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Nelle ricostruzioni dei 75 anni del conflitto israelo-palestinese, nessuno, neanche Guterres, ha ricordato il 2018, che invece spiega tutto. È l’anno in cui, il 19 luglio, lo Stato di Israele cambiò natura, e da Stato democratico, come era nel disegno del sionismo, è diventato per legge costituzionale uno “Stato Nazione del popolo ebraico”. Ciò spiega tutto, nel senso che se il principio fondativo che voleva congiungere democrazia ed ebraismo ammetteva l’esistenza dell’ “Altro”, fino a permettere il sogno dei “due popoli in due Stati”, il trapasso allo Stato Nazione del popolo ebreo riservava solo a questo il diritto all’autodeterminazione, cioè i diritti politici, e rendeva incompatibile l’esistenza di un secondo popolo; di qui i 700.000 coloni irradiati in 279 insediamenti oggi presenti nel Territori occupati abitati da 3 milioni di palestinesi. La novità era così riferita in una nostra newsletter del 24 luglio 2018 (“Sionismo senza democrazia?”), che qui vi trascriviamo così come l’abbiamo ritrovata:

Chi reputa che Hamas sia responsabile di questa nuova crisi non conosce la vera drammatica realtà interna di Israele sempre in bilico tra secolari e ultra religiosi oggi vede crescere in modo esponenziale il movimento dei refusenik, militari e riservisti che rifiutano di combattere contro i palestinesi e nei territori occupati e sono contro la proposta di legge che riforma il sistema giudiziario condotto dalla Likud.

Dietro ai fatti degli ultimi giorni si nasconde l'idea che noi israeliani possiamo fare quello che ci pare, tanto non saremo mai puniti. Continueremo indisturbati. Arresteremo, uccideremo, esproprieremo e proteggeremo i coloni impegnati nei loro pogrom.