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Pubblicato sul n. 1390 della “nonviolenza è in cammino” del 17 agosto 2006


Sono uno che, andando contro se stesso, il mese scorso, insieme ad altri sinceri persuasi della nonviolenza ha ritenuto in coscienza necessario e doveroso, per ottenere il minor male possibile nelle strette costrittive della realtà politica, non condannare il rinnovo temporaneo e calante della spedizione militare italiana in Afghanistan.
Ora, nuove preoccupazioni e rischi mostrano la già nota qualità di guerra e non di vera pace di quella spedizione. Ciò impegna tutti ad accelerare il ritiro dei mezzi militari italiani, in vista della scadenza semestrale di dicembre, per sostituirli completamente con forme di solidarietà e aiuto civile alla popolazione stremata da guerre e violenze.
Era evidente, a me e a chi conosce il movimento e la cultura nonviolenta di cui intendo essere seguace, che quello non era approvare o vedere un bene nel metodo militare di affrontare i conflitti. Ho anch'io tante volte, fino alla noia, distinto come diversi per essenza e non a parole, la forza e la violenza, la polizia e la guerra, spesso volutamente confuse dai prepotenti.
Una polizia davvero internazionale, non faziosa, è necessaria alla comunità dei popoli.

Pubblicato su "Il Manifesto" del 14 giugno 2007
Forse una speranza, ho pensato ieri quando la gente di Gaza è scesa in piazza contro la guerra fratricida. Poi Al Jazeera ha mostrato il corteo bersagliato da entrambi i contendenti, e sono cadute le prime vittime. Si può ripartire solo da questo coraggio, da chi non si è fatto intimidire da armi, calci e sputi. Ora c'è solo rabbia, vergogna, stupore. I due contendenti in armi non rappresentano più il disagio e le aspirazioni palestinesi. È lotta per il potere, in assenza di potere, sulle macerie della Palestina ancora sotto l'occupazione israeliana che dura da sessant'anni. Tornano in mente le parole di Frantz Fanon nella Rivoluzione tradita: «In mancanza di un progetto politico e culturale alternativo si riproduce la dimensione del nemico occupante». Così azzerano anni di lotta drammatica, ma anche di riscatto politico, umano e culturale. Le parti che si fronteggiano, nel metodo e nel contenuto, sembrano estranei a questa storia.
Ma perché questa trasformazione dopo la vittoria elettorale di Hamas. Perché hanno sconvolto un popolo che aveva fatto, comunque, la sua scelta? La risposta sta nel meccanismo democratico inceppato che non ha permesso a chi ha vinto le elezioni di esercitare il suo diritto-dovere di governare. I responsabili sono troppi: innanzitutto la stessa Al Fatah e il presidente Abu Mazen che, insieme ad Israele e alla Comunità internazionale, ha frapposto mille ostacoli tra Hamas e la possibilità di governare. Il resto lo hanno fatto l'isolamento politico, l'embargo economico, le uccisioni mirate, le incursioni militari quotidiane, gli arresti dei membri del governo e del Parlamento, il Muro, i nuovi insediamenti. Israele e gli Stati uniti - il rapporto dell'inviato dell'Onu Alvaro de Soto parla di effetto «devastante» per «l'appoggio incondizionato dato dalla Casa bianca ad Israele» - hanno imposto un assedio finanziario, minacciando le banche internazionali, impedendo l'arrivo di fondi raccolti nel mondo per la popolazione alla fame.

Lettera aperta ai candidati alle elezioni politiche del 13-14 aprile


Ci rivolgiamo a voi, candidati nelle prossime elezioni politiche, per invitarvi a mettere all'ordine del giorno dei vostri programmi iniziative urgenti per la fine dell'assedio di Gaza, imposto da Israele, dopo averla dichiarata «entità ostile». La sua popolazione subisce da mesi una pesante punizione collettiva, in violazione della legalità internazionale e dei diritti umani di tutte e tutti.

Riportiamo l'appello dell' "Associazione per la Pace", inviataci da "Un Ponte per...", in vista della manifestazione nazionale del 29 novembre 2008:

Nè muri Nè silenzi
Pace giustizia e libertà in Palestina

Le Nazioni Unite hanno dichiarato il 29 Novembre "Giornata di solidarietà internazionale con il popolo palestinese". Invitiamo tutt* ad unirsi alla manifestazione nazionale di Roma insieme al Coordinamento delle comunità palestinesi in Italia e all'UDAP (Unione Democratica Arabo Palestinese).

Il popolo palestinese dopo 60 anni di espropri, vessazioni e violenze, ha visto negli anni della seconda Intifada ridurre progressivamente il suo spazio di rappresentanza e prospettiva politica nei Territori Occupati, in Israele e nel resto del mondo. Le esecuzioni mirate e gli arresti arbitrari del governo israeliano hanno decapitato la leadership delle forze politiche palestinesi, il resto lo ha fatto la comunità internazionale delegittimando i principali dirigenti politici palestinesi di ogni ispirazione, cominciando da quelli laici e pragmatici.

Brani tratti dall'Omelia, dal Messaggio di Natale e dall'intervista a Famiglia Cristiana n. 52. Testi integrali in: http://www.lpj.org/newsite2006/index.html


"Oggi non possiamo non ricordare l'instabilità, la mancanza di prospettive chiare per l'avvenire, la mancanza di sicurezza, le aggressioni contro i cittadini e le violazioni contro proprietà e beni.
Come Betlemme aspettò durante secoli Colui che avrebbe "spezzato il giogo e la sbarra che pesavano sulle spalle del popolo, e il bastone del suo aguzzino" (Isaia 9,3), così anche noi stiamo aspettando la manifestazione della Grazia del Signore che metterà fine all'occupazione e all'ingiustizia, liberandoci da quelle paure, difficoltà e divisioni interne che affliggono questa terra. (...)

NON SI PUO' RIMANERE A GUARDARE


C'è un modo per evitare il massacro di civili. C'è un modo per salvare il popolo palestinese. C'è un modo per garantire la sicurezza di Israele e del suo popolo. C'è un modo per dare una possibilità alla pace in Medio Oriente. C'è un modo per non arrendersi alla legge del più forte e affermare il diritto internazionale:


CESSATE IL FUOCO IN TUTTA L'AREA
RITIRO IMMEDIATO DELLE TRUPPE ISRAELIANE
FINE DELL'ASSEDIO DI GAZA
PROTEZIONE UMANITARIA INTERNAZIONALE

Fermare la guerra a Gaza non è un obiettivo impossibile.
Dobbiamo fare la nostra scelta.
Complici della guerra o costruttori di pace?


Quanti bambini, quante donne, quanti innocenti dovranno essere ancora uccisi prima che qualcuno decida di intervenire e di fermare questo massacro? Quanti morti ci dovranno essere ancora prima che qualcuno abbia il coraggio di dire basta?