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Il Prof. Rocco Altieri ci ha inviato il discorso tenuto da Benedetto XVI in occasione dell'Angelus del 18 febbraio 2007


Cari fratelli e sorelle!
Il Vangelo di questa domenica contiene una delle parole più tipiche e forti della predicazione di Gesù: "Amate i vostri nemici" (Lc 6,27). È tratta dal Vangelo di Luca, ma si trova anche in quello di Matteo (5,44), nel contesto del discorso programmatico che si apre con le famose "Beatitudini".
Gesù lo pronunciò in Galilea, all'inizio della sua vita pubblica: quasi un "manifesto" presentato a tutti, sul quale Egli chiede l'adesione dei suoi discepoli, proponendo loro in termini radicali il suo modello di vita. Ma qual è il senso di questa sua parola? Perché Gesù chiede di amare i propri nemici, cioè un amore che eccede le capacità umane? In realtà, la proposta di Cristo è realistica, perché tiene conto che nel mondo c'è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo "di più" viene da Dio: è la sua misericordia, che si è fatta carne in Gesù e che sola può "sbilanciare" il mondo dal male verso il bene, a partire da quel piccolo e decisivo "mondo" che è il cuore dell'uomo.

Noi laici e cattolici italiani chiediamo ai vescovi di mantenere chiara e libera la loro impostazione di dottrina e di cultura morale in tema di legislazione familiare. Riteniamo ingiusta ogni forma di intimidazione intellettuale contro l’autonomia del pensiero religioso. Consideriamo decisivo, per arricchire il pluralismo di valori della società italiana, che la religione occupi uno spazio pubblico nella vita della comunità. Giudichiamo improprio, e sintomo di un uso politico della sfera religiosa, l’appello dei cattolici democratici affinché la chiesa italiana rinunci a un suo atto di magistero, che la libera coscienza di laici e cattolici, compresi i parlamentari della Repubblica, potrà valutare serenamente e in piena libertà.
Il nuovo Concordato del 1984 affida alla chiesa italiana, che non è più espressione di una “religione di stato”, un ruolo indipendente di testimonianza civile, politica e morale che è pienamente compatibile con la funzione laica e sovrana nel suo ordine dello stato. La cultura di questo paese deve liberarsi delle pastoie politiciste di un pensiero illiberale e veteroconcordatario che intende censurare con argomenti obliqui la libertà religiosa e la sua funzione sociale.

Pubblicato su "Il foglio" del 21 febbraio 2007

Circa la bozza sulle unioni di fatto

Il perché del nostro leale "non possumus" Il lavorìo su un possibile disegno di legge del governo in materia di unioni di fatto sembra dunque arrivato ad una svolta. Le anticipazioni di stampa - soprattutto quella assai particolareggiata fornita sabato scorso da "Repubblica" - tenderebbero a confermare che ormai ci siamo. In realtà, però, a quanto è dato di capire, non ci siamo affatto.

Il documento pubblicato è stato elaborato e sottoscritto dai consiglieri diocesani di AC e dai presidenti parrocchiali di AC di Pontremoli. E' il nostro punto di vista - che qualcuno potrà giudicare
eretico, qualcuno semplicemente non lo giudicherà! - sulla situazione ecclesiale nazionale di questi ultimi tempi.



Al Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia (ottobre 2005), Benedetto XVI volle che, al termine del lavoro quotidiano, non mancasse uno spazio di libero e spontaneo confronto tra i Pastori della Chiesa, e stabilì pure che le proposizioni finali venissero subito rese pubbliche alla riflessione dei fedeli, ancora prima dell’uscita della sua esortazione post-sinodale. La Chiesa tutta si sente chiamata a seguire quell’esempio, nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II, affinché gli spazi di dialogo e confronto tra i fedeli, nel clero, tra gli uni e l’altro, con chi è “lontano”, non ne abbiano mai a soffrire. Forse la tensione positiva e la passione di quella stagione si stanno un po’ affievolendo da ambedue le parti? L’interrogativo è sorto al termine della lettura del saggio “La differenza cristiana”, di cui è autore Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose oltre che nota firma di Avvenire. Il suo è un contributo che, tra quelli comparsi di recente sul tema del dialogo, dell’ascolto e della laicità, ci ha più colpito e del quale abbiamo condiviso con tanti amici la ricchezza dei contenuti. Riprendendo il filo del discorso e citando testualmente Bianchi, “...non si ha paura di far conoscere la fatica, il confronto e anche la pluralità di posizioni che esiste nel corpo episcopale e, quindi, si invita anche la chiesa nel suo complesso ad approfondire, a ricercare, a dibattere i problemi emergenti”. Infatti, “…un chiesa che pretende di comunicare, di dialogare con i non cattolici e non si mostra capace di avere dialogo al proprio interno non è credibile: è una questione di semplice coerenza.” E ancora: “saper ascoltare tutti, dare la parola a tutti, parlare quindi, è ciò che caratterizza uno spazio in cui è possibile il formarsi di un’opinione pubblica…”. Già Pio XII, nel 1950, affrontò la questione: “Là dove non appare nessuna manifestazione di opinione pubblica, là dove si constata una sua reale inesistenza…occorre vedervi un vizio, un’infermità, una malattia della vita sociale.


Ieri (25 giugno 2007, n.d.r.) a Pontremoli si è celebrato un raduno alpino, con messa annessa, alle 12 in Concattedrale.

A parte che nutro perplessità su questa inflazione di messe ad uso civile, particolarmente frequenti nella mia parrocchia, visto il suo status... cioè, insomma, la messa per gli alpini, per i carabinieri in pensione, per i librai (una volta fecero una preghiera dei fedeli che tra le righe più o meno diceva "il libro o è cristiano o non è"!!!), per i reduci, per vattelapesca.

A parte che che quasi mai si celebra messa per i disoccupati, per le vittime delle guerre, per i poveri. Certo, mi direte, per loro le intenzioni sono implicite... sarà...

Al di là di queste mie riflessioni, ieri mi è toccato sentire anche questa (vi evidenzio in grassetto le parti che mi fanno trasalire).

Riportiamo le riflessioni di Don Luca sull'articolo di Davide Tondani "Preghiera dell'alpino"


Credo che la domanda fondamentale sia: è possibile che un cristiano faccia il militare, o il poliziotto... porti un'arma alla cintura con la quale potrebbe un giorno dover uccidere un altro uomo? Potremmo anche allargare la domanda... è possibile che un cristiano faccia il capo dello Stato che è anche comandante delle forze armate e che un giorno potrebbe dover autorizzare l'uso delle armi per la difesa del territorio nazionale?

Mi piace molto ripensare al film "Mission" con le scelte diverse di due gesuiti diversi...uno con l'ostensorio e una parte dei cristiani che viene massacrata mentre con fede prega... l'altro che si unisce a chi tenta di resistere con le armi.
Fermo restando che il prete con le armi in mano non ce lo vedo mai (anche se credo in caso estremo per difendere un innocente potrei anche scegliere, se fossi nelle condizioni e fosse l'unica cosa possibile, di sparare all'aggressore... ma come dirlo prima?) penso che non si possa giudicare chi sceglie di astenersi dalle armi né chi spara per difendere i figli, le famiglie, la propria terra da un'aggressione iniqua e omicida.