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Alcune riflessioni e proposte di Lidia Menapace, tratte da “nonviolenza femminile Plurale”, n. 76 del 10 agosto 2006


Prima riflessione: per un'Europa di pace, neutrale, disarmata, nonviolenta (pubblicata su “La nonviolenza è in cammino”, n. 671 di settembre 2003

Seconda riflessione: ancora tre note sulla proposta dell'Europa neutrale e attiva, costruttrice di pace con mezzi di pace (pubblicata su "La nonviolenza è in cammino" n. 683, settembre 2003)

Terza riflessione: ancora per l'Europa neutrale e attiva, disarmata, smilitarizzata e nonviolenta (pubblicata su "La nonviolenza è in cammino" n. 684, settembre 2003)

Quarta riflessione: proposte per un’Europa di Pace (pubblicata su "La nonviolenza è in cammino" n. 696, ottobre 2003)


Un’occasione persa,
venerdì scorso, presso la Chiesa Metodista Valdese di Carrara, avevamo organizzato, come Accademia Apuana della Pace, un incontro con la “Rete Migranti” di Lucca, per riflettere, partendo dalla loro esperienza di “digiuno collettivo”, come momento finale di una lotta per la difesa di diritti violati a migranti, sulle forme di azione nonviolente da mettere in atto dinanzi alle contraddizioni del nostro territorio, siano queste sociali, occupazionali, ambientali…
Erano presenti solo alcuni esponenti del Senato e persone della Chiesa Valdese… nessuna delle associazioni dell’AAdP, nessuna di quelle dei coordinamento migranti…
Un fiasco insomma… forse dovuto a difficoltà organizzative (ma la capacità organizzativa dell’AAdP dipende da quella delle associazioni aderenti), o forse a disinteresse nei confronti di una riflessione che collochi la nonviolenza non solo in una dimensione internazionale, bensì dentro ai nostri territori locali.
Eppure abbiamo vissuto, in questi ultimi anni, il tentativo di mettere insieme un coordinamento migranti, prima come AAdP, poi, facendo un passo indietro, facendo in modo che fosse abitato da tutti quelli che non si sentivano vicini all’Accademia… abbiamo vissuto l’impegno per i ritardi con cui la Questura concedeva i permessi di soggiorno, accontentandoci però di qualche ordine del giorno dei consigli comunali e della loro totale indifferenza a mettere in atto azioni concrete che vadano nella direzione di affrontare i diritti negati ai migranti… per poi veder lentamente spengersi quel coordinamento messo in piedi.
Abbiamo assistito all’indifferenza con la quale Istituzioni e cittadinanza sopportano la presenza della Tenda dei Lavoratori a Massa, che denuncia, nel suo totale isolamento, il degrado politico, sociale, economico ed occupazionale della nostra città.
Abbiamo sperimentato il limite di certe forme di protesta sui diritti, la sensazioni di impotenza che spesso ci attanaglia…
Abbiamo assistito alla squallida contestazione di gruppi di neofascisti dinanzi alla semplice richiesta di adibire uno spazio privato a luogo di culto per i musulmani.
Per tutto questo pensavamo che una riflessione, non teorica, ma che partisse da esperienze concrete potesse essere l’occasione per ricominciare ad urlare… per riprendere a sperimentare tutte le forme di protesta e, accanto a queste, a mettersi in gioco con un po’ di fantasia (non necessariamente con il digiuno collettivo).

Sento il bisogno reale di fare uno sforzo per recuperare l’indignazione, la capacità di “incazzarci”, ma di fare questo “insieme”, costruendo non una rete teorica e astratta, ma una rete sui bisogni concreti, che vada a parlare ai cuori e ai volti delle persone, mettendo in risalto come, ad esempio, non è certo la presenza di un luogo di preghiera per musulmani che aumenta “il nostro vivere nella paura” o come questo debba essere il segnale per chi crede “della perdita della propria identità di fede”… Che urli come il degrado occupazionale ed economico della città è qualcosa che riguarda non solo i diretti interessati, che perdono il posto di lavoro, ma ciascuno di noi che abita in questa città.
Ma dobbiamo imparare a indignarci mettendo insieme questo nostro sentimento e traducendo questo sentimento in obbiettivi, magari minimi, ma concreti, sui quali misurare la nostra “fantasia” nel pensare a forme di lotta… mettere insieme significa fare rete, costruire un tessuto ampio di lotta, pensare ad obiettivi minimi, ma che affermi principi e valori generali…
Dinanzi alle tante contraddizioni dei nostri territori, riusciremo a non perdere altre occasioni? Riusciremo a far si che la nonviolenza sia parte del nostro agire politico quotidiano, della nostra prassi politica, senza separazione tra fini e mezzi?
Alle porte le elezioni del Comune di Carrara, possono essere un’occasione per misurare la capacità di fare una politica altra?
Nel 2008 si voterà in quasi tutti gli altri comuni della provincia, è pensabile costruire percorsi politici di democrazia partecipata e condivisa che dia il senso di una politica altra?
I Comuni e la Provincia che aderiscono alla Tavola della Pace ritengono che quell’atto “amministrativo” sia sufficiente per una politica di pace?

Gino Buratti

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 98 del 4 settembre 2007


Il potersi muovere è liberatorio; tutta la storia umana è progredita con l'aumento della possibilità di muoversi, di incontrare altri popoli e persone, di visitare altri paesi, di scambiare materie e, soprattutto, conoscenza.
Peraltro la mobilità costa; non parlo del denaro, ma di beni ambientali come l'energia, l'inquinamento e il territorio, costa in termini di violenza contro l'ambiente e la natura. Tutto comincia con il consumo di energia necessaria per spostare un corpo umano di 70 chili (o un sacco di un quintale) per un metro o un chilometro; l'energia può essere fornita dallo stesso corpo umano, se una persona va a piedi, da un'altra persona o da un animale che trascina un carro, da un animale da cavalcare. Ciascuno di questi "mezzi" richiede energia alimentare e genera rifiuti, gli escrementi
animali. Le fonti di energia rinnovabili come il vento sono stati utili per muovere le navi, a condizione di avere delle navi (di legno), delle vele (di tela), cose materiali, oggetti, quindi, e ancora una volta di avere conoscenze tecniche.

di Napoli Diana

Nel 1976 alcuni obiettori in servizio presso la sede di Brescia del Movimento internazionale della riconciliazione (in sigla: Mir) e del Movimento Nonviolento decisero di costituire un centro di ricerca nonviolenta allo scopo di raccogliere documentazione sulla nonviolenza, l'antimilitarismo, la pace e qualsiasi altro argomento fosse collegato a tali indirizzi di pensiero.
Oltre alla biblioteca e all'emeroteca, il lavoro più prezioso che mi pare rimanga di tale apprezzabile sforzo è costituito dall'archivio che ora si trova presso la sede di via Milano 65.
Rispetto ad esso c'è stato un aggiornamento costante e organizzato fino alla seconda metà degli anni '80; il seguito è stato lasciato alla buona volontà di pochi collaboratori saltuari e dunque la documentazione dell'ultimo decennio è poco rilevante, da un punto di vista strettamente quantitativo.
Eppure, nonostante questa "carenza", l'archivio merita sicuramente un posto di rilevo all'interno del patrimonio bibliografico del MovimentoNonvioento e più in generale all'interno di un circuito di documentazione sulla pace e la nonviolenza.
Diviso in settori (Militarismo, antimilitarismo, pace e disarmo; Nonviolenza e Movimento Nonviolento; Educazione alla pace; Energia, ecologia, sviluppo; Movimento internazionale della riconciliazione e Obiezione totale; Obiezione di coscienza e servizio civile, Documentazione di Brescia; Forze Armate, industria bellica e commercio delle armi; Conflitti recenti), raccoglie decine di migliaia di documenti attraverso cui è possibile leggere la storia in Italia della nonviolenza e dell'antimilitarismo, delle battaglie per il riconoscimento giuridico per l'obiezione di coscienza, i primi passi del servizio civile, così come ricostruire le prime iniziative attraverso cui l'ecologismo e la messa in discussione del modello di sviluppo dominante sono diventati temi all'ordine del giorno.
Nell'archivio si possono trovare, come in tutti gli archivi che si rispettino, documenti di tutti i tipi: articoli di giornali e riviste, volantini delle iniziative, analisi tecniche (per esempio sulle questioni legate all'energia o all'industria bellica), verbali di riunioni, semplici riflessioni, proposte di mobilitazioni, testi poetici e letterari e moltissime fotografie che oggi non sono di facile reperibilità (come in genere tutto il materiale fotografico): le foto di Comiso, delle marce antimilitariste oppure che immortalano gli arresti degli obiettori totali, quando questi si "presentavano" nelle piazze dichiarando alle forze dell'ordine la propria presenza (e questo solo per portare qualche esempio).


Cari amici,

nei giorni prossimi l'editore Liguori che ha pubblicato questo mio libro lo metterà in distribuzione in tutta Italia.
Vi accludo nel testo e in allegato la copertina e l'indice con alcuni testi di presentazione del contenuto dello stesso.
Se siete interessati a una presentazione pubblica del libro fatemelo sapere a questo indirizzo. Lo stesso Ferrarotti che ha scritto la premessa si è dichiarato disponibile a qualche incontro di presentazione e forse anche Marianella Sclavi e Salvatore Saltarelli potrebbero essere disponibili naturalmente all'interno dei loro impegni.


Cordiali saluti Alberto L'Abate

Pubblicato su “Voci e volti della nonviolenza”, n. 160 del 25 marzo 2008

Per ipotizzare una possibile trasformazione nonviolenta del conflitto tra Cina e Tibet, possiamo partire dai "cinque punti" che Galtung ha individuato come essenziali nell'esperienza delle lotte gandhiane ("Gandhi e la lotta contro l'imperialismo: cinque punti", www.cssr-pas.org/notizia.php?id_notizia=883).

Abbiamo appreso con piacere che l’amministrazione di Massa ha aderito al nostro appello per il “grande Satyagraha mondiale per la pace”. Abbiamo visto sventolare la bandiera Tibetana dal palazzo del comune e dalla sede del Partito Democratico. Lo sventolio di una bandiera può sembrare poca cosa, ma è invece importante. Quando giornali e TV trovano altre notizie per imporci l’attualità, quelle bandiere servono a ricordare ai passanti che il problema esiste ancora immutato e forse aggravato dal silenzio dei media.


Grande soddisfazione quindi per questa adesione. Tutto questo però ci spinge ora ad osare, a cercare di andare oltre.
Il Satyagraha è il tentativo di concepire un percorso di pace, per scongiurare possibili sciagure. E’ stato pensato in grande e si è lavorato a questa costruzione con convegni preparatori ed incontri con autorità politiche e religiose, associazioni non governative, rappresentanti dei popoli oppressi. Giunto però al culmine di questa organizzazione Pannella deve aver pensato che non bastava, non erano sufficienti l’Asia, il medio oriente né l’Africa o l’America. Ci voleva qualcosa in più, un ulteriore passo non immaginato prima.
Così da qualche giorno sempre più spesso si parla di Satyagraha anche nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nel piccolo della quotidianità.
Ecco dunque la crescita possibile di questa iniziativa, partita dal Tibet per arrivare nelle nostre case. La nonviolenza di Capitini intende diminuire la quantità totale di violenza presente nel mondo. E’ dunque il rispetto delle persone, ma anche degli animali e certamente anche delle cose. Quest’ultimo aspetto solo ad occhi distratti può apparire secondario. A pochi giorni dalle elezioni amministrative, nel dover decidere chi governerà la nostra città, il territorio, il patrimonio, il rispetto delle cose Capitiniano assume una grande rilevanza.
Il comune ha dunque aderito al “primo grande Satyagraha mondiale per la pace” ed altrettanto ha fatto ufficialmente il Partito Democratico con l’esposizione della bandiera tibetana. Come è possibile adesso dare un seguito concreto a questa adesione di principio?

La proposta che mi permetto di avanzare è semplice e spero che non appaia a nessuno eversiva, semmai rivoluzionaria dei metodi e della normale prassi politica della nostra città.
La mia proposta cerca di andare nella direzione di estendere il Satyagraha al particolare esaltandone lo spirito e di seguire l’aspirazione capitiniana di riduzione della violenza. La vera forza non è la prepotenza né l’imporsi col ricatto o l’inganno, ma è proprio la nonviolenza, il dialogo. La nonviolenza è un metodo che si sperimenta, si pratica, si impara. La nonviolenza non è una acquisizione finita, ma uno sviluppo continuo. La mia proposta al Partito Democratico è quindi che voglia dar seguito a questa adesione ritirando la minacciata espulsione di quanti hanno compiuto in questa tornata elettorale una scelta diversa da quella ufficiale del Partito stesso. Un gesto di pace che non deve in nessun caso essere interpretato come una rinuncia alle proprie ragioni, anzi la nonviolenza richiede semmai maggior fiducia nella proprie affermazioni, ma una offerta di dialogo anche e soprattutto verso l’avversario.
Questo sarebbe in primo luogo un servizio ai cittadini che potrebbero compiere le loro scelte finalmente valutando i programmi, accantonando inutili personalismi.
Potrebbe essere l’inizio di una nuova visione della nostra città, che partendo dal rispetto dell’avversario politico, porti al rispetto di persone, animali e cose.
Sarebbe la dimostrazione che l’adesione alla causa tibetana non è formale, ma un atto consapevole che implica una riflessione ed un mutamento dei comportamenti nel nostro quotidiano.
Il Partito Democratico cerca di presentarsi come il nuovo, in realtà per il momento si configura al massimo come speranza di un “nuovo possibile” tutto da inventare; ma a Massa si è creata una profonda divisione e non vi è dubbio che oggi c’è, sul piano politico, un picco di violenza proprio intorno a questa spaccatura. Gli eventi che si scatenano intorno alla nascita di un partito ne condizionano inevitabilmente lo sviluppo. Vi è quindi una possibilità di scelta. Il nuovo partito, almeno per quanto riguarda la nostra città, può nascere da una minaccia di espulsione, da una “pulizia etnica” o da un gesto di pace nell’ambito di questo nostro piccolo Satyagraha.

Potete trovare i dettagli dell’iniziativa, sul sito
http://carlodelnero.wordpress.com alla pagina “piccolo Satyagraha”.