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La Nonviolenza oggi in Italia. Paolo Arena e Marco Graziotti intervistano Gino Buratti

Pubblichiamo, come approfondimento alla nonviolenza, questa intervista, a Buratti Gino, che cura il sito e il notiziario dell’Accademia Apuana della Pace (www.aadp.it), realizzata da Paolo Arena e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Questo ciclo di interviste verrà utilizzato nei momenti formativi realizzati dall’Associazione.



- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

- Gino Buratti: L'esperienza in alcuni gruppi di base e i momenti di formazione alla Cittadella di Assisi mi hanno avvicinato ai movimenti per la pace. La scelta dell'obiezione di coscienza al servizio militare maturata alla fine degli anni '70, con la conseguente frequentazione della Lega obiettori di coscienza, mi ha spinto in seguito ad approfondire le tematiche della nonviolenza, partendo dall'idea di un modello di società fondato sugli ultimi e costruito in una logica altra. Importante è stata l'esperienza della Rete di Lilliput nella mia città.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali personalità della nonviolenza hanno contato di più per lei, e perché?

- Gino Buratti: Sicuramente in gioventù padre Ernesto Balducci, l'esperienza di don Milani ed in generale l'aria che si respirava in quegli anni  in certi ambienti hanno rappresentato un elemento importante per approfondire certe tematiche. Grazie a loro ho iniziato a leggere i testi di Capitini, a conoscere qualcosa sull'esperienza di Danilo Dolci, delle lotte di Martin Luther King e di Mandela. Un procedere per gradi... un lasciarsi accompagnare dalle riflessioni e dalle esperienze altrui... un bisogno di dare un senso concreto ed una prospettiva ad una cultura altra rispetto a quella dominante e retta sulla logica della forza e della violenza, un abituarsi lentamente ad abitare i sentieri del dubbio e della ricerca continua, che sono elementi fondanti della nonviolenza.


 - Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

- Gino Buratti: Sicuramente credo che sia quantomai importante ed attuale riprendere in mano don Milani. Lettera ad una professoressa, L'obbedienza non è più una virtù, indicano molto, secondo me, di un approccio culturale e di lotta nonviolento. Poi i classici della nonviolenza: Difendersi senza aggredire di Pat Patfoort, i testi di Gandhi, le riflessioni di Martin Luther King. Forse dovremmo riprendere a rileggere e riattualizzare anche il pensiero della Arendt.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più impegno?

- Gino Buratti: Il tema è estremamente vasto, perché impone al movimento nonviolento la capacità di presentarsi come strada altra rispetto a quella dominante. In questo senso la sfida nonviolenta si esplica concretamente in tutte le situazioni di conflitto sociale, economico, politico. Andare oltre le forme di cooperazione internazionale, misurandosi nella capacità di sperimentare strade diverse per la gestione dei conflitti, corpi civili di pace nelle zone di conflitto, come forza di interposizione che sia di dialogo e di superamento. Una sfida alta, che impone tuttavia una scelta precisa non solo del movimento, ma anche degli stati... destinare risorse alla formazione, alla ricerca e allo sviluppo di realtà organizzate, non militari, capaci di intervenire in zone di conflitto. In Italia sicuramente il movimento nonviolento è chiamato a mettere in campo politiche altre rispetto alla cultura del rifiuto dell'altro che sta ormai dilagando. Ma questo ci chiede di essere portatori di politiche culturali, sociali, economiche diverse, ma concrete, misurabili, sperimentabili. Così come stare dentro i conflitti sociali che nascono dalle diversità, non semplicemente etichettando questo o quell'atteggiamento, ma mettendo in essere azioni, permanenti, di gestione dei conflitti e di costruzione di un sistema sociale, nelle nostre città, capace di accogliere, di far sentire ciascuno a casa sua.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: In quali campi ritiene più' necessario ed urgente un impegno nonviolento?

- Gino Buratti: Come già detto prima, la costituzione di corpi civili di pace, costringendo i governi a investire risorse nella ricerca di interventi nonviolenti nelle situazioni di conflitto. Prima di sostenere che una strada non è praticabile, ritengo che debba essere quantomeno verificata e sperimentata la sua fattibilità. La capacità di affrontare le situazioni di conflitto nel sistema globale della violenza richiede preparazione, risorse, misurabilità nei tempi lunghi. Non può essere improvvisata, non può essere semplicemente lasciata ad un'organizzazione spontanea. Ai gruppi, alle associazioni, ai movimenti io credo compete il compito alto di far vivere una cultura in cui la nonviolenza venga alimentata (forme di democrazia reali e non formali, il partire dai deboli e dagli ultimi, l'ambiente...), nella consapevolezza che la nonviolenza non è una strada da percorrere che ha un suo inizio ed una sua fine, bensì un sentiero da percorrere che si dipana sempre, che deve essere in continuazione rivisitato e rivitalizzato. Introdurre nella politica la necessità di sperimentare forme altre di gestione dei conflitti, impone anche di individuare le risorse e affrontare il tema cruciale della riduzione delle spese militari e del commercio delle armi.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?

- Gino Buratti: Tutte le esperienze legate all'altra economia, all'economia equosolidale, ai gruppi di acquisto solidale, all'economia etica, per fare in modo, come dice Francuccio Gesualdi, di uscire dall'essere nicchia, e diventare pezzo importante della società, capace di "contagiare" e di non essere autoreferenziale, andando ad incidere nei nodi che spesso generano le situazioni di oppressione e di conflitto. Ci sono, inoltre, tutte le esperienze di solidarietà internazionale, di quelle associazioni che hanno posto accanto alla cooperazione anche la scelta della pace e della nonviolenza (penso ad Emergency, Amnesty International), ma anche alle tante esperienze locali, che potrebbero avere un significato importante nel costruire una cultura nella quale si sta dentro al conflitto non per soffocarlo o negarlo, ma per farlo diventare forza ed energia di cambiamento. Inoltre abitare tutte quelle esperienze specifiche di movimenti legati alla nonviolenza, tra cui Il Centro Gandhi di Pisa, Il Centro di ricerca per la pace di Viterbo, il Centro studi Sereno Regis, Il Centro psicopedagogico per la pace... nonché le numerose esperienze di corsi di laurea di Educazione alla pace che, con l'attuale riforma universitaria, sono i primi ad essere soppressi... non a caso.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?

- Gino Buratti: Questa è una risposta che rischia di diventare alla fine uno slogan, ed io credo che la pratica della nonviolenza è proprio l'opposto di quella cultura dello slogan che spesso ha contagiato i nostri movimenti.

In prima battuta direi che la nonviolenza è la scelta di riaffermare una cultura che abbiamo smarrito in questi secoli e che anche in natura è ben presente: la cooperazione rispetto alla competizione selvaggia. Si può costruire una cultura di cooperazione solo se si adottano forme e strumenti di lotta che non schiaccino, ma che, in qualche modo, aiutino a far camminare il mio Io insieme all'Alter che mi sta accanto. Percorso sicuramente non facile, ma che, facendo un bilancio dei risultati ottenuti dalla logica militare anche solo in questi ultimi quarant'anni, direi inevitabile... quanto meno da sperimentare.

La nonviolenza come ricerca di costruzione di un modello sociale, economico, culturale, del sistema delle relazioni personali, sociali e internazionali partendo da azioni, sempre reversibili, che non schiaccino l'altro, che non neghino la sua dignità e la sua esistenza.

La nonviolenza come capacità vera di ascolto, quell'esperienza che è in grado di modificare me e l'altro, in un interscambio reciproco, stabilendo i presupposti per una relazione autentica, sia a livello personale che collettivo.

La nonviolenza come elemento essenziale per forme di democrazia alta e non formali, capaci di crescere partendo proprio dai conflitti. Proprio perché la nonviolenza alimenta e si alimenta della democrazia e della partecipazione reale delle masse. La forza della nonviolenza sta proprio nel costruire sistemi democratici sempre più avanzati, e mai dati una volta per tutte, nei quali l'elemento sostanziale è la partecipazione e la capacità di controllo dal basso. Credo che questo ultimo aspetto, ripensando le attuali forme dell'agire politico in Italia ed il livello a cui sono ridotte le forme della democrazia reali, sia un elemento decisamente non secondario.

La nonviolenza come percorso per costruire sistemi sociali aperti, l'opposto di quelli chiusi e fortificati che la politica attuale sta realizzando.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?

- Gino Buratti: Il femminismo, in quanto movimento e collettivo, è una esperienza fondamentale di nonviolenza (in maniera più o meno consapevole). La capacità di capovolgere la lettura dei conflitti di genere e delle modalità per affrontarli, è una evidente azione nonviolenta. La capacità di partire da se stesse, senza perdere di vista la dimensione collettiva e una visione delle relazioni dentro la società... aspetto questo che dovrebbe contagiare la cultura maschile che governa la società. Sono solo alcuni degli elementi importanti dell'agire del movimento delle donne, che segnano una profonda differenza rispetto all'esperienza di noi uomini, spesso incapaci di mettere in discussione noi stessi e il sistema delle relazioni (personali, economiche, sociali, culturali, di potere) che abbiamo costruito. Stare dentro al conflitto di genere come la storia del movimento femminista ha fatto, significa sperimentare forme di agire politico nonviolento.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?

- Gino Buratti: È evidente che se la nonviolenza significa costruire un sistema di relazione “altro”, nel quale ciascuno si senta rispettato, ciò ha una ricaduta importante anche nel costruire la nostra relazione con l'ambiente, fondata quindi sul considerare questo non una semplice realtà da sfruttare a nostro piacimento, ma una ricchezza entro la quale l'intero pianeta deve sentirsi a casa. Ecologia significa quindi redistribuzione delle risorse, delle energie, ridefinizione dei modelli di vita, in una logica di rispetto del creato. Se quindi esiste un conflitto evidente con l'ambiente, che diventa poi conflitto con parte della popolazione del pianeta (i tre quarti della quale sono lasciati alla povertà a causa dello sfruttamento delle risorse messo in atto dal quarto rimanente), è evidente che la nonviolenza entra con forza dentro tutto ciò, a meno che non si voglia continuare a gestire il rapporto con l'ambiente in maniera violenta, con la legge del dominatore.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?

- Gino Buratti: Il rifiuto e la paura dell'altro, che ci porta a negare agli altri i diritti fondamentali, a riconoscerli come persone. Situazione resa pericolosa e drammatica nel momento in cui la politica, rinunciando al ruolo di governare i conflitti, diventa l'amplificazione di questa paura. Per i movimenti nonviolenti questa è la sfida vera, che non comporta di negare il disagio, ma di lavorarci, di offrire soluzione in avanti. Ad esempio dinanzi alla percezione di insicurezza, il punto non è etichettarla, ma interpretarla e mettere in atto  politiche sociali e culturali che permettano la gestione dei conflitti, che favoriscano un sistema di relazioni positive, non concentrate sulla paura dell'altro (peraltro reciproca). Penso ai centri di gestione dei conflitti nelle periferie, a politiche che facciano sì che le comunità dei migranti, insieme agli italiani, si sentano parte di un territorio, lo sentano loro, lo animino... Tutto ciò solo una politica animata dalla nonviolenza può mettere in atto, evitando di scegliere strade che riducono i nostri territori a fortini assediati e militarizzati.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?

- Gino Buratti: Quanto detto prima vale anche nel caso della mafia e della lotto contro questa realtà. Esiste un conflitto, che non è riconducibile soltanto all'ordine pubblico, che richiama la legalità, l'appartenenza ad un territorio, la partecipazione, la democrazia. Questo conflitto può essere gestito semplicemente in un'ottica di repressione, senza andare ad intaccare le situazioni sociali, economiche e culturali che favoriscono ciò.  Oppure può essere affrontato, da un lato reprimendo la criminalità, in una gestione altra dell'idea di ordine pubblico (esperienza che proprio docenti dell'Università di Palermo hanno sperimentando con percorsi di formazione rivolti agli operatori delle forze dell'ordine), dall'altro adottando forme di di azione nonviolenta che vada ad incidere nelle contraddizioni di quel territorio. Credo che l'esperienza di Danilo Dolci possa davvero indicare strade da percorrere nelle regioni del sud ed in quelle del nord nelle quali le mafie reinvestono i capitali.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?

- Gino Buratti: La disuguaglianza sociale, economica, di reddito, lo sfruttamento, il processo di erosione di tutti i diritti conquistati dal mondo del lavoro (Pomigliano insegna) e dalla società civile sono la conseguenza di una economia, di un sistema del lavoro e di una imprenditoria essenzialmente violenta, che non guarda l'esigenza collettiva (non a caso questo governo vuole abolire o modificare l'articolo 41 della Costituzione che subordina la libertà di impresa all'interesse sociale, alla dignità della persona, alla salvaguardia della sicurezza, della libertà e della dignità umana). La nonviolenza non può essere semplicemente un'aspirazione etica, impone di confrontarsi sul terreno dell'economia e del lavoro, mettendo in campo un'idea altra di sviluppo e forme di lotta nonviolente che il movimento operaio, più o meno consapevolmente, ha sempre messo in atto. Il ragionare su un'economia solidale, in qualche modo introducendo elementi di “eticità” dentro l'economia, diventa, in qualche modo, una sfida nonviolenta, perché capovolge il ruolo stesso dell'economia, come motore a servizio della crescita delle donne e degli uomini, nella loro totalità, e non solo di alcuni.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi?

- Gino Buratti: La nonviolenza non può non misurarsi sulle lotte di liberazione dei popoli, senza nessun assunto assolutista, consapevole che veramente ogni realtà è a sè, con la capacità di leggere le contraddizioni e i conflitti, ma in uno sforzo di costruire relazioni che non portino a schiacciare la dignità di una parte o dell'altra. La situazione dei palestinesi, vittime di politiche di apartheid da parte di Israele, è una situazione emblematica, nella quale è ben evidente come la lotta militare contro Israele non porti da nessuna parte, se non ad un ulteriore imbarbarimento della situazione. Quella è una situazione che richiede una capacità di azioni nonviolente non solo in Palestina e Israele, ma in tutti i paesi. Azioni coordinate, esercitate nel tempo, che determinino una pressione internazionale ed un isolamento di quel governo, che sicuramente non è espressione della cultura ebraica.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo?

- Gino Buratti: L'impegno per la pace non passa necessariamente per la nonviolenza, ma sicuramente la nonviolenza è una parte fondamentale, per me essenziale, della lotta per la pace, intendendo per pace quell'insieme di orizzonti e di ambiti cui ho fatto cenno prima. Il rischio del pacifismo è quello di ridursi ad una semplice aspirazione, quando invece la pace necessita di lotte e impegno per essere costruita mattone dopo mattone, senza sosta. In questa ottica la nonviolenza può diventare la scelta dirompente dei movimenti per la pace, proprio per evitare l'inevitabile “violenza chiama violenza”. La lotta di liberazione in Sud Africa può insegnare tanto: il passaggio dalla lotta armata alla lotta nonviolenta ha determinato un salto culturale profondo, che ha permesso di gestire la fase di trasformazione della società in maniera costruttiva. Il processo di riconciliazione non è passato per la negazione delle responsabilità (come ad esempio è successo qui in Italia dopo la liberazione), bensì per l'assunzione delle responsabilità e la riconciliazione. Processo lungo, faticoso, che però ha permesso una transizione che non schiacciasse la dignità delle persone. Il Sud Africa di adesso ci richiama, tuttavia, alla necessità di non considerare mai esaurito un  processo nonviolento, che deve essere una componente dirompente dell'agire politico in tutte le sue forme.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e antimilitarismo e tra nonviolenza e disarmo?

- Gino Buratti: Un legame intrinseco: la cultura e l'agire (politica) nonviolenta sono alternativi alla cultura e all'agire militare, indicano una “strada diversa e alternativa” per costruire un “sistema altro di relazioni”. È chiaro che non è semplicemente l'antimilitarismo ridotto a slogan, quanto la costante ricerca e sperimentazione di percorsi diversi, per gestire i conflitti e per costruire un sistema di relazioni nel quale non vi sia oppressione, del superamento stesso del militarismo. In tale ottica la nonviolenza non può che imboccare la strada del disarmo, proprio perché essa segna un ribaltamento del pensare collettivo e individuale. Rispetto alla cultura del più forte e del dominatore, si afferma una cultura che, stando dentro i conflitti e la diversità, va a ricercare gli elementi di cooperazione e di unità (quelli che apparentemente appaiono poli opposti che causano conflitto, in realtà sono intrinsecamente legati ad un livello che sfugge dinanzi alla semplice percezione del disagio).


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e diritto alla salute e all'assistenza?

- Gino Buratti: Se la nonviolenza è l'ambito nel quale costruire un sistema sociale che parta dalle persone più deboli (per questo non neutrale), è evidente che elemento essenziale sono le politiche sociali e culturali. All'interno delle politiche sociali l'idea di un welfare che accompagni le persone nei momenti di difficoltà è essenziale, proprio perché al centro della politica deve stare la persona, perché la politica deve non abbandonare le donne e gli uomini nel momento in cui vivono una fase di criticità, qualunque sia la loro condizione, la loro religione, la loro provenienza. Anche in questo la nonviolenza diventa elemento dirompente rispetto alla cultura che respiriamo in questi anni.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione?

- Gino Buratti: La disinformazione,  l'informazione pilotata e censurata, l'informazione a servizio del potere sono una delle cause di oppressione. Quello che stiamo vivendo in questi giorni con il ddl sulle intercettazioni è quantomai significativo, ma ancor di più è il messaggio culturale che è passato in questi ultimi decenni, nel quale i grossi canali di informazione, spesso, sono stati paladini del pensiero unico. Pensiamo a quanta disinformazione ci è stata riversata rispetto all'islam, al Medio Oriente, al ruolo giocato dalle multinazionali per opprimere economicamente e culturalmente i popoli. La nonviolenza non può ignorare questo ambito, perché la nonviolenza ha bisogno di persone che abitino il dubbio, il senso critico, nella ricerca non della verità, ma delle verità che albergano in noi e nell'altro.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?

- Gino Buratti: La nonviolenza è trasformazione della vita e dello stile di vita; per questo non può non avere una interconnessione stretta con la riflessione filosofica. La filosofia che diventa frequentazione del dubbio e ricerca delle molteplici verità, diventa essa stessa parte della nonviolenza.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?

- Gino Buratti: Assistiamo al paradosso che da un lato la violenza trova le sue radici anche nella religione (la "guerra giusta", l'affermazione della mia verità assoluta, dei miei simboli, della mia etica...), dall'altro il fatto che la cultura della nonviolenza anch'essa ha le sue radici nella religiosità. Nel mondo cristiano la “Pacem in Terris” ha cercato di affrontare questo paradosso, mettendo al centro una teologia della pace rispetto alla teologia della "guerra giusta", ma, come sempre, non è un'enciclica che segna il cambiamento, ma la pratica continua di dialogo e di dubbio che aiuti a rivitalizzare e rivisitare le scelte fatte, evitando i facili integralismi presenti in ogni religione. La nonviolenza può portare molto alle esperienze religiose, se queste sono capaci di educare alla libertà interiore e al senso critico, senza lacci e laccetti, fatti di dogmi, di verità affermate. La nonviolenza può aiutare a rendere nudo e spogliare di tutto ciò il momento religioso. Certo è che l'esperienza delle religioni rivelate, che si sentono portatrici della “verità assoluta”, crea non pochi problemi a costruire un sistema di relazioni alla pari, nel quale non ci sia chi possiede la Verità e chi invece da essa si discosta. Una religione nuda dovrebbe aiutare a scoprire le tante verità che albergano nelle diverse esperienze religiose e in ciascun essere vivente, perché sono le molteplici verità che albergano nelle donne e negli uomini, nelle loro storie, nelle loro esperienze diverse... Per questo credo che sia importante che l'esperienza religiosa si "contagi" con la pratica e la riflessione nonviolenta: “essere capaci di pregare il dio degli altri, senza rinunciare al proprio”.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'educazione?

- Gino Buratti: I processi educativi sono l'ambito nel quale la nonviolenza ha fornito un grossissimo contributo. I percorsi di educazione all'intercultura, di gestione dei conflitti nella scuola, di valorizzazione della capacità di far esprimere ciascuno, hanno costruito molto in questi anni. Il punto drammatico è che questa esperienza, che va misurata sui tempi lunghi, con i tagli imposti alla scuola viene assurdamente sacrificata sull'altare di una cultura politica che vede nell'altro e nel diverso una minaccia, e non una risorsa.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche deliberative nonviolente ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe?

- Gino Buratti: Vorrei evitare di creare dei miti o dei dogmi. Intanto mi piacerebbe che si usasse il plurale “metodi del consenso”, significando come siamo chiamati a sperimentare i diversi strumenti che possono essere messi in campo per costruire sistemi di relazione e di decisione che tengano conto delle ragioni dell'Altro. Abbiamo bisogno di strumenti, articolati, variegati, che vengano sperimentati di volta in volta, rimodellandoli, evitando di utilizzarli con automatismi assurdi. Nell'Accademia Apuana della Pace (www.aadp.it) abbiamo introdotto nello statuto il metodo del consenso come momento decisionale, arrivando addirittura a darne una codifica in qualche modo... ma non l'abbiamo mai usato... abbiamo utilizzato di volta in volta percorsi e strumenti di ascolto dell'Altro, di assunzione e sintesi delle diverse posizioni, reinventandoli di volta in volta. Abbiamo bisogno sicuramente di metodi e strumenti, ma ancor prima abbiamo bisogno della scelta culturale di voler entrare in sintonia con l'altro, di comprenderne e saper ascoltare le sue verità. Ma è necessario un ascolto vero e profondo. Troppo spesso “tolleriamo” l'altro, lo ascoltiamo semplicemente con le le orecchie, ma non stabiliamo una relazione che trasforma me e lui, non creiamo situazioni di "contagio", di riconoscimento, di accoglienza delle diverse verità. I metodi del consenso aiutano in questo, ma solo se esiste questa volontà vera... che è una scelta destrutturante, che mi obbliga a mettermi in gioco nudo, spogliato delle mie certezze.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche operative della nonviolenza nella gestione e risoluzione dei conflitti quali ritiene più importanti, e perché?

- Gino Buratti: In ogni sistema sociale coesistono spinte aggressive con spinte cooperative, il pensare che semplicemente l'eliminazione delle spinte aggressive determini un sistema sociale pacificato è fuorviante. Ne deriverebbe un sistema piatto e fermo, incapace di crescere e modificarsi, incapace di recepire spinte innovative e creative. La violenza non può essere eliminata, ma può essere ridotta, governata e trasformata. Nei sistemi sociali, così come nella natura stessa dell'uomo, coesistono sistemi ambivalenti, che sono necessari per la crescita e la trasformazione: il rapporto con il mio Io e il rapporto con l'Altro. Non possiamo essere “noi stessi” senza l'Altro, così come possiamo guardare l'Altro solo se siamo capaci di guardare noi stessi. Coesistono cioè bisogni conflittuali che puntano da un lato all'affermazione di me stesso, dall'altro al riconoscimento dell'Altro. Ma questa conflittualità non è patologica, bensì strutturale e fondamentale per la trasformazione. Questa ambivalenza diventa processo permanente di sintesi tra la vita individuale e quella sociale. La nonviolenza e la gestione dei conflitti si inserisce in questo processo di sintesi, nel quale si cerca di trasformare l'aggressività distruttiva in aggressività costruttiva, vitale nel processo di cammino in avanti. Sono processi che hanno bisogno di percorsi, di allenamento... ma soprattutto di volontà a liberare le energie latenti nel sistema sociale e nella persona. Un sistema sociale governato solo dalla violenza distruttiva è un sistema sociale che si chiude in sè, si arrocca... diventa un fortino fortificato, fermo, immobile, fonte inesauribile di violenza. Un sistema sociale nel quale non vi sia un'aggressività costruttiva è destinato ad appiattirsi, rimanere immobile, fermo... autodistruggendosi. La gestione dei conflitti e la nonviolenza si inseriscono in queste dinamiche... La gestione del conflitto e la nonviolenza servono a costruire ponti, rapporti di fiducia, a riconoscere l'altro, saperlo ascoltare.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe la formazione alla nonviolenza?

- Gino Buratti: La formazione diventa uno degli elementi essenziali alla nonviolenza. Ma non è solo formazione tecnica (all'ascolto, alle gestione dei conflitti, all'interposizione, alle operazioni di peacekeeping), ma qualcosa che sia elemento di trasformazione. Osservo, ad esempio, come stia diventando una forte esigenza la realizzazione di processi di formazione alla comunicazione. Se ne fanno un pò ovunque, anche sui luoghi di lavoro. Spesso tuttavia si riducono semplicemente a riproposizioni di tecniche, che non vanno a modificare il profondo, il mio modo di relazionarmi con l'altro, la mia capacità di riconoscere l'altro, di dargli significato, di fare in modo che la relazione stabilita sia un elemento di trasformazione e modificazione. Cambio la modalità della comunicazione, non il fine per cui comunico, che, spesso, rimane oppressivo. Ho conosciuto docenti di comunicazione che fornivano tecniche, ma che, al lato pratico, erano essi stessi incapaci di comunicare, di ascoltare, di modificarsi nella relazione con l'altro. Non abbiamo bisogno di questa formazione nè di questi “esperti”, abbiamo necessità di formarci per trasformarci ed essere soggetti del cambiamento. C'è bisogno di formazione in questo senso, così come c'è bisogno di formazione alla partecipazione, ma che non sia semplice acquisizione dei vari strumenti partecipativi, ma diventi qualcosa che investe la dimensione culturale e politica.

Nella mia città, Massa, grazie all'impegno del professor Alessandro Volpi, assessore al bilancio partecipato del Comune di Massa, e di diverse associazioni, stiamo sperimentando da due anni l'esperienza di bilancio partecipato. Svolgendo talvolta compiti di facilitatore mi accorgo di come, oltre agli strumenti partecipativi, c'è un forte bisogno formativo per comprendere i ruoli, le tappe dei processi partecipativi, leggere il territorio anche con gli occhi dell'altro, non voler mettere la bandierina mia o della mia associazione su un progetto, la capacità di modificare la mia idea, il mio sentire in relazione con l'altro sono esperienze che fatichiamo a vivere, ma sono quelle che danno senso e significato al processo partecipativo, che lo sottraggono al rischio di essere solo un momento formale, e non un elemento della trasformazione.

Certo il punto è che la formazione dovrebbe investire anche la politica... che continua ad essere autoreferenziale e senza un briciolo di umiltà nella percezione dei propri limiti.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe l'addestramento all'azione nonviolenta?

- Gino Buratti: Addestramento e formazione devono andare di pari passo... ma è importante anche riuscire a sperimentare le forme di azione nonviolenta, almeno su alcuni aspetti particolari. Per fare questo però è necessaria davvero sia la rete dei movimenti nonviolenti, sia anche una politica che investa risorse nella preparazioni di corpi civili di pace. Corpi civili di pace che non necessariamente hanno funzioni esterne, ma che possono davvero svolgere la loro azione anche nei conflitti interni: corpi di gestione dei conflitti.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che più adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?

- Gino Buratti: I tanti siti, le numerose newsletter (Centro Sereno Regis, Centro psicopedagogico per la pace, "Il dialogo", Peacelink, "Peacereporter"...) sono elementi essenziali, così come i "Quaderni Satyagraha" e altro ancora. Il punto è mettere insieme questo sapere nonviolento, cominciare a far sì che non sia relegato semplicemente agli esperti, ma che diventi elemento di crescita collettiva e della politica.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno sovente un'impressione di marginalità, ininfluenza, inadeguatezza; è così? E perché accade? E come potrebbero migliorare la qualità, la percezione e l'efficacia della loro azione?

- Gino Buratti: Sicuramente vi sono esperienze importanti dei movimenti nonviolenti, che svolgono un ruolo di ricerca, approfondimento e formazione indispensabile e veramente complesso. Tuttavia è evidente come, per molteplici motivi, la cultura nonviolenta sia in una posizione di nicchia, incapace di "contagiare" la società e la politica, se non parzialmente. Le cause sono molteplici, indipendenti spesso dai movimenti stessi, che si interconnettono anche al sistema sociale e mediatico che viviamo, tuttavia ho alcune perplessità che mi sembra utile proporre: la percezione che ciascun istituto di ricerca, ciascun movimento, in qualche modo sia geloso del proprio operato, della propria bandierina, e non si riesca a fare sistema, rete, facendo passi indietro, valorizzando il lavoro altrui, consapevoli dei limiti propri e delle risorse altrui. In tale senso non si fa fronte unito, ma si mettono in campo una pluralità di esperienze importanti, che però rischiano di diluirsi, di perdere la capacità di trasformazione del sistema sociale. È necessario un maggior coordinamento, ma anche la consapevolezza dei propri limiti e la disponibilità a valorizzare le risorse altrui. Riuscire in questo significa anche incidere sui livelli di comunicazione. Ma non un comunicazione astratta, bensì la capacità di mettere in campo progetti e azioni nonviolente di trasformazione, che partano dai conflitti esistenti nel territorio: la crisi economica, quelle occupazionale, il rifiuto dell'altro e la percezione di insicurezza. Dobbiamo essere capaci di comunicare un percorso altro rispetto a quello della cultura dominante, ma per farlo dobbiamo mettere insieme saperi, esperienze, conoscenze... e consapevolezza. Solo così riusciremo ad uscire dalla nicchia nella quale la nonviolenza è vista come un ideale bello, ma non sperimentabile.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cultura: quali rapporti?

- Gino Buratti: Esistono una cultura culture della violenza e del rifiuto dell'altro, ed esistono culture della nonviolenza, dell'accoglienza dell'altro, del suo riconoscimento. La nonviolenza è anche modello culturale, che si declina nella politica, nell'economia, nell'organizzazione dei rapporti internazionali, nelle politiche sociali, nell'istruzione.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e forze politiche: quali rapporti?

- Gino Buratti: Uno dei punti critici e centrali è proprio il rapporto con le forze politiche e sociali. La nonviolenza diventa elemento di trasformazione del sistema sociale solo se si interseca con l'agire politico. In tal senso il rapporto con le forza politiche, la capacità di "contagio", il far diventare propri nel profondo i valori della nonviolenza, sono una sfida reale. Ma per fare questo è necessarià la consapevolezza della scelta da parte della politica, la consapevolezza che l'introduzione della nonviolenza nel proprio vissuto trasforma e modifica l'agire politico nel suo totale, chiedendo ad esso coerenza e scelte di campo precise. Non basta introdurre nello statuto la scelta della nonviolenza, fare convegni e seminari, magari andare in pellegrinaggio a Barbiana (come troppi politici fanno), quando poi l'agire politico, le dinamiche, la gestione dei rapporti di forza sono sempre incentrati in una visione violenta e militare e quando non vi è coerenza tra le politiche realizzate e la dichiarazione di nonviolenza. Ancora una volta abbiamo una politica che relega la nonviolenza a icona ideale, invece di accoglierla come vissuto e pratica quotidiana. Abbiamo troppi esempi in questo senso di leader che si richiamano a Martin Luther King, a don Milani, a Capitini, ma poi mettono in campo politiche del rifiuto dell'altro (più "popolari"), di confronto politico violento, di incapacità a governare l'economia e le dinamiche sociali partendo dal punto di vista degli ultimi. La politica che sceglie la nonviolenza deve essere conseguente, deve essere capace di quella coerenza, di quella consapevolezza del limite e di quelle scelte di campo che la nonviolenza richiede. Al tempo stesso, se ciò non accade, manca un elemento essenziale nell'agire politico. Io non sono tanto convinto di quell'idea che serpeggiava del “partito dei movimenti nonviolenti”. È sicuramente un'opzione, ma non mi convince, perché, in qualche modo elude il problema di come costringere i partiti classici a misurarsi sull'orizzonte della coerenza e dei valori. La sfida a cui siamo chiamati non è costruirci nostri contesti protetti, ma operare nei luoghi del conflitto e della contraddizione.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e organizzazioni sindacali: quali rapporti?

- Gino Buratti: Il conflitto nell'economia e nel mondo del lavoro sono un aspetto che deve essere affrontato nella logica della nonviolenza. Il mondo del lavoro e le sue organizzazioni da sempre hanno adottato forme di lotta nonviolente, quali lo sciopero e il boicottaggio (anche se un certo proporre la nonviolenza in maniera aulica e astratta vorrebbe rifiutare forme di lotta dura e incisiva, ma che non determinano situazioni irreversibili quali la violenza pura). Pertanto è importante il rapporto con le organizzazioni dei lavoratori, ma forse è altrettanto importante che queste, come le forze politiche, assumano la lotta nonviolenta come proprio patrimonio genetico, facendola diventare l'elemento con il quale si costruisce un sistema di relazioni e di rapporti altro.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e intercultura: quale relazione?

- Gino Buratti: È già stato più volte sottolineato. Se nonviolenza è costruire un modello di agire in cui l'altro abbia significato e sia significante, la sfida di una società multiculturale, in cui vivono insieme, crescono, "si contagiano" “altri” di provenienze diverse è fondamentale. È questo il terreno di sfida più importante in Italia, perché significa davvero mettere in campo idee, progetti, sentieri che costruiscano una cultura altra rispetto a quella dominante del rifiuto. Una cultura di apertura e non di chiusura. Una politica di crescita e non di arretramento e fortificazione.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e linguaggio (ed anche: nonviolenza e semiotica): quale relazione?

- Gino Buratti: Ridefinire le forme del linguaggio in un'ottica nonviolenta significa ripensare ai modelli di comunicazione che respiriamo nella politica, nell'informazione... che sono tutti centrati alla sopraffazione dell'altro, e non alla sua valorizzazione. Pensiamo solo alle modalità comunicative dei talk show in televisione, e ci rendiamo conto che lì non è importante lo sviluppare un ragionamento, ascoltando l'altro, ma è importante affermare se stessi, perché è solo l'"io" che esiste e non l'"altro" che deve essere schiacciato.


- Paolo Arena e Marco Graziotti: Potrebbe presentare la sua stessa persona (dati biografici, esperienze significative, opere e scritti...)a un lettore che non la conoscesse affatto?

- Gino Buratti: Non mi piace autopresentarmi, riporto quanto scritto dall'editore in una mia pubblicazione, con alcune integrazioni: "Gino Buratti, nato a Massa il 27 gennaio 1957, responsabile dell'Ufficio di statistica della Prefettura di Massa Carrara, da sempre in prima linea nell'ambito dell'impegno per la solidarietà, la cittadinanza attiva e la nonviolenza. È stato obiettore di coscienza, membro e fondatore dell'Associazione volontari ascolto e accoglienza, di cui segue il centro di ascolto e la casa di accoglienza per persone senza fissa dimora. Autore del libro Volontà e resistenza: venti anni di volontariato, edito da Transeuropa, nel quale rileggendo la storia dell'Associazione Avaa, sviluppa anche una riflessione sulle potenzialità e le criticità del volontariato come soggetto della trasformazione. Ha partecipato alla nascita dell'Accademia apuana della pace, di cui segue, insieme ad un gruppo di redazione, il sito (www.aadp.it) e il notiziario settimanale, che viene inviato per posta elettronica da cinque anni.

Fonte: Centro Ricerca per la Pace di Viterbo