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La proposta gandhiana della nonviolenza di tipo satyagraha costituisce una rottura, una novità storica e culturale, perché è una proposta politica.
Nel corso della storia dell'umanità molte altre e molti altri avevano proposto con maggior o minore chiarezza la nonviolenza come scelta esistenziale, morale, sociale, giuridica: Gandhi ne ha fatto un progetto politico rivoluzionario adeguato alle condizioni del mondo contemporaneo.

[Dal quotidiano "Il manifesto" del 14 ottobre 2006]

Nel 1969, mentre preparavo la tesi di laurea sul pensiero politico di Gramsci, il relatore mi suggerì di "dare un'occhiata" ai libri di Hannah Arendt, usciti negli anni precedenti. Capii ben poco di Vita activa, fui moderatamente interessato da Eichmann a Gerusalemme e liquidai come propaganda Le origini del totalitarismo. Lessi le tre opere come manifestazioni, qua e là interessanti, di un pensiero sostanzialmente conservatore.
Questo era il clima prevalente nella sinistra dell'epoca. Come è noto, in meno di vent'anni il giudizio cambiò. Il tentativo di omologare Hannah Arendt a una riscoperta del platonismo conservatore (Leo Strass, Eric Voegelin) durò lo spazio di qualche convegno accademico. Venne invece alla luce una stratificazione filosofica complessa - un pensiero che partiva da Heidegger per superare l'impoliticità di Sein und Zeit - e soprattutto si scoprì una lucida teoria dell'agire politico che suscitò un certo entusiasmo perfino nel marxismo più innovativo. Prima che sensibilità diverse (letterarie, femministe) accrescessero la varietà delle letture, Vita activa fu per molto tempo il testo centrale per l'interpretazione di quella che era ormai considerata figura centrale del pensiero politico novecentesco.

Tratto da "La domenica della nonviolenza", Numero 68 del 9 aprile 2006.
Da "A. rivista anarchica", anno 33, n. 294, novembre 2003 (disponibile anche nel sito www.arivista.org). Dalla medesima fonte riprendiamo anche la seguente scheda sull'autore di questo intervento: "Francesco Scotti, medico e psichiatra, dal 1967 ha lavorato nell'ospedale psichiatrico di Perugia; è uno dei protagonisti del rinnovamento e della trasformazione dell'assistenza psichiatrica in Umbria. Le sue ricerche sono collocate al di fuori di ogni ambito accademico, un pò per sua scelta, un pò perché nessuna accademia l'ha voluto. Si è occupato di organizzazione e valutazione dei servizi, di osservazione diretta, di psicoterapia dei pazienti psicotici"

Tratto da “La domenica della nonviolenza”, numero 68 del 9 aprile 2006.
Da "A. rivista anarchica", anno 33 n. 294, novembre 2003 (disponibile anche nel sito www.arivista.org).

"Se qualcuno mi domandasse: 'Ivan, che cos'è che ti potrebbe stimolare di più nel prossimo anno e mezzo?' - è questo il tipo di orizzonte nel quale inquadro la mia vita - risponderei che mi piacerebbe convincere un certo numero di persone a riflettere più su come gli strumenti influiscano sulla nostra percezione che su ciò che possiamo fare con essi, a indagare su come gli strumenti modellino la nostra mente, come il loro uso modelli la nostra percezione della realtà ben più di quanto noi si modelli la realtà applicandoli o utilizzandoli" (Ivan Illich)