Musica senza confini - Glasba brez meja (Alessandro Capuzzo)
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Esperienze
- Visite: 1227
Progetto Interventi civili di pace in Friuli Venezia Giulia
GIORNATA DEI DIRITTI UMANI - DAN ?LOVEKOVIH PRAVIC
"Musica senza confini - Glasba brez meja"
dedicata a Danilo Dolci - Poklon Danilu Dolciju
10 dicembre ore 9.30- Seana - sala del Consiglio comunale
10 dicembre ore 18.00 - Trieste - Teatrino ex Ospedale psichiatrico
GIORNATA DEI DIRITTI UMANI - DAN ?LOVEKOVIH PRAVIC
"Musica senza confini - Glasba brez meja"
dedicata a Danilo Dolci - Poklon Danilu Dolciju
10 dicembre ore 9.30- Seana - sala del Consiglio comunale
10 dicembre ore 18.00 - Trieste - Teatrino ex Ospedale psichiatrico
Il 10 dicembre è occorso il 60° anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani da parte delle Nazioni Unite. Le iniziative di celebrazione cui aderiscono Cgil Cisl e Uil, hanno avuto luogo fra Seana in repubblica di Slovenia e Trieste in Italia, in collegamento con le manifestazioni della Tavola della Pace per un Servizio pubblico televisivo impegnato contro guerre e povertà, e nel quadro del Progetto Interventi civili di Pace promosso da un pool di Associazioni col sostegno del Ministero degli Esteri. Progetto d'in/formazione verso Scuole Università e Volontariato di otto Regioni - ispirato anche al lavoro di Danilo Dolci - e realizzato anche in Friuli Venezia Giulia, dov'è condotto da International peace research Italia / Rete corpi civili di pace, con la collaborazione della Regione.
Nodalmolin: inizio azioni nonviolente autogestite (Pippo Magnaguagno)
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Esperienze
- Visite: 790
Nodalmolin: inizio azioni nonviolente autogestite, controllo dei camion, tavolo della consultazione
Le azioni di cui si parla sono prevalentemente proposte ai cittadini di Vicenza e comuni limitrofi, ma in nessun modo si esclude l'intervento anche da regioni più lontane.
Chi non può partecipare terrà la presente come informazione.
La descrizione dell'azione e le motivazioni si trovano qui sotto, ci limitiamo a sottolineare i seguenti dettagli:
Come una lettera ad Aldo Capitini (Lorenzo Porta)
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Esperienze
- Visite: 721
Una riflessione di Lorenzo Porta sulla nonviolenza... quasi un dialogo virtuale con Aldo Capitini, pubblicato su Notizie Minime della nonviolenza, n. 621 del 27 ottobre 2008
4 novembre 2008 (Mao Valpiana)
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Esperienze
- Visite: 851
La "festa" militarista del 4 novembre è stata voluta ed istituita dal fascismo. Ed ora che gli eredi culturali del ventennio sono arrivati al potere, quella festa vogliono rilanciare. Non solo caserme aperte, esposizione pubblica di carri armati, parate in divisa, ma anche militari nelle scuole a raccontare ai giovani l'epopea della "grande guerra". Alla festa per la vittoria si è aggiunta quella per l'unità nazionale ed anche la Giornata della Forze Armate. Ogni anno, in ogni città, le autorità civili, militari, religiose, si ritrovano tutte unite per legittimare eserciti e guerre. Stiamo assistendo ad un arretramento culturale. Le parole perdono il loro significato. Non si dice più "carneficina di esseri umani", ma "intervento militare per portare la pace". La guerra ormai è entrata nelle coscienze di molti, per annullarle. Ed ora si vuole persino riscrivere la storia! Alle iniziative militariste del Ministro della Difesa, dobbiamo rispondere con una campagna culturale che ristabilisca la verità storica, che valorizzi il dettato costituzionale che recita: "l'Italia ripudia la guerra".
Lintervista a Matteo della Torre, direttore de
- Accademia Apuana della Pace
- Categoria: Esperienze
- Visite: 1400
Non c'è alcuna ricerca di Pace credibile senza giustizia, diritti umani e libertà: anche nelle chiese cristiane ma non solo.
L'intervista a Matteo della Torre, direttore de "Il grido dei poveri".
Pubblicata sul n. 17 del 25 febbraio 2007 della newsletter della comunitàQuesto indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
1) In Italia o all'estero ci sono ancora preti operai? Quale è stato e/o quale è il senso della loro presenza - a suo avviso - nella chiesa cattolica romana e nel mondo del lavoro?
Nell'Italia dei primi anni '70, i sacerdoti che fecero la scelta profetica del lavoro manuale nel mondo operaio erano circa trecento. Sotto l'impulso del Concilio Vaticano II, essi decisero di condividere la condizione operaia e mettere in discussione la ministerialità sacerdotale, sempre più imbalsamata nella pastorale intra moenia ed estranea alle istanze provenienti dal mondo dei diseredati. La loro esperienza rivoluzionaria è stata una delle molteplici espressioni della cosiddetta Chiesa di frontiera. Ne cito solo alcuni: Bruno Borghi, Carlo Carlevaris, Luisito Bianchi, Gianni Fornero, Giuseppe Stroppiglia, Aldo Bardini, Gino Chiesa... Oggi, in Italia, i preti operai sono un centinaio.
I preti operai suscitano, nella Chiesa dei sacerdoti con il sostentamento assicurato, una domanda inquietante che mi permetto di prendere in prestito da Gandhi: "Possono gli uomini guadagnarsi il pane con il lavoro intellettuale? No. A bisogni del corpo deve pensare il corpo. Il mero lavoro mentale, cioè intellettuale riguarda l'anima ed è compenso a se stesso. Non dovrebbe mai pretendere di essere retribuito. Nello stato ideale, dottori, avvocati e simili lavoreranno solo a beneficio della società, non per se stessi".
Alla luce della nonviolenza gandhiana, possiamo affermare che nessuno può ritenersi esentato dal lavoro delle mani, né il professore, né l'insegnante, né il notaio, né l'avvocato, e neppure il sacerdote, come chiunque altro svolga un'attività intellettuale, a meno che non voglia rinunciare a tutto ciò che per prodursi comporta fatica. Questa, a mio avviso, è la più grande provocazione dei sacerdoti operai. Tutti devono guadagnarsi il cibo che mangiano con il lavoro delle proprie mani, lo prescrive Dio nella Bibbia costituendo l'uomo coltivatore e custode della creazione: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gn 3, 19). Il lavoro delle mani è quindi sacro, perché con il suo esercizio l'uomo obbedisce alla volontà di Dio, al suo primo ed essenziale comandamento che gli prescrive il dovere di procacciarsi onestamente il pane, senza far gravare su altri questo compito. Chi accumula ricchezze senza lavorare, e così facendo parassitizza il suo prossimo, commette una gravissima ingiustizia ("Chi non vuol lavorare, neppure mangi" - 2 Tessalonicesi 3, 10).
Il lavoro per il pane, quindi, è la prima forma di nonviolenza, un atto d'amore per il prossimo, che comporta, perciò, la rinuncia allo sfruttamento della fatica altrui per il soddisfacimento dei propri bisogni fondamentali.
L'uomo astuto, nel corso della storia, in dileggio del volere di Dio, ha raggirato questo precetto industriandosi al meglio per far lavorare i propri simili al suo posto. Non c'è uomo al mondo che non nutra in sé l'aspirazione di emanciparsi dalla fatica fisica. Il rifiuto del lavoro fisico per il pane è alla radice di ogni sfruttamento ed ingiustizia ed è la chiave interpretativa con cui leggere il dramma della violenza strutturale che opprime le società che si sono strutturate in classi a motivo dell'iniqua ripartizione del lavoro tra fasce sociali agiate, "dispensate" dal lavoro manuale e classi subordinate, sfruttate e costrette ad un lavoro svalutato e degradato. Il lavoro delle mani diventa così la forza rivoluzionaria e il mezzo attraverso cui minare alle radici la divisione del lavoro, causa di innumerevoli ingiustizie. "Lo sfruttamento - scrive Giuliano Pontara - comincia là dove vi sono uomini che mangiano il pane che altri hanno prodotto, senza fornire un corrispettivo lavoro. E, si badi, per lavoro si intende qui lavoro manuale, fatica fisica, sudore".
Il lavoro manuale, oltre ad essere, come diceva Lanza del Vasto, "il tirocinio della probità", è un'esigenza profonda della nonviolenza, perché se non si instaura "una certa uguaglianza tra quel che si prende e quel che si rende" si dipende dal lavoro altrui, si sfrutta i propri simili e si esercita, di conseguenza, un'inaccettabile violenza sul prossimo.
L'intervista a Matteo della Torre, direttore de "Il grido dei poveri".
Pubblicata sul n. 17 del 25 febbraio 2007 della newsletter della comunità
1) In Italia o all'estero ci sono ancora preti operai? Quale è stato e/o quale è il senso della loro presenza - a suo avviso - nella chiesa cattolica romana e nel mondo del lavoro?
Nell'Italia dei primi anni '70, i sacerdoti che fecero la scelta profetica del lavoro manuale nel mondo operaio erano circa trecento. Sotto l'impulso del Concilio Vaticano II, essi decisero di condividere la condizione operaia e mettere in discussione la ministerialità sacerdotale, sempre più imbalsamata nella pastorale intra moenia ed estranea alle istanze provenienti dal mondo dei diseredati. La loro esperienza rivoluzionaria è stata una delle molteplici espressioni della cosiddetta Chiesa di frontiera. Ne cito solo alcuni: Bruno Borghi, Carlo Carlevaris, Luisito Bianchi, Gianni Fornero, Giuseppe Stroppiglia, Aldo Bardini, Gino Chiesa... Oggi, in Italia, i preti operai sono un centinaio.
I preti operai suscitano, nella Chiesa dei sacerdoti con il sostentamento assicurato, una domanda inquietante che mi permetto di prendere in prestito da Gandhi: "Possono gli uomini guadagnarsi il pane con il lavoro intellettuale? No. A bisogni del corpo deve pensare il corpo. Il mero lavoro mentale, cioè intellettuale riguarda l'anima ed è compenso a se stesso. Non dovrebbe mai pretendere di essere retribuito. Nello stato ideale, dottori, avvocati e simili lavoreranno solo a beneficio della società, non per se stessi".
Alla luce della nonviolenza gandhiana, possiamo affermare che nessuno può ritenersi esentato dal lavoro delle mani, né il professore, né l'insegnante, né il notaio, né l'avvocato, e neppure il sacerdote, come chiunque altro svolga un'attività intellettuale, a meno che non voglia rinunciare a tutto ciò che per prodursi comporta fatica. Questa, a mio avviso, è la più grande provocazione dei sacerdoti operai. Tutti devono guadagnarsi il cibo che mangiano con il lavoro delle proprie mani, lo prescrive Dio nella Bibbia costituendo l'uomo coltivatore e custode della creazione: "Con il sudore del tuo volto mangerai il pane" (Gn 3, 19). Il lavoro delle mani è quindi sacro, perché con il suo esercizio l'uomo obbedisce alla volontà di Dio, al suo primo ed essenziale comandamento che gli prescrive il dovere di procacciarsi onestamente il pane, senza far gravare su altri questo compito. Chi accumula ricchezze senza lavorare, e così facendo parassitizza il suo prossimo, commette una gravissima ingiustizia ("Chi non vuol lavorare, neppure mangi" - 2 Tessalonicesi 3, 10).
Il lavoro per il pane, quindi, è la prima forma di nonviolenza, un atto d'amore per il prossimo, che comporta, perciò, la rinuncia allo sfruttamento della fatica altrui per il soddisfacimento dei propri bisogni fondamentali.
L'uomo astuto, nel corso della storia, in dileggio del volere di Dio, ha raggirato questo precetto industriandosi al meglio per far lavorare i propri simili al suo posto. Non c'è uomo al mondo che non nutra in sé l'aspirazione di emanciparsi dalla fatica fisica. Il rifiuto del lavoro fisico per il pane è alla radice di ogni sfruttamento ed ingiustizia ed è la chiave interpretativa con cui leggere il dramma della violenza strutturale che opprime le società che si sono strutturate in classi a motivo dell'iniqua ripartizione del lavoro tra fasce sociali agiate, "dispensate" dal lavoro manuale e classi subordinate, sfruttate e costrette ad un lavoro svalutato e degradato. Il lavoro delle mani diventa così la forza rivoluzionaria e il mezzo attraverso cui minare alle radici la divisione del lavoro, causa di innumerevoli ingiustizie. "Lo sfruttamento - scrive Giuliano Pontara - comincia là dove vi sono uomini che mangiano il pane che altri hanno prodotto, senza fornire un corrispettivo lavoro. E, si badi, per lavoro si intende qui lavoro manuale, fatica fisica, sudore".
Il lavoro manuale, oltre ad essere, come diceva Lanza del Vasto, "il tirocinio della probità", è un'esigenza profonda della nonviolenza, perché se non si instaura "una certa uguaglianza tra quel che si prende e quel che si rende" si dipende dal lavoro altrui, si sfrutta i propri simili e si esercita, di conseguenza, un'inaccettabile violenza sul prossimo.
Pagina 1 di 4