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In vista del cinquantesimo della marcia della pace Perugia - Assisi, che si terrà il prossimo 25 settembre, condividiamo alcune delle interviste che il Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo ha pubblicato sui notiziari quotidiani.

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In vista del cinquantesimo della marcia della pace Perugia - Assisi, che si terrà il prossimo 25 settembre, condividiamo alcune delle interviste che il Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo ha pubblicato sui notiziari quotidiani.

In vista del cinquantesimo della marcia della pace Perugia - Assisi, che si terrà il prossimo 25 settembre, condividiamo alcune delle interviste che il Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo ha pubblicato sui notiziari quotidiani.

1. Woytjla - Bush: due adoratori dello stesso Dio a confronto

Ho mantenute impresse nella memoria, durante questi anni, due immagini il cui accostamento e' inquietante: papa Woytjla in raccoglimento di preghiera davanti a Dio nel giorno del digiuno per la pace; Bush, i suoi ministri e consiglieri ugualmente in raccoglimento con le mani giunte in preghiera davanti allo stesso Dio nel giorno della decisione fatidica dell'inizio dei bombardamenti in Iraq (ogni riunione dell'enturage di George Bush si apre con alcuni minuti di preghiera per volere dello stesso presidente), a cui si potrebbe aggiungere la foto della messa da campo in cui i piloti cattolici ricevono l'ostia consacrata che li accompagnera' nella loro missione di bombardamento.

Ma e' lo stesso Dio quello del papa e quello di Bush e dei suoi soldati? Se e' lo stesso Dio, uno dei due e' incoerente. Chi?

L'interrogativo non e' affatto nuovo per la comunita' della cui vita ed esperienza sono partecipe. Gia' nel lontano 1967, per la celebrazione della Pasqua, scrivemmo una lettera a Paolo VI in cui esprimevamo la nostra angoscia per la scalata dei bombardamenti contro il Vietnam compiuti "da un popolo composto nella quasi totalita' di cristiani e in buona parte cattolici... Poiche' noi cristiani siamo il Corpo di Cristo, non possiamo evitare di sentirci corresponsabili di questo vero e proprio genocidio compiuto da membra dello stesso Corpo cui noi apparteniamo".

2. Condannare la guerra o desolidarizzarci dal Dio della guerra?

Da allora ne abbiamo fatta di strada. E abbiamo capito che bisognava desolidarizzarci con un lavoro intenso e complesso nell'intimo della fede, dell'immagine di Dio, di tutta la sistemazione religiosa, dogmatica, biblica, liturgica, morale, disciplinare. C'era tutto un clima che era lo spirito conciliare. Un nome per tutti il cardinal Giacomo Lercaro che nel febbraio 1968 fu costretto a dimettersi. Dice in una conferenza nel settembre dello stesso anno: "... debbo umilmente confessare che le posizioni che solo cinque anni fa mi erano parse importanti punti di arrivo, mi appaiono oggi decisamente insufficienti". E quali erano queste posizioni? Erano posizioni ancora oggi considerate avanzatissime. E cioe' che "il cristianesimo lungi dal riconoscersi e identificarsi con una cultura, ha la sua condizione ottimale in insediamenti pluralistici che siano occasioni di dialogo fecondo e generante con tutti gli autentici filoni culturali dell'umanita'". Ma questo nel 1968 non gli basta piu'. O meglio e' ancora convinto che il dialogo e' fondamentale. Ma la dolorosa esperienza della destituzione e i motivi della destituzione stessa e cioe' il suo puntare sulla rivoluzione conciliare del Popolo di Dio lo avevano convinto che e' fumo il dialogo senza una profonda desolidarizzazione del cristianesimo dalla cultura occidentale e soprattutto dalla cultura del potere e della guerra. Perche' "la secolare simbiosi di tanta parte del cristianesimo con la cultura occidentale ha prodotto calcificazioni tenacisime di aspetti di questa cultura con il cristianesimo stesso... Nella nostra societa' e' ormai chiaro che la violenza piu' insidiosa, quella cioe' che infrange ogni forma sia di convivenza che di carita', e' proprio la violenza del potere, la violenza paludata dal possesso dell'autorita'... Nella realta' di oggi, di fronte alle continue guerre condotte o concretamente incoraggiate, i soprusi e le violazioni delle piu' legittime autonomie e la sempre incombente minaccia atomica, non si puo' tacere la constatazione che si tratta di arbitrii consumati proprio dai massimi poteri responsabili del nostro pianeta. La coscienza generale avverte cioe' che l'antica identita' tra autorita' e ordine, tra potere pubblico e garanzia dell'uomo e' definitivamente caduta" (Lorenzo Bedeschi, Il cardinale destituito, Gribaudi, Torino 1968). La conseguenza e' la necessita' di una profonda revisione e purificazione del cristianesimo in tutti i suoi aspetti. Solo per questa strada, che e' quella conciliare, il dialogo puo' essere vero dialogo e dialogo fecondo e potra' condurre verso un mondo pacificato.

3. Le religioni sono religioni di guerra anche quando predicano la pace?

La guerra, si sa, e' una cultura e non solo uno sciagurato evento. La societa' umana, fino da tempi remotissimi, qualcuno dice dal neolitico, e' organizzata in funzione della guerra. Ce lo dicono gli studiosi dei popoli cosiddetti primitivi. Ce lo dicono ugualmente gli studiosi delle societa' evolute. Tanto che Hegel considerava la guerra come il massimo momento espressivo dello Stato. La cultura della guerra e' sistemica. Pervade cioe' tutti gli aspetti del convivere. E non solo quelli di cui siamo consapevoli. Penetra il nostro profondo, le regioni dell'inconscio, sia l'inconscio individuale sia sociale. Dove voglio arrivare? A un pessimismo radicale nei confronti della possibilita' di costruire un mondo nuovo universalmente pacificato? Niente affatto.

La mia conclusione e' che la pace, in modo speculare alla guerra, e' una cultura e non solo un evento, e' un sistema complessivo di organizzazione della societa'. La transizione dalla cultura di guerra alla cultura di pace e' dunque un processo rivoluzionario. Investe tutti i campi del convivere, non solo quelli economici e politici ma anche quelli simbolici. Investe l'arte e le religioni. E necessita anche di un lavoro su noi stessi, sul nostro profondo, oltre le frontiere delle consapevolezze e perfino oltre i limiti del sogno, ai confini dei grandi silenzi, silenzi nostri e soprattutto della gente umile, della gente da sempre repressa, incapace perfino di sognare, ai confini del silenzio di donne e uomini dove l'inconscio si apre all'ignoto. Ai confini di quel silenzio che in noi, come in un utero pregno, cova nascite di mondi nuovi. Sul crinale di quei silenzi che dotti e maestri ignorano per cieca fiducia nella loro rumorosa, onnipotente razionalita' necrofila, razionalita' senza mistero. La rivoluzione della pace necessita di un lavoro per far emergere e sanare traumi che la mente e tutto il corpo hanno patito perfino a loro insaputa e che si manifestano poi come blocco della speranza, spavento senza parola, vuoto dell'anima, per passare dalla perdita inconsapevole e dall'angoscia talvolta senza nome alla ricerca di senso e di speranza.

E' disperante un tale panorama rivoluzionario? Non lo e' affatto se guardiamo alla variopinta fiumana umana che per tutte le strade del mondo e' concretamente impegnata nei processi di cambiamento in tutta la varieta' delle collocazioni sociali. Dunque la pace come rivoluzione e' in atto. E non si fermera'.

4. La nonviolenza come rivoluzione?

La nonviolenza da utopia sta diventando la vera razionalita'. E sta pervadendo tutti gli ambiti del vivere, tutti gli aspetti della societa', tutte le strutture di convivenza della citta'. E' un vera rivoluzione multilaterale.

Vorrei, a questo proposito, richiamare il messaggio di Ernesto Balducci. Egli affronta questo tema in un ciclo di conferenze sulla nonviolenza ("Testimonianze" 328/1990, pp. 26-27).

La strategia della rivoluzione nonviolenta - egli dice - deve tener conto della razionalita' storica dell'epoca in cui viviamo per ripromettersi efficacia storica e non semplicemente l'aureola della nobilta' della testimonianza morale. E individua cinque ambiti o rapporti descrivendoli nella loro attuale realta', come essi in concreto si svolgono nel mondo violento in cui siamo e, in immediata contrapposizione, nella alternativa possibile. Ognuno deve scoprire la propria collocazione e quindi la propria mobilitazione nella strategia multilaterale. I primi quattro rapporti sono: il rapporto conoscitivo uomo-realta', il rapporto operativo uomo-natura, il rapporto uomo-uomo, amico-nemico, il rapporto maschio-femmina. Il quinto rapporto e' quello in cui Balducci individua la collocazione strategica prevalente del proprio impegno: "Finalmente, il rapporto decisivo, sia per valore simbolico sia per una sua fondamentalita' metafisica, e' quello uomo-Dio, che e' servito da schermo e da sigillo ideologico della cultura della violenza. Si tratta dell'asse antropologico in cui le mie esperienze conflittuali sono piu' frequenti, quotidiane e quindi mi perdonerete se vi insisto.

Le religioni, nate come sono in questa cultura di guerra sono sempre religioni di guerra anche quando predicano la pace.

Le cose che devo dire sono certamente le piu' scandalose perche' non appena tocchiamo i centri nevralgici della nostra violenta sistemazione culturale la reazione si fa piu' forte. Abbiamo esaltato all'infinito, sacralizzandoli, i nostri istinti di aggressivita' nell'idea di Dio.

Dio e' la cifra assoluta della aggressivita' umana. L'uomo ha scritto che Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza. La verita' e' l'opposto: l'uomo ha fatto Dio a propria immagine e somiglianza. Il Dio a cui siamo stati assuefatti e' un Dio aggressivo, discriminante, implacabile, giusto nel modo con cui noi pensiamo che si debba essere giusti, capace di mantenere in totale estraneita' da se' i cattivi per tutti i secoli dei secoli. All'interno di un Dio cosi' pensato abbiamo collocato il Vangelo di Gesu' Cristo. Teologicamente e' avvenuto questo (i testi di teologia studiati per secoli dai preti sono li' a dimostrarlo): prima si e' dimostrato, in forza di ragione, come se la ragione fosse un metro allo stato puro, conservato in edenica purezza, che Dio c'e' e che cosa e' Dio. Poi abbiamo detto che questo Dio ideologicamente definito si e' incarnato in Gesu' Cristo il quale ha fondato una Chiesa la quale ha tutti i poteri... Il cerchio si chiude! L'aggressivita' passata attraverso Dio, sacralizzata ai vertici, scende su di noi. La teocrazia fu la sistemazione teorica massima di questa aggressivita' con la teologia sacrificale, secondo la quale Dio non perdona l'uomo finche' l'uomo non ha fatto una espiazione pari al peccato, cioe' infinita; non essendo questa espiazione possibile all'uomo, che e' finito, era necessario che ci fosse un uomo-Dio per cui l'espiazione fosse dell'uomo - e percio' del soggetto peccatore - ma anche di Dio - e percio' infinita. Ed ecco Gesu' Cristo uomo-Dio! Questo e' il cerchio della teologia aggressiva.

Noi riscopriamo che il Dio di Gesu' Cristo non e' questo Dio. Noi che siamo i promotori di una rivoluzione nonviolenta, all'interno della Chiesa, dobbiamo compiere questa rivoluzione e scoprire il Dio di Gesu' Cristo. Il Dio di Gesu' Cristo non e' scoperto dalla ragione umana che e' sotto sospetto, ma e' manifestato dall'uomo Gesu' di Nazareth... Dio si manifesta nel mondo come servo sofferente, non come padrone dominante... Soltanto i miti conoscono Dio... Dio si conosce con la mitezza interiore, cioe' col superamento della violenza, l'abbandono di ogni atteggiamento di violenza, anche conoscitiva... Dobbiamo allora liberarci dalla cultura della violenza perfino nella nostra vita di fede. Non e' cosa da poco".

Si pone qui la domanda cruciale: e' realmente possibile liberare le religioni dalla violenza iscritta, come dice Balducci, nel loro codice genetico?

Sono possibili un cristianesimo, un islamismo, un ebraismo non-religiosi, e' possibile un buddismo non distrattivo e non consolatorio?

Val la pena di tentare?

E allora, in marcia!

Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo

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