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Nel numero di Combonifem di ottobre, tra i Fatti per sperare, raccontiamo dell’impresa della Barca delle donne per Gaza (Women’s boat to Gaza), un’imbarcazione a vela composta da un equipaggio esclusivamente femminile, partita a settembre per rompere il blocco imposto alla Striscia di Gaza, portare un messaggio di solidarietà e infrangere il silenzio sulla questione palestinese.

Il premier israeliano Netanyahu due giorni fa ha accusato il Segretario generale dell'Onu di «incoraggiare il terrorismo» solo perchè aveva spiegato che qualsiasi popolo oppresso reagisce all'occupazione. Nessuno ha preso le difese di Ban Ki-moon. Si aggrava nel frattempo la frattura tra Israele e l'Ue sui progetti europei nell'Area C della Cisgiordania.

Pubblichiamo la postfazione di Anna Delfina Arcostanzo al libro “Gaza e l'industria israeliana della violenza” di Enrico Bartolomei, Diana Carminati, Alfredo Tradardi – edizione Derive Approdi, come contributo significativo a riflettere sul nostro approccio alle questioni geopolitiche.

Non c’è un perché da assecondare quando si apprende la notizia di un’uccisione. Non può mai esserci, perché uccidere, per qualsiasi malsana ragione, significa sempre e innanzitutto azzerare la vita. Di un innocente, di un aggressore, di un vero o presunto terrorista. Comunque di una persona.

Non c’è una conta degli uccisi da iniziare quando si innesca un’escalation di violenza sanguinaria, anche quando le disparità numeriche sono evidenti e ripetute nel tempo.

“Amici di BoccheScucite, vi supplico, vi chiedo ancora una volta: alzate la voce presso i vostri governanti, fatevi sentire in Italia e dite loro che non ne possiamo più di sopportare tanta ingiustizia!”.

Quante volte abuna Aktham, per anni studente a Venezia, è venuto nelle nostre città per denunciare l’occupazione israeliana e le ingiustizie subite dai palestinesi. Per questo BoccheScucite non può solamente approvare e diffondere il comunicato con cui Pax Christi ha denunciato il furto della terra e la distruzione degli ulivi di Cremisan. Come dimenticare la vibrante testimonianza con cui abuna Aktham, nel Natale del 2010, commosse una chiesa gremita: