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Non uccidere (Norberto Bobbio)

Tratto da "La nonviolenza è in cammino" - n. 1179 di mercoledì 18 gennaio 2006, il testo seguente è quello del discorso pronunciato a conclusione del dibattito sull'omonimo film di Claude Autant-Lara (Torino, 4 dicembre 1961), pubblicato in "Resistenza", XV, n. 12, dicembre 1961, p. 4; successivamente ristampato in Norberto Bobbio, Il terzo assente, Edizioni Sonda, Milano-Torino 1989, pp. 139-142.
Una riflessione sulla guerra partendo dall'obiezione di coscienza.
Mi propongo di chiarire il significato storico e il significato attuale dell'obiezione di coscienza. Parto dalla definizione più generale: l'obiettore di coscienza è colui che rifiuta incondizionatamente la guerra.
Si badi: incondizionatamente, cioè senza condizioni. In altre parole: è colui che non accetta nessuno dei tentativi che sono stati fatti per giustificare la guerra.
Si dirà: nulla di nuovo. Tutti condannano la guerra. La condannano, ma la fanno. E poi, è vero che tutti condannano la guerra? Siamo proprio sicuri di essere tutti d'accordo che la guerra è cosa da condannarsi incondizionatamente? Guardiamo la storia, la storia della nostra civiltà cristiana, illuministica, umanitaria. Abbiamo sempre giustificato la guerra. Moralisti, filosofi, teologi sono andati a gara a escogitare teorie per giustificare la guerra. E la guerra, sinora, c'è sempre stata. Noi l'abbiamo giustificata proprio perché c'è sempre stata. E, del resto, come è possibile resistere alla tentazione di dare una giustificazione di quello che è un elemento costitutivo, essenziale, della nostra storia? Poiché parte della storia è storia di guerre, se noi non riuscissimo a giustificare la guerra, la storia ci apparirebbe o come un immenso errore o come una assurda follia. Per non dover credere che la storia umana sia una storia sbagliata o assurda, filosofi, moralisti e teologi hanno dovuto giustificare la guerra.
È stata giustificata in tanti modi. Ne indico quattro.
Anzitutto con la distinzione, accolta per alcuni secoli dalla teoria del diritto internazione, tra guerre giuste e ingiuste. Si dice: non tutte le guerre sono uguali; vi è guerra e guerra. Alcune guerre sono un male, altre non lo sono. Sono un male, per esempio, soltanto le guerre di conquista, non le guerre di difesa.
Seconda giustificazione: la guerra è un male minore. Tutte le guerre sono un male, ma vi possono essere malanni peggiori della guerra, la perdita della libertà, dell'onore nazionale, della fede avita. Qui siamo di fronte a un conflitto di valori. La guerra rappresenta solo la negazione di un valore, quello della pace. Ma la pace è il valore supremo? Non vi sono altri valori più alti della pace? La libertà, la giustizia, l'onore, la religione?
Terza giustificazione: la guerra è un male (non si dice se maggiore o minore, e non si fa più un confronto con qualche altro valore) ed è un male necessario. Necessario perché senza guerra non c'è progresso, non c'è sviluppo storico. La storia procede per affermazioni e negazioni: se non ci fosse la negazione, non ci sarebbe neppure l'affermazione. È la concezione dialettica della storia, oppure la concezione della guerra come molla del progresso. Il pacifista Kant aveva fatto l'elogio dell'antagonismo e della guerra. Chi volesse raccogliere un bel florilegio di elogi della guerra come momento necessario dello sviluppo storico, non avrebbe che l'imbarazzo della scelta.
Quarta giustificazione: la guerra non è nè un bene nè un male. È un fatto. Essendo un fatto, è quello che è. Non si discute: lo si accetta. Fa parte del nostro destino o se volete, del disegno della provvidenza. Anche Croce si inchinava alla tremenda maestà della guerra, e l'immanentista Gentile la chiamava "dramma divino". Se la guerra è inevitabile, non possiamo far nulla contro di essa. Magari non provocarla, ma quando scoppia per ragioni imprevedibili e insondabili, bisogna fare il proprio dovere.
Riflettiamo su questa frase: fare il proprio dovere. Fare il proprio dovere significa in questo contesto accettare il proprio destino, accettare la condanna di essere uomini.
Ho voluto soffermarmi brevemente sulle principali ideologie della guerra, perché solo così entriamo nel vivo del problema agitato dagli obiettori di coscienza. In termini generali, si può dire che l'obiettore di coscienza è colui che non accetta in principio nessuna di queste, e di altre possibili giustificazioni. L'obiettore di coscienza è colui che, affermando che la guerra è violenza e che la violenza è un male assoluto, conclude che la guerra è un male assoluto.
Primo: per l'obiettore non vi sono guerre giuste e ingiuste. E la guerra di difesa? Anche la guerra di difesa è violenza. E poi chi ha il diritto di distinguere la guerra di offesa da quella di difesa? Esiste nella storia dei rapporti tra gli stati l'innocente? Chi è stato il primo colpevole? Chi sarà l'ultimo innocente? O non è forse vero che la ferrea catena di guerre, in cui consiste la nostra storia, ci rende impossibile risalire alla prima radice del male? E allora non bisogna spezzare questa catena? Ma per spezzarla occorre pure che qualcuno cominci. L'obiettore di coscienza è colui che dice: comincio io, e accada quel che deve accadere.
Secondo: la guerra non è un male minore; è puramente e semplicemente un male. Non bisogna fare il male, ecco tutto. E poi non è il male minore, perché tutti i mali si generano dalla violenza. E non vi è bene che possa essere barattato con la perdita della pace, perché la pace è la condizione stessa del fiorire di tutti gli altri valori.

Terzo: la guerra non è un male necessario. Può ben darsi che, dopo la guerra, la storia umana faccia un passo innanzi. Ma quanti ne ha fatti indietro per causa della guerra? Tanto orrenda è la situazione di guerra, che, tornata la pace, ci sembra di aver fatto un passo innanzi. Ma come possiamo sapere quale sarebbe stato il destino dell'uomo se non ci fossero state guerre? Come possiamo saperlo se le guerre ci sono sempre state? Come possiamo paragonare il progresso storico attraverso le guerre col progresso storico attraverso la pace, se sino ad ora l'umanità ha conosciuto soltanto il primo e non anche il secondo di questi due corsi? Quarto: la guerra non è un fatto inevitabile. Dipende da noi, dalle nostre passioni che possiamo reprimere, dai nostri interessi che possiamo conciliare, dai nostri istinti che dobbiamo correggere e frenare. Se abbiamo saputo eliminare le guerre tra individui, tra comuni, perché dovrebbe continuare a sussistere la guerra tra gli stati? Perché, dal semplice fatto che un evento è sempre stato, dobbiamo dedurne che sempre sarà? Dov'è scritto e chi l'ha scritto? Ho voluto riassumere brevemente (e imperfettamente) alcuni eterni motivi dell'obiezione di coscienza, perché oggi ci troviamo di fronte a una situazione nuova, a una vera e propria svolta della storia umana, di fronte alla quale l'obiezione di coscienza, il dir di no alla guerra, assume un significato più attuale, più vasto, più universale. La situazione nuova è quella che è determinata dalla corsa spaventosa verso gli armamenti atomici. La situazione è nuova, perché per la prima volta nella storia la guerra totale può portare all'annientamento della vita sulla terra, cioè della storia stessa dell'uomo. Ci vuole un certo sforzo d'immaginazione per comprendere che questo può accadere: ma questo sforzo dobbiamo farlo.
Di fronte all'evento possibile della distruzione della storia, ogni giustificazione della guerra diventa impossibile. Siamo in una condizione in cui non possiamo più accettare la guerra. Il che significa che siamo diventati, che dobbiamo diventare tutti quanti potenzialmente obiettori di coscienza. L'alternativa è questa: o l'obiezione di coscienza, nel senso di impossibilità morale di accettare la guerra, o la possibile distruzione del genere umano. Se vi paiono un pò troppo apocalittiche queste mie considerazioni, vi invito a ragionarvi su.
Primo: di fronte alla possibile catastrofe atomica non vi sono più guerre giuste o ingiuste; una guerra, qualunque essa sia, che può provocare la scomparsa della vita sulla terra, è ingiusta.
Secondo: è semplicemente stolto considerare la guerra, che può avere una simile conseguenza, come un male minore: non ci sono alternative possibili.
Di fronte alle guerre del passato può avere ancora un senso parlare di alternativa tra la pace e la libertà, tra la pace e la giustizia, tra la pace e l'onore. Ma di fronte alla guerra atomica, quale alternativa potrebbe ancora concepirsi? O la libertà o il suicidio universale? Chi beneficerebbe di questa libertà? Terzo: la guerra non può più essere considerata come un male necessario, come uno strumento di bene. Quale bene, se dopo non c'è più nulla? La guerra atomica non è un mezzo per raggiungere qualche altra cosa, ma un fine, anzi, meglio, è la fine.
Quarto: la guerra non può più essere considerata come un fatto inevitabile, a meno che si accetti come fatto inevitabile (badate, inevitabile), l'autodistruzione dell'uomo.
Forse qualcuno potrebbe considerare che con questa considerazione io sia andato fuori tema. Ma riflettiamo: obiezione di coscienza significa rifiuto di portare armi. Ora quando nel concetto di arma rientra una bomba che, come si legge nei giornali, ha da sola il potere esplosivo di metà di tutte le bombe gettate nell'ultima guerra, mi domando se il portar armi non sia diventato un problema di coscienza non solo per l'obiettore che protesta in nome della sua fede religiosa, ma per ciascuno di noi, in nome dell'umanità. Obiezione di coscienza significa letteralmente quella situazione in cui la nostra coscienza ci vieta col suo imperativo di compiere un'ingiustizia. Se interroghiamo la nostra coscienza, non possiamo più rifiutarci di riconoscere che oggi - questa è dunque la conclusione cui volevo giungere - siamo, almeno in potenza, tutti quanti obiettori.