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Nonviolenza: intervista a Cesare Manara

Pubblichiamo, come approfondimento sulla nonviolenza, questa intervista di Giselle Dian della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta" a Cesare Manara,  ricercatore e professore aggregato presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bergamo - Giselle Dian: Quale eredità ha lasciato nella cultura statunitense e mondiale l'esperienza di Martin Luther King, la lotta contro il razzismo e il movimento per i diritti civili?  

- Fulvio Cesare Manara: Le eredità vere, mi pare, sono quelle di cui è difficile portare il peso. Non quelle che si godono "spendendo" risorse, e beni, in ogni caso sconsideratamente, essendo estranei alla fatica che li ha generati e conseguiti.
Quella di Martin Luther King (e di Gandhi, di Tolstoj, e di moltissimi altri) è di questo genere, mi pare.
Già, qual è l'eredità di Martin Luther King? C'è ancora qualcuno che la riconosce e la sente?  La lotta contro il razzismo credo debba ricominciare da capo per ogni generazione. Il "disprezzo per la debolezza" o per la "differenza" è un dato costitutivo della nostra specie (che deve ancora divenire realmente umana), come direbbero Ofstad e Simone Weil... Mi pare che la specie umana debba ricominciare sempre da capo questa battaglia. In particolare, i diritti civili in questo momento storico mi sembrano del tutto sofferenti, insieme a tutti gli altri diritti (che, secondo la letteratura corrente, vengono definiti "inscindibili" e interconnessi gli uni agli altri). L'esperienza di Martin Luther King, come quella di Gandhi e di molti altri "testimoni dell'azione nonviolenta" è un'esperienza ancora poco conosciuta. E soprattutto, e assolutamente, mi pare, se la consideriamo non solo come una ispirazione di principio, ma proprio come un sapere esperienziale. Dobbiamo appunto sempre da capo riprendere il cammino di educarci alla trasformazione nonviolenta dei conflitti. Con lo studio, e insieme con la passione per cercare di cambiare agendo. Come esplorare, allora, queste eredità ancora inesplorate?  

- Giselle Dian: La riflessione e la pratica del femminismo hanno avuto un ruolo fondamentale nella formazione dei movimenti sociali impegnato per i diritti umani di tutti gli esseri umani. Come si è esercitato questo ruolo nel corso degli ultimi decenni a livello planetario?  
- Fulvio Cesare Manara: Ho conosciuto il femminismo della differenza piuttosto da vicino. E non ho concluso ancora il dialogo aperto con le sue istanze, se non con le sue esponenti. Direi che la sua evoluzione più forte e provocatoria è quella di Luce Irigaray, che seguo da vicino da qualche mese (l'abbiamo invitata per un convegno dialogale a Bergamo alla fine di ottobre). Rinvio alla lettura delle sue opere, e in particolare di una delle ultime, ossia Condividere il mondo, dove si legge, fra l'altro, qualcosa del genere: "l'altro in quanto tale è stato escluso dall'elaborazione della cultura occidentale". Insomma, serve una trasformazione radicale, una metanoia...
Proprio oggi, transitando per caso dal soggiorno di mia madre, ho sentito un dibattito tra un giornalista (che mi è sconosciuto) e una giovane donna che dichiarava di "voler offrire la sua virtù al presidente dell'Iran"... Credo sia un esempio adeguato per pensare a quanto ancora il femminismo sia lungi dall'aver conseguito stabili "risultati". E poi, sarà sufficiente che il femminismo "trionfi" o dovrà anch'esso essere superato?  

- Giselle Dian: L'opposizione alla bomba atomica ha caratterizzato la seconda metà del Novecento; negli ultimi decenni essa si è sviluppata anche contro le centrali nucleari, cogliendo una serie di decisivi nessi ed implicazioni. Quali sono state le esperienze cruciali e quali sono le riflessioni fondamentali del movimento antinucleare?  
- Fulvio Cesare Manara: Non sono tanto attratto dai "movimenti", soprattutto da quelli così sfuggenti e labili come quello antinucleare. O quello del pacifismo generico, anche. Sia chiaro, ne condivido radicalmente le istanze. Anzi, penso che probabilmente ci serve una la coscienza più radicale, che si esprima nel sentire la violenza che la specie umana esercita sui corpi, sulla materia. Non abbiamo ancora sufficiente "sentire" per allargare a questo modo la nostra coscienza, che è ahimè ancora non solo antropomorfica, ma antropocentrica...
Inoltre, per parte mia sono ispirato dagli scritti e dalle parole di Guenther Anders. Non abbiamo ancora sviluppato la consapevolezza che l'energia cosiddetta "atomica" è un sintomo della tecnologia che rende l'uomo obsoleto.
Ma c'è molto a cui prestare attenzione, rispetto alla proliferazione degli armamenti nucleari, che ancora continua, e rispetto alla ricerca scientifica sul nucleare, che non è proprio "pura" e "libera da condizionamenti"...

- Giselle Dian: Da alcuni anni si ha la sensazione che almeno in alcune parti del mondo finalmente i diritti delle persone omosessuali vengano almeno formalmente riconosciuti, e che il pregiudizio e la violenza omofoba non godano più di una complicità diffusa. È realmente così? Ed attraverso quali tappe di impegno civile e di progresso culturale si è giunti a questa situazione, e quanto cammino c'è ancora da percorrere, e quali iniziative occorre intraprendere affinché ad ogni persona sia riconosciuto il diritto alla libera autodeterminazione ed autogestione del proprio orientamento sessuale e delle proprie scelte di vita?  
- Fulvio Cesare Manara: Ho la percezione che siamo ancora ben lontani da una seria liberazione sessuale per i cosiddetti "omosessuali", come del resto, direi, anche per ogni altro essere umano. Porsi l'obiettivo della liberazione sessuale, separatamente da una serie di altre forme di liberazione, non è rischioso e controproducente?  I sintomi della violenza omofoba e dell'incapacità di accogliere ogni differenza sessuale mi sembrano evidenti e diffusi, proprio nelle nostre società che predicano la libertà.
Penso che siamo ancora troppo legati all'idea che il "diverso" debba "integrarsi"... È un bel problema, no?  

- Giselle Dian: È sempre più evidente la coerenza e la saldatura tra impegno per la pace, affermazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani, scelta della nonviolenza, femminismo ed ecologia. Come e perché si realizza questa convergenza? Quali frutti recherà all'umanità?  
- Fulvio Cesare Manara: Tra le piste di ricerca che più coerentemente seguo in questi ultimi anni ce n'è una che investe la chiara decostruzione della cosiddetta autoreferenzialità della "cultura dei diritti umani". La "cultura dei diritti" si regge davvero su se stessa? I diritti sono davvero "universali" e "assoluti". O sono piuttosto "fondati" e "relativi"?  Mi pongo alcune domande: se voglio difenderei i diritti, quali sono le forme di lotta che posso adottare? Se adotto forme violente di difesa dei diritti umani è giusto e legittimo? E cosa vuol dire "rispetto" dei diritti umani? Non richiede questo "rispetto" il ricorso e il riferimento ad un principio "superiore" agli stessi diritti?  Per me questo "principio superiore" è il principio di giustizia, così come lo intende Simone Weil, ossia il principio nonviolenza. La vera domanda che fonda la giustizia non è "perché lui ha più di me", ma "perché mi fai male"...
È proprio il principio nonviolenza (neminem laedere - nuova innocenza) a fondare i diritti umani!  Che fare per educarci a questo modo di intendere-essere-agire? Non ho certo risposte preconfezionate, nè, forse, esistono...

Fonte: Centro di ricerca per la pace di Viterbo