• Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Walid Jumblatt è il grande vecchio della politica mediorientale. È stato amico e nemico di tutti. A vent’anni era il golden boy di Beirut con un castello dei crociati come casa di montagna, motociclette e ragazze mitiche. A 28 anni gli uccidono il padre e lui eredita il partito dei drusi. «Non si sceglie il proprio destino» è la sua frase più celebre. Sopravvive a un’autobomba. Kalashnikov alla mano attraversa la guerra civile. E ce la fa. Da qualche mese ha ceduto il Partito socialista progressista al figlio Tamayur.

Refat Sabbah, segretario generale della Arab Campaign for Education, presidente della Global Campaign for Education e fondatore di Teachers Creativity Center in Palestina, ci dà una lezione di educazione alla pace proprio dallo scenario più violento, laddove non si potrebbe resistere alla disumanizzazione. Se perdiamo la nostra umanità non avremo salvezza – non solo a Gaza, ma nel mondo intero – da qui l’appello alla solidarietà internazionale e alla collaborazione tra palestinesi e il movimento globale ebraico per la pace.

«Sai chi ha costruito Tel Aviv? I lavoratori gazawi». Gadi Algazi siede al tavolino di un bar, dietro di lui i cantieri dei nuovi grattacieli sono fermi. Tel Aviv non ha mai smesso di crescere, una città che ha appena cent’anni di vita: lo dice la sua architettura, un misto di palazzi da capogiro, strade a quattro corsie e decadente edilizia residenziale.

La bellezza accecante di Gerusalemme a Tel Aviv non la trovi, devi spostarti una manciata di chilometri più a nord, a Giaffa, la città-porto che era cuore pulsante dell’economia palestinese prima della Nakba del 1948.

«Netanyahu deve fare scelte difficili. Se il governo dovesse cadere, non ha molte opzioni: o si torna alle urne o nasce un esecutivo di unità nazionale». La giornata di ieri per Meir Margalit è stata quella di tanti israeliani: attaccato a radio e tv per capire cosa avrebbe tirato fuori dal cilindro l’immortale Benyamin Netanyahu.

Ebreo israeliano nato in Argentina, dal 1998 al 2014 Margalit è stato membro del consiglio comunale di Gerusalemme per il partito della sinistra sionista Meretz. È tra i fondatori di Icahd, il comitato contro la demolizione delle case palestinesi da parte delle autorità israeliane.

L’antisemitismo è stata la pseudo-ideologia più criminale, più feroce e più esiziale che sia comparsa nella storia dell’umanità. Il suo vertice si è espresso con il più atroce sterminio sistematico di esseri umani progettato e programmato con tecnica industriale che abbia avuto luogo sotto il cielo del pianeta Terra. Questa apocalisse era già iscritta nel presupposto micidiale dell’antisemitismo già dai tempi del paganesimo idolatrico. Esso sosteneva che l’ebreo è malvagio, pernicioso, distruttore e deve essere annientato per il solo fatto di esistere, per il fatto stesso di essere nato. Gli si attribuiscono azioni e progetti raccapriccianti non per qualche depravata ragione che è caratteristica degli altri criminosi razzismi, ma per la sola ragione di vivere. Il solo apparentamento possibile con l’antisemitismo è la misoginia, l’odio per le donne, calunniate, sfregiate, segregate, massacrate, torturate, che si manifesta contro di esse solo per il fatto di essere donne.

Sono andato molte volte nei Territori Palestinesi occupati da Israele, in qualità di anestesista pediatrico, a operare bambini cardiopatici, e ad insegnare ai colleghi locali le nostre tecniche, prima all’ospedale Al Makassed di Gerusalemme, sulla cima del Monte Degli Ulivi, e poi all’ospedale Europeo di Gaza a Khan Yunis.

Le missioni sono organizzate dal Palestine Children Relief Fund, una ONG intrrnazionale, e supportate dalla Fondazione Monasterio dell'Ospedale del Cuore e dalla regione Toscana.

Negli ultimi anni quello palestinese era diventato una sorta di conflitto congelato. Dopo gli attacchi del 7 Ottobre la situazione sembra essere cambiata, e Israele sembra avere l’intenzione di risolvere il problema con la forza una volta per tutte. È una reazione allo shock degli attacchi o la testimonianza di un cambiamento più profondo?