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  • “March to Gaza” è un movimento politico?

No. <March to Gaza> è un movimento civile, apolitico e indipendente. Non rappresentiamo alcun partito politico, ideologia o religione. Rappresentiamo la popolazione in generale, in tutta la sua diversificazione e umanesimo di fondo. I nostri unici principi-guida sono la giustizia, la dignità umana e la pace.

  • Avete come obiettivo quello di entrare forzatamente a Gaza?

Assolutamente no. Siamo sempre stati chiari. La <Global March to Gaza> è un movimento pacifico. Non forzeremo alcuna barriera o confine. Abbiamo l’obiettivo di negoziare con le autorità egiziane l’apertura del terminal di Rafah, in collaborazione con le Organizzazioni Non Governative, i diplomatici e le istituzioni umanitarie.

Per oltre un mese, non sono entrate a Gaza forniture commerciali o umanitarie.

Più di 2,1 milioni di persone sono intrappolate, bombardate e di nuovo affamate, mentre, ai valichi di frontiera, cibo, medicine, carburante e scorte di ripari si stanno accumulando e le attrezzature vitali sono bloccate.

Oltre 1.000 bambini sarebbero stati uccisi o feriti solo nella prima settimana dopo la rottura del cessate il fuoco, il più alto numero di morti in una settimana tra i bambini a Gaza nell'ultimo anno.

Solo pochi giorni fa, i 25 panifici supportati dal Programma alimentare mondiale durante il cessate il fuoco hanno dovuto chiudere a causa della carenza di farina e gas per cucinare.

Il sistema sanitario parzialmente funzionante è sopraffatto. Le forniture mediche e traumatologiche essenziali si stanno rapidamente esaurendo, minacciando di invertire i progressi duramente conquistati nel mantenere operativo il sistema sanitario.

Pubblichiamo l'articolo dei professori Daniel Blatman e Amos Goldberg, storici specializzati in Olocausto e studi sui Genocidi presso l’Università Ebrea di Gerusalemme. L'articolo, pubblicato sul quotidiano israeliano Haaretz [al link https://www.haaretz.com/israel-news/2025-01-30/ty-article-magazine/.highlight/theres-no-auschwitz-in-gaza-but-its-still-genocide/00000194-b8af-dee1-a5dc-fcff384b0000], è stato tradotto da Andrea De Casa.

Ho cambiato idea, credo di essermi “radicalizzato”. Circa un anno fa ho scritto su queste pagine dei miei dubbi sull’opportunità di definire come «genocidio» la guerra condotta da Israele a Gaza. Dubbi, soprattutto, sul rischio che usare estensivamente un concetto così drammaticamente estremo, applicandolo a comportamenti che certo configurano crimini di guerra ma che sul piano giuridico sfuggono almeno in parte alla categoria canonica del genocidio, finisca per annacquare il senso, la percezione, la «sacralità» di una parola coniata per dare un nome al male più «indicibile»: alla Shoah.