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La proposta di legge di “Un’altra difesa possibile” assegnata alla discussione delle Commissioni della Camera dei Deputati grazie anche alla presentazione di una Proposta di Legge di Iniziativa parlamentare.

"La nonviolenza è in cammino": Quale è stato il significato più rilevante della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?

- Nanni Salio: Don Milani era scettico a proposito delle marce, ma la prima marcia ebbe un significato di rottura in un clima politico assai difficile e Capitini seppe fare un lavoro straordinario per mettere insieme componenti diverse e superare molte avversità. In seguito la marcia è stata sempre più edulcorata e sebbene in alcuni casi molto partecipata, i contenuti e la qualità della partecipazione (soprattutto da parte di personaggi politici di rilievo che intervenivano pur essendo responsabili di decisioni nient'affatto condivisibili) lasciava a desiderare. Pur con questi limiti, la marcia è stata un punto di riferimento soprattutto nei momenti più cruciali.

Il futuro ha radici antiche

È celebre l'affermazione di Gandhi, secondo cui i principi della nonviolenza sono "antichi come le colline": un'affermazione che trova testimonianza nel fatto che tutte le religioni sono portatrici di un messaggio di nonviolenza. In alcuni testi esso è formulato in maniera esplicita, come nel Saman Suttam, il canone jainista che, nel capitolo sui "precetti della nonviolenza" recita: "Caratteristica essenziale di ogni saggio è non uccidere nessun essere vivente. Senza dubbio, si devono comprendere i due principi della nonviolenza e dell'eguaglianza di tutti gli esseri viventi" (Saman Suttam, Mondatori, Milano 2001, p.67). È vero d'altro canto che questi precetti debbono essere letti alla luce dell'ultima parte del canone, che tratta della "teoria jainista della relatività conoscitiva" ( un tema di grande attualità e rilevanza epistemologica, che probabilmente ebbe una grande influenza sulla formazione del giovane Gandhi) e che, più in generale, in molti altri testi religiosi il messaggio appare ambiguo, commisto con affermazioni che giustificano la guerra e l'intolleranza.

Sono una delle persone che venticinque anni fa si opposero alla guerra del Golfo che avviò la catastrofe che tuttora perdura e si estende (ne ricavai un processo da cui uscii assolto - credo anche grazie alle innumerevoli dichiarazioni di solidarietà che ricevetti, tra le quali quelle di maestri ed amici ormai scomparsi ma indimenticabili come Ernesto Balducci, Norberto Bobbio, Franco Fortini, Bianca Guidetti Serra, Alexander Langer, Davide Melodia, Tullio Vinay...).

La decisione annunciata dal governo di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mosul è una criminale follia.

Occorre persuadere il governo a revocarla immediatamente.

Senza reticenze, senza ipocrisie, senza eufemismi, il nocciolo della questione è questo: che l'invio di 450 soldati italiani alla diga di Mosul verrà presentato dalla propaganda dell'Isis come "un'invasione crociata" delle truppe di uno degli stati che dagli anni Novanta ha preso parte alla guerra e alle stragi e successivamente all'occupazione militare neocoloniale, devastatrice, rapinatrice, imperialista e razzista dell'Iraq.

Pubblichiamo i testi di tre lettere inviate dal responsabile del "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" al presidente del Consiglio dei ministri in queste ultime settimane dopo il massacro di Parigi per invitarlo a non agire stoltamente secondo la volontà dei terroristi stragisti, ed a scegliere invece di percorrere la via della pace e dei diritti umani, della legalità e della democrazia, della nonviolenza che a tutti i crimini si oppone e salva le vite.

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