e profeta di un tempo. L'arte è la traccia lasciata nei secoli che ci fa scorrere la storia in modo più diretto ed intimo di qualunque libro, i dipinti nelle caverne, quell'andare dentro, in luoghi più profondi, per tracciare segni che sono omaggio alla dea della propria vita, speranze e paure... sino alle cattedrali, o alle storie narrate e passate per via orale, o la tragedia greca che interpreta e dà voce al mito, e ne evince simboli che ancora oggi riconosciamo. Le statue modellate sull'armonia, la bellezza, o il movimento di un corpo, anch'esse parlano di noi. Spesso nei corsi di approccio all'arte con bambini e ragazzi ci troviamo a parlare dell'importanza di ciò che è inutile, non serve a costruire, a proteggere, nemmeno blandamente a decorare: come il gioco, indispensabile per comprendere ed interpretare la vita, così l'arte è indispensabile proprio per la sua rottura con il canone dell'utile, usabile, commerciale, pratico. La collego alla nonviolenza proprio per questo: secondo me la vera arte legge la realtà, la interpreta, la trasforma, e la restituisce alla comprensione, o alla denuncia in modi anche forti, immediati, incomprensibili perché vanno oltre il dicibile con le parole, il visibile ad uno sguardo distratto, ma per questo stesso ci cambia, ci restituisce una immagine di noi e del mondo non levigata e smussata, nè addolcita, anzi spesso ha bordi taglienti, e ci costringe a fare i conti anche con le parti nascoste di noi stesse, quelle meno piacevoli, meno nobili, la nostra ombra che ci accompagna e ci influenza proprio per quanto è nascosta, non messa in luce.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e amicizia: quale relazione? E come concretamente nella sua esperienza essa si è data?

- Nicoletta Crocella: L'amicizia è una esperienza complessa, perché vissuta in genere con legami scelti ed incontrati, in questo è simile all'amore, ma più libera, perché non esclude, ma include, almeno in teoria. In pratica credo che l'amicizia, come ogni altra relazione umana, sconti la nostra incapacità di porci in una relazione che non abbia le connotazioni del  possesso: mi è capitato di vivere periodi di amicizia fra donne che ho pensato costruttivi e liberi, dove la condivisione diveniva solidarietà e sostegno. Inserendosi in un percorso di studio di alcuni temi e nel tentativo della traduzione in pratica degli stessi, mi sono trovata a dover scegliere di allontanarmi, accettare la separazione per non giungere alla ferita ed alla violenza, non fisica, ovviamente, ma sempre violenza è quando qualcuno cerca di piegarti a seguire la sua scoperta, il suo credo e legge la tua differenza come una condanna delle sue scelte. Credo quindi che anche nell'amicizia si debba lavorare sull'accettazione e sul confronto, sulla non esclusione di ciò che non è riconducibile ad una unità. In questo sto facendo una critica ad alcuni metodi di gruppi femministi, che hanno cercato di costruire a tavolino simboli e relazioni per affermare una idea di donna vincente, a costo di scavalcare, cancellare ed opprimere le singole donne che non rientravano nello schema: in questo caso ho vissuto l'amicizia come un separarsi, anche fisicamente allontanarsi, andare per altre strade, come unico modo per non rompere, lasciando al tempo ed alle persone la capacità di risolvere il conflitto interiore. A volte pretendere di far comprendere e far valere le proprie ragioni blocca l'altra nella possibilità di difendere prima, e criticare poi, se lo volesse, scelte diverse, e quindi in qualche modo la si imprigiona nelle scelte del momento. Per questo in alcuni casi credo che sia una scelta di nonviolenza la separazione, che consente all'altra di fare la sua strada, lasciando aperta la porta di un futuro incontro, oppure no, se la vita poi conduce altrove. Ho fatto anche altre esperienze dove le differenze intrecciate si sono rivelate una ricchezza, e lo scambio è avvenuto, ed avviene, in un clima di accettazione dell'altra che lascia spazio a differenti convinzioni e modi di vita, in alcuni momenti con maggiore frequenza ed intensità della relazione, in altri più distaccata, per distanza fisica, difficoltà pratiche, che però non incidono sul filo della relazione e sulla continuità del discorso che passa in vari modi.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e percezione dell'unità dell'umanità: quale relazione e quali implicazioni? E quali relazioni tra nonviolenza e politica, nonviolenza e vita quotidiana, nonviolenza e cura del territorio in cui si vive?

- Nicoletta Crocella: Mi sembra che a queste domande ho in parte già risposto: credo che non ci possa essere una idea di nonviolenza che non coinvolga la percezione che tutti gli esseri umani sono in relazione tra loro, ospiti tutti di questo pianeta, e che comprendere, accogliere, confrontarsi, impegnarsi per far crescere la coscienza della interrelazione e della interdipendenza sia ineludibile.

La politica, nazionale ed internazionale, è ancor oggi una organizzazione che non tiene presenti questa interrelazione se non in senso di dentro/fuori il mondo “civile” occidentale, evoluto, o meglio che tale si autodefinisce, lasciando tre quarti del mondo alla mercè dei giochi di potere dei più forti. Mi sembra che il problema si sia accentuato, e che il rifiuto formale del colonialismo, e quindi della degradazione di alcuni popoli a favore del potere di altri, sia divenuto una diffusione su scala planetaria dello sbilanciamento tra chi può e chi è escluso e non ha voce in capitolo.

La nonviolenza dovrebbe informare sia le relazioni politiche che quelle umane, che le nostre azioni e scelte nel quotidiano, facendo attenzione alla gestione dei conflitti, alla non esclusione, a non identificare un capro espiatorio, tra i bambini di casa o del quartiere, tra i familiari, tra i vicini di casa; ma costruire delle relazioni di solidarietà includente, che sostengano chi ha un problema e consentano di esprimere rabbia, dissenso, stanchezza, oltre che gioia, allegria, voglia di vivere...

La cura del territorio è la cura dell'ambiente, la rinuncia alla comodità immediata (ad esempio una nuova strada che arriva fin sotto casa) per una visione più ampia del benessere delle persone e degli animali, delle piante entro la nostra madre terra, che tutto pone in relazione. Credo che questo concetto sia opposto al concetto classico e distruttivo di piegare la terra, smontarla e ricostruirla a nostra misura, riempire i mari, spianare le montagne, rubarle i tesori che nasconde; e che ne sveli la pericolosità e la pazzia autodistruttiva.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura delle persone con cui si vive: quale relazione?

- Nicoletta Crocella: La cura delle persone dovrebbe avere caratteristiche di accoglienza e di reciprocità, o almeno di circolarità, sapendo che vi sono gli inermi, bambini e bambine, che progressivamente divengono capaci di avere atteggiamenti di cura, anziani ed anziane, la cui capacità di cura degli altri diminuisce accanto alla percezione della propria debolezza, ed invece quelli che sono più capaci, abili, adulti, ma che anche essi hanno bisogno di sentirsi accuditi e curati. Specie dove vi siano situazioni di difficoltà e di crisi, è una forma di violenza collettiva delegare alla donna, alla famiglia il problema come se fossero fatti suoi. Una società che viva una relazione reciproca di cura riparerà prima i danni, sosterrà le difficoltà, il che vuol dire la prevenzione delle crisi maggiori e maggiore serenità.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: La nonviolenza dinanzi alla morte: quali riflessioni?

- Nicoletta Crocella: Si è molto discusso in questi tempi su alcune situazioni specifiche che riguardano il mantenere forzatamente in vita alcune persone: io credo che l'accanimento terapeutico sia una violenza organizzata, un arrogarsi il potere sulla vita al di là del rispetto per la volontà e la dignità del singolo. Penso che all'origine vi sia un rifiuto a pensare alla morte come un momento della vita, insito nella nascita, che ci fa esseri con un inizio ed una fine. L'accoglienza anche della morte come parte della vita ci dovrebbe aiutare a cercare modi di accompagnamento più rispettosi. Mia madre dopo anni di Morbo di Parkinson era giunta alla fine della sua vita, non era chiaro quale comprensione avesse di quanto le succedeva intorno, ma al mattino aveva risposto con un sussurro alla benedizione del parroco, e poi, sembrava che avesse aspettato che mio fratello ed io che vivevamo lontani potessimo arrivare. Soffriva, molto, il medico aveva fatto una prognosi incerta sui giorni a venire, a me sembrava assurdo che potesse durare tanti giorni quel respiro affannoso, il lamento quasi non pronunciato, la sofferenza evidente... Mio fratello, che è credente, vedendo anche lui come la sofferenza era continua trovò il coraggio di dirle che era il giorno giusto, se voleva andare poteva chiedere a Gesù, era il venerdì santo, che la prendesse in braccio e la portasse con sè nel suo andare dal Padre. Io non riuscivo a dirle le stesse cose, ma sostenni la sua affermazione. Non restare per noi, le dissi, vai se qui soffri tanto, non vogliamo trattenerti... Mio figlio mi aveva trascinata fuori da quella stanza con la scusa di farmi vedere l'opera di una sua amica, un'ora dopo eravamo di ritorno: lei sentì le nostre voci, si mise tranquilla, provò a pronunciare i nostri nomi, e… si distese il suo viso, da anni ormai non riconoscevo nel volto reso immobile dalla malattia, ecco ora i suoi lineamenti rilassati, la dolcezza delle linee che amavo, la morte ce la restituiva come era stata, e fu con sgomento e tenerezza grande che accolsi il suo corpo abbandonato tra le mie braccia, mentre un'amica infermiera giunta proprio allora dirigeva con noi le pratiche di lavarla e vestirla per il suo ultimo viaggio. Non si dà quasi più questa possibilità di morire a casa, nel proprio letto, le persone care accanto, tendiamo tutti a delegare alle istituzioni la cura, il sostentamento e la morte, ed anche dal punto di vista medico sono molto poche, e poco diffuse, le pratiche di accompagnamento alla morte, le cure palliative, per evitare i dolori peggiori, la preparazione, la comunicazione alla persona delle sue condizioni. Vi è un disumano tentativo di tenere in vita, prescindendo dalla persona: che risultato è stato, ad esempio per mio zio, ricoverato al sesto infarto, impossibile riparare un danno così grave, l'essere tenuto in sala di rianimazione per quindici giorni, e morire da solo in quel posto asettico? Restituirlo al figlio, alla famiglia, perché potesse spirare nel proprio letto, i suoi cari per l'ultima volta riuniti per lui, non sarebbe stato meglio, anche si fosse trattato di morire una settimana prima? Penso che una pratica nonviolenta stabile e chiara dovrebbe informare la cura e l'attenzione per il benessere della persona, per la persona, non per un giorno, un anno, anni di non vita che servono soltanto a dimostrare l'abilità e la potenza della medicina ma tolgono dignità e riconoscimento di umanità alla persona, che diviene soltanto cavia da esperimento, oggetto di prove, tentativi, articoli per la prossima rivista scientifica... ed ho molto apprezzato la forza di quelle persone che hanno portato alla luce il contrasto affrontando estenuanti battaglie giudiziarie, per non fare il solito banale gioco di fare senza dire, staccare una macchina, togliere un tubo, fare succedere un evento che dovrebbe essere affidato alla sequenza delle cose, all'evoluzione normale.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali le maggiori esperienze storiche della nonviolenza?

- Nicoletta Crocella: Beh, quella di Gandhi è la più conosciuta, ma altre anche, quella di Rosa Parks, Martin Luther King...

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi nel mondo?

- Nicoletta Crocella: Se ne parla spesso, con molta stima, ma riceve poca considerazione pratica ogni azione nonviolenta, eppure sempre più gruppi e persone nel mondo cercano di orientare la propria resistenza a pratiche nonviolente, cercando di svuotare di senso la violenza delle istituzioni.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi in Italia?

- Nicoletta Crocella: Mi sembra che ottenga a livello di movimenti vari di resistenza molta attenzione, mentre troppo spesso si cerca da parte delle forze “dell'ordine” di creare conflitti e provocare reazioni violente: la capacità di non cadere in queste trappole è la forza dei vari movimenti.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: È adeguato il rapporto tra movimenti nonviolenti italiani e movimenti di altri paesi? E come migliorarlo? E quale le sembra che sia la percezione diffusa della nonviolenza oggi in Italia? E quali iniziative intraprendere perché vi sia da parte dell'opinione pubblica una percezione corretta e una conoscenza adeguata della nonviolenza?

- Nicoletta Crocella: Penso che i movimenti organizzati dei vari paesi si scambino attenzioni ed iniziative, grazie ad internet la comunicazione passa nonostante filtri e blocchi. La percezione diffusa è un pò quella di anime belle, poco concrete, non consapevoli della realtà che purtroppo porta in una direzione diversa. Imprese eclatanti e che hanno risonanza, come quella della Freedom flotilla, o alcune di Greenpeace ricevono considerazione, ammirazione e... presa di distanza. Forse bisognerebbe essere più creativi, vivaci, allegri, e trasmettere in continuazione le notizie che possono servire, non soltanto con internet e le riviste, ma anche parlando tra amici, con quella comunicazione bocca-orecchio che è spesso la più fruttosa, anche se apparentemente lenta.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e intercultura: quale relazione? E quale relazione tra nonviolenza e conoscenza di sè, nonviolenza e scienze umane, nonviolenza e linguaggio? E quali implicazioni e conseguenze tra nonviolenza e critica dell'industrialismo; nonviolenza e rispetto per i viventi, la biosfera, la "madre terra"; nonviolenza, compresenza, convivenza, scelte di vita comunitarie; nonviolenza, riconoscimento dell'altro, principio responsabilità, scelte di giustizia, misericordia?

- Nicoletta Crocella: Mi sembra di aver già risposto, sul linguaggio bisognerebbe aggiungere che il senso delle parole è forte, le parole sono vive, possono essere curate, usate con cura o ferite, rovinate, stravolte, bisogna crescere con esse, e su tutto. Prestare attenzione: al senso, alla relazione, alle reazioni, ai bisogni e necessità che nascondono, una relazione circolare, in cui noi siamo entro il cerchio della vita con tutte le cose, ed evitare violenza e sofferenza anche ad un insetto, a un topolino, o ad una pianta, significa diminuire il livello di violenza, per tutti. Puntare ad un mondo più umano e più giusto per tutti i viventi, che significa piegare progetti, ricerca ed industria a questo obiettivo: i soggetti sono le persone, non le industrie, le merci, che hanno libertà di circolazione mentre gli esseri umani sono bloccati!  Scelte di vita comunitarie, convivenze e compresenze implicano capacità di interrelazioni e di composizione dei conflitti con lo scambio e l'incontro, un occhio alla nonviolenza anche nella gestione delle relazioni implica un autoaddestramento all'attenzione ai gesti, alle parole, senza peraltro usare violenza verso se stessi, cosa che molto spesso avviene specie nelle donne e nelle persone che si votano al servizio degli altri.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e coscienza del limite: quali implicazioni e conseguenze? Nonviolenza come cammino: in quale direzione?

- Nicoletta Crocella: Il limite è nei fatti, nelle cose che ci circondano, nelle risorse, nelle persone, nelle capacità, confrontarsi con esso significa imparare ad essere accoglienti, pazienti, a non pretendere l'impossibile. La direzione della nonviolenza è quella del cerchio di tutti i viventi, verso un ben essere, ben vivere, comprendersi, scambiare informazioni, pensieri, affetti. Una visione del mondo.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e internet: quale relazione? e  quali possibilità?

- Nicoletta Crocella: Buone, dipende dall'uso: internet è un mezzo, mette in comunicazione, apre strade, può creare confusione, ma il fatto che faccia paura ai potenti mi fa dire che è innanzitutto positivo ed utile.

 

- Paolo Arena e Marco Graziotti: Potrebbe presentare la sua stessa persona (dati biografici, esperienze significative, opere e scritti...) a un lettore che non la conoscesse affatto?

- Nicoletta Crocella: Sono una donna adulta, ho 66 anni, sono responsabile dell'editoria per l'associazione Stelle Cadenti, ho fatto l'assistente sociale e la formatrice, da sempre scrivo, ho allevato bambini, amato uomini, coltivato amicizie, abbandonato storie che mi costringevano, incontrato altre persone. Ho partecipato a gruppi femministi, ecologisti, persino politici, oggi partecipo alle cose in cui credo, mi impegno con la scrittura e la comunicazione, nella relazione con i vicini, con bambini ed anziani, cani e gatti. Ho una particolare attenzione alla condizione della donna, la violenza sulle donne è la rappresentazione di un mondo violento, della prevaricazione, del potere dell'uno sull'altra, ed alla condizione dei popoli oppressi. Particolare amore per la causa palestinese perché la Palestina è una ferita nel Mediterraneo, è il capro espiatorio di nostre colpe passate, è la dimostrazione di come un intero popolo possa divenire ostaggio, non considerato come composto di esseri umani, ma condannato in blocco ad una stenta sopravvivenza, per la nostra pretesa sicurezza. E per parlare di sicurezza, l'unica che mi interessa è la sicurezza della terra e del cielo, del cibo e della vita delle persone vere.

Aggiungere qualcosa? Forse ho scritto troppo, ma per me è inevitabile, poteva venirne un trattato, alcune domande si sovrapponevano, ma è stato interessante rispondere.